Bonus

Il nome è nobile nel suo latino e ha un suono piacevole e bene augurante.
Lo si applicava abbondante già prima della epidemia, è diventato imprescindibile dopo.
Ormai noi definiamo bonus ogni contributo pubblico non inquadrato in una legge di riforma organica. Lo si presenta come un intervento straordinario per tamponare e lenire una emergenza sociale. Sicuramente in termini amministrativi e burocratici hanno differenti e complicatissime definizioni.
Il sussidio ha un nome e cognome (di persone o di partito) e serve a farti ricordare il benefattore che lo ha voluto e poi permette di rinviare sine die quella riforma organica di cui sopra.
Perché in Italia si preferisce risarcirti dell’eventuale spreco piuttosto che intervenire a rendere quel servizio più efficace e meno costoso. Questo perché su quella “inefficienza” ci guadagnano in tanti ( tranne gli utenti destinatari).
Siccome l’ammontare del bonus per ciascuno è in genere modesto non ci rendiamo conto del costo totale (mi pare di ricordare che gli 80 euro di Renzi valgono una decina di miliardi all’anno).
È un “aiutino” che ricevi in quanto parte di una categoria professionale, sociale, reddituale, anagrafica, produttiva, scolastica e chi più ne ha più ne metta.
Sembra un sussidio personale, eccezionale e temporaneo ma, in realtà, è un contributo  regolare, generale e permanente.
Puoi riceverne decine, anche senza saperlo. Dipende da quanto la tua vita è “categorizzata”. Se sei madre o, invece se sei figlio, se vai all’asilo o all’università, se vai in vacanza o resti a casa e giri in bicicletta. Se compri una automobile, un libro di scuola o se sei senza il computer.
È come dichiarare che nel nostro Paese in nessun ambito vige la normalità, la autoresponsabilità, le regole di mercato, la neutralità della libera concorrenza.
Come dire che -da noi- nessuna attività può seguire un suo iter autonomo basato su iniziativa, capacità, talento, spirito di sacrificio, fortuna, ma deve essere perennemente aiutata e assistita da uno Stato asfissiantemente invadente e interventista, maliziosamente paternalistico.
Naturalmente se c’è un momento in cui ciò è giustificato è proprio questo, emergenziale da tutti i punti di vista.
Si è trattato di “mettere liquidità nelle tasche degli Italiani” (curioso come i politici sono interessati alle nostre tasche. Quando impongono nuove tasse, le opposizioni di turno gridano che il Governo ha messo le mani nelle medesime).
Di fronte al caso dei 5 parlamentari che hanno richiesto il bonus riservato alle partite
IVA, lo scandalo improvvisamente verte sulla universalità del dono, della regalia che non tiene conto del reddito di ciascuno.
Ma scusate! Se per assegnare bonus indifferenziati e automatici le varie burocrazie hanno impiegato mesi di ritardo, pensate se avessero dovuto fare una istruttoria individuale.
Ma poi in una nazione di evasori fiscali, appellarsi al reddito fa ridere. Dobbiamo scandalizzarci non solo quando un ricco, pur consapevole della vigente situazione economica del Paese, chiede il contributo, ma peggio quando ottiene un posto nell’asilo nido, lasciando fuori qualcuno che ne ha veramente bisogno.
Tutti si sciacquano la bocca delle parole etica ed eticità ma poi pretendono che di fronte alla “tentazione” ci voglia il divieto dello Stato. Siccome non era un reato, era il
padre-padrone Governo che doveva vigilare.
Non si è etici quando non si commette un reato (si è semplicemente corretti) ma quando si possiede un senso di consapevolezza, di responsabilità, forse anche solo di opportunità. Se si guadagnano 14mila euro al mese e si approvano i DCPM e le leggi, magari non è il caso di fare domanda.
Gianluca Veronesi

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