Segnali di vita dall’Università di Bogaziçi

Abbiamo il privilegio, come redazione di CittàFutura, di avviare una collaborazione con il giornalista turco, buon conoscitore della realtà mediorientale e delle questioni riguardanti economia e affari internazionali, Murat Cinar (1). Ecco il suo primo contributo in esclusiva per www.cittafutura.al.it (2)

Il primo giorno di quest’anno, il Presidente della Repubblica di Turchia ha nominato il nuovo rettore dell’Università di Bogaziçi d’Istanbul. La legge introdotta con un decreto legge durante lo Stato d’emergenza nel 2017, gli permette di prendere questa decisione. Tuttavia, questa mossa ha scoperchiato il vaso di Pandora.

Perché non piace il nuovo rettore?

Melih Bulu, si chiama così il nuovo rettore di una delle università più vecchie e prestigiose del Paese. Ex studente della stessa università, col passare degli anni si è avvicinato al Partito dello Sviluppo e della Giustizia (AKP) che governa la Turchia da ormai quasi 20 anni. Nel 2002 ha fondato il circolo del Partito per il municipio di Sariyer a Istanbul, poi si è candidato per le elezioni amministrative nel 2009 e per quelle nazionali nel 2015, senza successo, sempre presso lo stesso partito. Per queste ragioni uno dei punti più contestati riguardanti il nuovo rettore è il fatto che abbia un profilo politico e partitico chiaramente schierato.

La seconda particolarità di Bulu è il fatto che sia un rettore non eletto. Qui si rende necessario un piccolo ripasso storico. In Turchia, le elezioni interne per scegliere il nuovo rettore sono soltanto simboliche. Una legge introdotta nel 1981, durante la dittatura militare, non permette alle università di avere quell’autonomia necessaria per scegliere i loro rettori. E’ il Presidente della Repubblica che sceglie i rettori tenendo in considerazione i nomi consigliati dai senati universitari dopo le elezioni interne, e dal Consiglio dell’Istruzione Superiore (YOK), che emana regolamentazioni inerenti al mondo universitario. Dunque le elezioni interne sono abbastanza simboliche, e l’ultima parola è sempre quella del capo dello Stato.

Inoltre il sistema semi ibrido adottato negli anni ‘90, che provava a bucare il sistema facendo entrare un po’ di aria di autonomia nelle università, è stato archiviato totalmente con un cambiamento legislativo effettuato durante lo stato d’emergenza nel 2017. Ormai il Presidente della Repubblica è in assoluto l’unica persona a decidere.

Cosa ne pensano i professori?

Can Candan, professore dell’Università di Bogaziçi e regista cinematografico, spiega così il percorso che ha portato Bulu al trono: “Nel 2016 la nostra rettrice, Gülay Barbarosoğlu aveva vinto l’85% dei voti delle elezioni interne tuttavia il suo nome non era stato approvato dallo YOK, quindi per evitare che il Presidente della Repubblica nominasse qualcuno di totalmente esterno, Barbarosoğlu aveva deciso di consigliare il nome dell’ex vice rettore, Mehmet Ozkan, che è stato, successivamente, nominato come rettore dal Presidente. Oggi invece, ci troviamo con un outsider”.

Candan specifica che per la prima volta, nel mese di novembre del 2020, lo YOK aveva deciso di pubblicare annunci sui giornali per raccogliere le candidature per la posizione da nuovo rettore dell’Università di Bogaziçi. “Questo è ovviamente un gesto che scavalca totalmente il nostro sistema elettorale interno. E’ successa una cosa del genere per la prima volta, come se si assumesse un manager. Quindi temevamo che ci saremmo trovati con un rettore totalmente sconosciuto. Infatti tra i 3 candidati, oltre al rettore uscente, c’era anche Melih Bulu. Una persona che non ha mai insegnato nella nostra università ed è pure accusato di plagio nelle sue tesi di laurea e dottorato”.

Il gesto d’ignorare le elezioni interne e prendere decisioni appoggiandosi su una legge assurda, ha fatto sì che dopo la sua nomina, Bulu finisse nel mirino delle proteste e le masse pretendessero le sue dimissioni. Oggi Bulu viene definito come un “commissario straordinario” e la sua nomina invece “un gesto illegittimo”. Esattamente com’è successo in questi ultimi anni in Turchia, con la sospensione senza sentenze dei sindaci eletti, finora arrivati a più di 90. I decreti legge emessi durante lo Stato d’emergenza vengono utilizzati tuttora, anche se lo Stato d’emergenza è stato già sospeso. Dunque la nomina del nuovo rettore è anche un atto simbolico lanciato da un governo che preferisce utilizzare metodi antidemocratici e illegittimi ancora oggi per provare a governare il Paese, e non solo.

Infatti Candan sottolinea che nonostante la richiesta del nuovo rettore, i professori dell’Università di Bogaziçi non hanno voluto incontrarlo perché non lo riconoscono. “La nostra richiesta è chiara: dimissioni”. Nei giorni successivi due professori della stessa università hanno accettato la proposta di diventare i suoi assistenti, quindi i professori manifestanti chiedono le dimissioni anche di questi.

Rivendicazioni e presidi ogni giorno

“Dalla nomina del nuovo rettore, fino a oggi, ogni giorno scendiamo sul praticello davanti all’ufficio del rettore e gli voltiamo le spalle. Ogni venerdì invece leggiamo un comunicato stampa che riassume i fatti della settimana trascorsa. Ovviamente chiediamo anche l’immediato rilascio degli studenti presi in detenzione provvisoria, arrestati, oppure ai domiciliari” descrive così Candan la protesta dei professori. “Posso dire che circa il 95% della squadra accademica della nostra università partecipa a questo presidio, oppure se si trova fuori Istanbul partecipa alle riunioni organizzative online. C’è chi si occupa delle traduzioni, delle relazioni internazionali, oppure come me del filmare ogni singolo presidio”.

Candan elenca le loro richieste; “polizia fuori dal campus, dimissioni del rettore, più trasparenza nel nominare un rettore, rilascio immediato degli studenti e riforme necessarie democratiche per tutte le università con l’obiettivo di renderle più autonome e democratiche”.

In conclusione Can Candan sottolinea che,  a differenza di quanto si aspettavano, finora non hanno ricevuto un massiccio e forte sostegno dalle università straniere. Secondo lui è possibile che all’estero non abbiano capito quanto grave sia la situazione.

Esperienza di uno studente in questura

Per loro richiesta, i due studenti che ho intervistato saranno nominati come “il primo studente” e “il secondo studente”.

Entrambi, ogni giorno e sin dall’inizio, partecipano alle manifestazioni di protesta. Il momento decisivo sembra che sia stato la sera del primo febbraio. Il primo studente racconta così quella sera: “Dopo una grande manifestazione dentro al campus si avvicinava l’ora del coprifuoco a causa della pandemia. Abbiamo notato che la polizia iniziava a caricare i nostri amici che protestavano fuori dai cancelli. Poi la stessa polizia ha accerchiato il campus, rendendo impossibile uscire. Dunque abbiamo provato a chiedere una spiegazione al rettore, il quale ha preferito far entrare la polizia dentro al campus invece di darci riscontro. Quella sera sono state prese in detenzione provvisoria 51 persone”.

Il secondo studente è stato preso dalla polizia quella sera e racconta così la sua esperienza: “E’ stato un momento di grande aggressione. La polizia ci insultava e ci picchiava. Alcuni amici sono stati trascinati per terra a lungo. Poi ci hanno messo sui bus e dentro abbiamo aspettato quasi 4 ore prima di arrivare all’ospedale per fare l’eventuale denuncia del maltrattamento. Successivamente altre 4 ore per arrivare al commissariato di Vatan dove ho trascorso 2 notti. Durante la permanenza ci hanno spesso insultato e non ci hanno permesso di andare in bagno per un lungo periodo. Avevano messo in isolamento una manifestante trans e hanno negato le medicine a una ragazza”. Questo studente è stato rilasciato dopo aver depositato le sue dichiarazioni al procuratore, ma gli è stato impedito il diritto di lasciare il territorio nazionale ed è quasi sicuro che sarà processato.

La politica del terrore

Il primo studente invece ci racconta come la polizia ha lavorato per giustificare le detenzioni. “Ovviamente durante le manifestazioni i poliziotti ci filmano e fotografano, e secondo loro quelle immagini sono sufficienti per portarci in questura oppure arrestarci”. Oltre questo classico metodo, la polizia utilizza i messaggi scritti oppure ripostati sui social dagli studenti per giustificare la detenzione, com’è successo nel caso di Muhammed Unal. Addirittura una studentessa, Beyza Buldag, è stata arrestata perché aveva aperto un gruppo WhatsApp con i suoi amici per coordinare un presidio. Anche la neonata applicazione, Clubhouse, è stata utilizzata dalla polizia per prendere in detenzione provvisoria 4 altri studenti che avevano semplicemente parlato in una stanza online. Tutto questo ovviamente aiuta molto a terrorizzare i giovani.

La politica del terrore viene sostenuta anche sui giornali e canali televisivi succubi e schiavi del governo centrale. Il primo studente descrive così la situazione: “I media trasmettono solo in una certa maniera le cose che succedono. Manipolano le informazioni volutamente. Ci fanno passare per dei criminali. Danno spazio alle dichiarazioni della polizia, dei Ministri oppure del rettore. Quindi anche i normali poliziotti che becchiamo il giorno dopo in piazza ci trattano come se fossimo delle brutte persone”.

Ovviamente ad accendere la scintilla dell’ultima ondata di repressione è stato il Ministro degli Interni che tramite il suo account Twitter ha diffuso l’immagine di un’illustrazione trovata per terra dentro il campus dell’università. Al centro di quest’immagine c’era il luogo sacro dell’Islam ossia Ka’ba e ai bordi dell’immagine c’erano le bandiere arcobaleno e quella del movimento trans. “Questi pervertiti LGBT calpestano i nostri valori” erano le parole del Ministro che successivamente sono state assecondate anche dal Presidente del Direttorato degli Affari Religiosi, diversi parlamentari e vari personaggi pubblici. Il giorno dopo la polizia ha fatto irruzione nel circolo universitario del gruppo LGBT dell’Università di Bogaziçi sequestrando materiali e sigillando le porte.

Solidarietà

Gli studenti confermano che avrebbero voluto ricevere maggior sostegno dai partiti dell’opposizione, invece dal mondo dell’associazionismo è arrivata un’ondata di solidarietà. “Se i partiti avessero voluto avrebbero mandato i loro parlamentari qui per visitarci, oppure per monitorare la situazione in questura o in tribunale. Invece non è successo. Gli avvocati che ci hanno aiutato sono stati quelli che hanno risposto ai nostri appelli su internet. Tutto lavoro a titolo gratuito. In questura oppure in tribunale abbiamo sempre avuto a disposizione centinaia di avvocati pronti. Invece, i personaggi pubblici che hanno studiato in passato in questa università sono in silenzio. E’ una cosa incomprensibile” descrive così la situazione il primo studente.

Nel mentre arrivano anche messaggi, lettere oppure presidi di solidarietà da altre università come Galatasaray, ITU, ODTU, Istanbul e Hacettepe. Oltre i professori di queste università che scendono in piazza, anche i cineasti, i letterati, le ONG, diverse associazioni LGBT e parecchi giornalisti hanno lanciato degli appelli di solidarietà con gli studenti.

Secondo i numeri del Ministero degli Interni in quasi 40 città sono state organizzate delle manifestazioni di massa in meno di 40 giorni e più di 600 persone sono state prese in detenzione provvisoria. A oggi ci sono 11 studenti arrestati e circa 30 ai domiciliari con la cavigliera elettronica.

Invece un interessante messaggio di solidarietà è arrivato anche per il rettore. L’ex capo di un’organizzazione criminale, Alaattin Cakici, arrestato e condannato diverse volte, ha pregato il rettore Bulu di non dimettersi e continuare. Cakici nella sua lettera pubblica definiva i manifestanti come dei “terroristi”, esattamente come fece il Presidente della Repubblica nelle sue precedenti dichiarazioni.

Il futuro?

Questi due studenti stanno concludendo il loro primo corso di laurea e hanno meno di 25 anni. Non avevano mai partecipato a una manifestazione di massa oppure non avevano mai fatto parte di una resistenza del genere. Amano la loro università, la definiscono come la loro casa e vogliono laurearsi in pace. Non accettano che qualcuno dall’alto prenda delle decisioni a nome loro.

Sono convinti delle loro idee, e vogliono continuare. “Viviamo praticamente in un regime. Vogliamo di nuovo fare delle manifestazioni di massa, siamo impauriti ma non possiamo mollare perché che ci sono diversi studenti in detenzione provvisoria oppure arrestati. Vorremmo manifestare fuori dal campus ma da 1 mese c’è il divieto, ed è sempre presente la polizia. Quindi non si riesce. Mentre in altre zone ci sono diverse manifestazioni di protesta nella stessa ora e nello stesso giorno, a noi non è permesso. Solo a Kadikoy e Besiktas c’è il divieto totale per via del covid ma in altre zone della stessa città il divieto non esiste. La questura sa che in quei municipi vivono migliaia di studenti e ha paura delle manifestazioni di un certo tipo”.

Gli studenti condividono le rivendicazioni elencate dal loro professore Can Candan. Il primo studente racconta così la sua prospettiva per il futuro: “Siamo abbastanza giù, cerchiamo di aiutarci a vicenda ma siamo anche impauriti e sotto stress. Io non penso che rimarrò in questo Paese. Ci dicono di guardare per terra, abbassare la testa e di non manifestare e di non alzare la voce. Mi impressiona che la gente non reagisca contro questa richiesta incomprensibile. La polizia si dimentica che siamo degli esseri umani anche noi. Trattando così male i giovani distruggono il futuro di questo Paese”.

.1. Murat Cinar è giornalista, videomaker e fotografo freelance. Dopo aver studiato Economia in Turchia, nel 2002 si trasferisce in Italia, dove si specializza in riprese e montaggio video, fotografia e giornalismo. Collabora con diverse testate turche, fra cui KaosGLBiaNet e Sendika.org, e con periodici, agenzie di stampa ed emittenti radiofoniche italiane come PressenzaCaffe dei giornalistiRadio Onda d’Urto Radio Blackout. Ha scritto Una guida per comprendere la storia contemporanea della Turchia (Simple 2016) e Ogni luogo è Taksim (Rosenberg&Sellier 2018), con Deniz Yücel. E, aggiungiamo noi della Redazione CF, può annoverare la collaborazione graditissima a www.cittafutura.al.it   

.2. E’ possibile riprendere i contenuti degli articoli pubblicati, riportandone integralmente testo, autore e testata on line di prima pubblicazione

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