America Latina: con le lotte e col voto riprende il ciclo anti-neoliberista

Intervista ad Agostino Spataro su elezioni e rivolte popolari in America Latina.

– Il rifiuto del patto scellerato fra oligarchie nazionali e multinazionali

D- L’America Latina, a Suo avviso, si sta nuovamente spostandosi davvero a sinistra? E se sì, questo spostamento da cosa è determinato? solo dai problemi economici?

R- Mi sembra prematuro esprimere un giudizio definitivo sulla recente tornata elettorale (presidenziali) in alcuni Paesi del Sud America e ancor più prevedere scenari politici credibili.

Tuttavia, si può, senz’altro, dire che è iniziato un nuovo ciclo all’insegna del cambiamento, del rifiuto delle ricette neoliberiste sperimentate, per prima e sconsideratamente, in questa parte del mondo.

Dal voto e dalle grandi manifestazioni popolari (Cile, Ecuador, Haiti, Brasile, ecc) viene una critica severa, a tratti un rifiuto, dell’accordo scellerato fra le grandi oligarchie nazionali e le multinazionali mirato al super sfruttamento delle straordinarie ricchezze minerarie, alimentari, ambientali, storiche e paesaggistiche. Vere e proprie politiche di rapina, accompagnate da privatizzazioni selvagge dei principali servizi sociali primari (sanità, scuola, trasporti, ecc), che provocano desolazione, povertà e morte. Da ciò le proteste cui non si può rispondere con la repressione, con la corruzione o, peggio, con soluzioni autoritarie. Si lavora per un nuovo piano Condor?”

– Messico, Bolivia, Argentina, Uruguay (?), ecc.: riparte il ciclo progressista.

Alberto Fernandez, neo presidente dell’Argentina, e Pepe Mujica, ex presidente dell’Uruguay

D- Questo spostamento da cosa è determinato? solo dai problemi economici?

R.- Il fattore politico s’interseca con quello economico. Lo conferma il voto per le presidenziali in tre paesi: Bolivia, Uruguay e Argentina. Dopo la storica vittoria del socialista riformista Andres Lopez Obrador in Messico, si registra l’affermazione di due candidati espressione di governi popolari di sinistra superstiti di Bolivia e di Uruguay (Evo Morales e Daniel Martinez del Frente Amplio che ha buone possibilità di vincere al secondo turno) e la sconfitta senza appello dei centristi di Mauricio Macri in Argentina in favore di Alberto Fernandez dello schieramento peronista, questa volta unito.

– Politica Usa in affanno: si corre ai ripari?

D- Quanto la frenata della globalizzazione e il trumpismo hanno inciso, concretamente (penso alla sua politica delle barriere, dai migranti all’economia) e ideologicamente a far riaffiorare la sinistra?

  1. Anche in America latina l’amministrazione Trump agisce politicamente con rozzezza, in certi casi solo parolaia e controproducente.

Forse, a Washington si stanno accorgendo che questa non è via che spunta. A ben vedere, le diplomazie Usa, sotto sotto, sono al lavoro in alcuni paesi per rimediare ai danni compiuti (anche dalle precedenti amministrazioni democratiche) e per trovare una via diversa di relazione. A cominciare dal confinante Messico che Trump vuole separare con un muro assurdo quanto fallace.

– Populismo? No. Popoli che lottano (e votano) per la loro libertà e dignità

D- Quanto c’è di populismo nella sinistra latinoamericana oggi?

     R.- In generale, a parte Cuba, Cile, Nicaragua, Uruguay, Bolivia, la sinistra marxista non ha svolto un ruolo trainante dei movimenti, dei processi politici nel resto dell’America latina. Vi ha partecipato, talvolta con entusiasmo e/o anche di malavoglia, oppure si è tenuta in disparte.

     A metà di questo decennio, subito dopo l’elezione del cardinale argentino Bergoglio al soglio pontificio, (il riferimento è puramente casuale), si chiuse il ciclo dei governi popolari (non populisti) e si aprì quello delle oligarchie neoliberiste.

Oggi, la questione che si pone alla sinistra, ai movimenti progressisti latino- americani non è quella di piangere sul ciclo concluso, ma di pensare a prepararne, organizzarne uno nuovo, coinvolgendo tutte le forze disponibili, partendo dagli esiti elettorali favorevoli e attingendo alle rivendicazioni alla base degli attuali movimenti sociali.

– Riemerge la “questione indigena”: l’America latina non è più il “giardino di casa” degli Usa

Quito (Ecuador), ottobre 2019

D- E i popoli indigeni come si stanno muovendo? In quale direzione?

R.- I paesi latinoamericani e caraibici non accettano più di essere trattati come il “giardino di casa” degli Usa. Questo è un altro punto di svolta che si coglie nella realtà attuale, per altro, segnata dalla presenza inedita di due superpotenze economiche, commerciali e militari: la Cina e la Russia.

Insomma, i popoli latino-americani sembrano aver preso coscienza dei loro diritti e dell’importanza strategica delle loro ricchezze naturali, minerarie e agricole che vogliono mettere al servizio del loro sviluppo.

Tutto ciò, mentre inizia a ri-affiorare, a montare, in forme nuove e più organizzate, la “questione indigena”, dei popoli nativi che, a 500 anni dalla conquista coloniale, sono più che mai mobilitati a difesa dei loro diritti fondamentali e dell’inestimabile patrimonio ecologico/ambientale dell’Amazzonia e delle altri grandi foreste, delle grandiose civiltà fiorite in tutta la dorsale delle Ande, ecc. E così agendo tendono una mano agli altri popoli del mondo. Attenzione, dunque! Poiché, se si dovesse realizzare una saldatura fra i diritti degli indigeni e del meticciato diffuso con gli interessi della comunità internazionale, saranno guai serissimi per le oligarchie, vecchie e nuove, di origine europea e per le grandi multinazionali nord-americane.

– La rivolta dei popoli stanchi di subire l’ingerenza esterna e le iniquità interne

D- Questa sinistra di ‘reazione’ e di ‘ritorno’, oltre alla reazione alle politiche neoliberiste di questi anni, ha un progetto politico solido? se si, quale a Suo avviso?

R.- Allo stato, le ideologie, compresa quella della sinistra marxista, non guidano le proteste di piazza, e poco influenzano gli stessi processi elettorali. Quel che emerge è una volontà nuova dei popoli che, stanchi di subire l’ingerenza esterna e le angherie interne, cercano una via alternativa per il futuro, più ancorata alle specificità nazionali e all’identità continentale. Populismo? Non credo. Anche se esiste il rischio di una deriva in tal senso. La situazione è aperta a sbocchi politici diversi, perfino di segno contrapposto. Potrebbe sfociare, infatti, in soluzioni o di tipo nazional/populistico di destra o rafforzare la tendenza democratica orientata a sinistra.

– Argentina, vittoria del peronismo unito

  1. – La vittoria di Fernandez in Argentina è da considerare una vittoria di un uomo di sinistra, o di un populista di sinistra?
  1. Quella del ticket Alberto e Cristina Fernandez (fra loro non c è parentela alcuna) è la vittoria del peronismo rinnovato e, questa volta, unito che va dalla sinistra di “Campora” ai neo riformisti di Sergio Massa, inglobando la galassia popolare e sindacale che ne costituisce lo zoccolo duro e più diffuso. La sinistra minoritaria di Cano continua a giocare a fare il “terzo incomodo” favorendo, di fatto, il centro-destra, come successe nelle precedenti elezioni presidenziali del 2015.

– Cile, finita la dittatura di Pinochet è iniziata quella degli investimenti stranieri

Santiago de Chile, el pueblo unido…La marea umana in plaza Italia.

D.- In Cile c’è da attendersi una svolta a sinistra? Piñera, dopo aver dimissionato metà governo in risposta alle proteste che non riesce sedare manco con i carri armati, sarà costretto capitolare? Lì c’è progetto politico o solo reazione alle politiche  neoliberiste?

  1. – La rivolta cilena è contro la stretta neoliberista di Pinera di cui reclama le dimissioni e nuove elezioni. In Cile è finita la dittatura militare di Pinochet ed è iniziata la dittatura degli investimenti stranieri. Siamo, cioè, in un paese, economicamente etero-diretto, fiore all’occhiello del FMI e di altri organismi finanziari internazionali. La realtà sociale, le enormi disuguaglianze che la caratterizzano, smentiscono questa “favola” e dimostrano l’iniquità e la fragilità del sistema.

Tuttavia, grazie alla tenacia e alla vastità del sommovimento popolare (ancora in corso), il cambio, l’alternativa sono possibili. Qui esiste un tessuto democratico forte e antico che, nonostante la tragica interruzione della dittatura di Pinochet, potrebbe riprendere a funzionare a tutto campo ossia sulla base della partecipazione di tutte le forze democratiche e popolari.

In Cile, a una sinistra forte, costituita dalle componenti storiche socialista e comunista, fa da pendant una Democrazia cristiana anch’essa con un’ampia base popolare ed elettorale. Insieme, queste forze sono in grado di portare il paese fuori della grave crisi in cui l’ha gettato la destra e avviarlo verso nuovi traguardi di crescita socio-economica e di libertà.

–  Quelle “fughe in avanti” che poco convincono e molto spaventano

D – Poi ci sono le sinistre anomale o deviate, non so come le vuole considerare, quali Venezuela e Bolivia, ma anche Ecuador?

  1. Sinistre anomale? In attesa di una ridefinizione condivisa della nuova sinistra, penso si possa dire che nei citati paesi i protagonisti del cambiamento sono, soprattutto, i movimenti, le associazioni, i popoli che stanno lottando per affermare i loro diritti di progresso sociale e di libertà.

A volte, questi movimenti e schieramenti, anche di governo, agiscono all’insegna dello spontaneismo e con qualche contraddizioni e/o con “fughe in avanti”, come quella intrapresa dai dirigenti chavisti venezuelani sulla base della parola d’ordine del “socialismo del XXI° secolo” che – così come enunciata- poco convince e molto spaventa.

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