DONNE AL POTERE! Ragioni psicologiche dell’accesso femminile a ruoli dirigenziali

LA TRADIZIONE STORICA DELLA DIFFERENZA

La letteratura greca ci ha consegnato un classico momento delle differenze di genere: Antigone, nell’omonima tragedia di Sofocle, onorando con le esequie funebri il fratello Polinice benché la sepoltura fosse interdetta ai traditori della patria, rappresenta le istanze degli affetti e della famiglia; mentre lo zio Creonte, dittatore di Tebe, rappresenta l’impersonale legge della polis, che non fa sconti a nessuno, fino a imprigionare a vita la pietosa Antigone. Queste due diverse attitudini, il primato dato agli affetti familiari di contro al primato dato alla ragion di Stato, sono state assunte a paradigma della differenza psicologica e sociale tra donne e uomini, favorendo lo stereotipo per cui la donna è domina entro le mura domestiche, l’uomo è dominus nelle attività pubbliche; pertanto la donna sta dal lato della natura (generazione e cura della prole, dunque in definitiva madre), l’uomo dal lato della cultura (artefice delle attività simboliche a partire dal linguaggio e dalla scrittura). Ma se si prescinde dalle costruzioni ideologiche che vi sono state sovrapposte, la paradigmatica differenza tra un Creonte e un’Antigone è del tutto infondata sotto il profilo psicologico?

IN CERCA DI NUOVI EQUILIBRI

In quella chiara ripartizione di ruoli consegnataci dal mondo greco-romano e ancor vigente nella cultura arabo musulmana, v’è un’indubbia subordinazione della donna, quanto meno perché l’assetto patriarcale e il diritto di famiglia ad esso improntato prevedono il primato dell’uomo nei rapporti giuridici tra i coniugi (dal divorzio alla successione ereditaria). Va però riconosciuta pur in questo squilibrio una complementarità di ruoli, in virtù della quale una specifica dignità è riconosciuta alla donna: nella cultura cattolica tradizionale è custode del focolare, nella cultura araba harem è il luogo sacro e inviolabile riservato alla donna e ai figli minorenni. Senza questa complementarità il sistema sociale non potrebbe né avrebbe potuto reggere per secoli, e nella sua versione migliore – ciascuno stia al suo posto – esso conferisce alla donna la non irrilevante funzione di essere lei la norma all’interno della casa e soprattutto nella crescita dei figli piccoli.

   Non è qui luogo ripercorrere come si sia rotto nella cultura laica e liberale dell’Occidente quella sorta di “equilibrio squilibrato” tra donne e uomini nella famiglia e nella vita pubblica, pur con tante eccezioni. (Donne, straordinari leader politici, si segnalano nel corso dei secoli: da Teodora, l’imperatrice di Bisanzio più energica del marito, il pur grande Giustiniano, al tempo della rivolta di Nika, a Caterina di Russia, la zarina illuminista che menava per il naso ministri e generali, per ricordare due casi famosi). Occorre però osservare come la rottura di ciò che per noi “moderni” è stereotipo da superare, non abbia a oggi consentito di costruire davvero nuovi equilibri, tali da permettere l’effettiva uguaglianza di diritti tra donne e uomini in ogni campo, e allo stesso tempo la valorizzazione della diversità di sensibilità e attitudini psico-comportamentali.

    Segno eloquente di questo mancato riequilibrio sul piano sociale e prima ancora su quello psicologico, oltre alla difficile composizione del ruolo di madre con quelli extrafamiliari per le donne, è la difficoltà per l’uomo a cogliere uno specifico ruolo: se prima era lui la fonte primaria del sostentamento della famiglia, le donne hanno avuto brillante accesso a professioni e attività già riservate all’uomo. Donde un certo appannamento della funzione maschile e paterna nella sensibilità di non pochi maschi: la donna è entrata nella polis, più di quanto l’uomo non sia entrato, comportamentalmente, nella domus. Per altro questo rimescolamento di ruoli, un tempo socialmente canonizzati ma oggi da ricontrattare entro ciascuna coppia, è un fattore che concorre agli odierni conflitti di genere, e da qui alla violenza da parte di un maschio spaesato a fronte di tanto avanzamento femminile.

EQUIVOCO FEMMINISTA SULLA DIFFERENZA

Quanto alle diverse sensibilità e attitudini psico-comportamentali sopra accennate  – cosa che comunque andrà attestata – occorre esorcizzare l’equivoco insorto in certo femminismo, che confonde la necessaria uguaglianza di diritti tra donne e uomini in ogni campo con la non differenza delle attitudini. (Le differenze psicologiche ad oggi comunque riscontrabili non sarebbero che il  portato culturale di società patriarcali e maschiliste, come insiste la filosofa nordamericana Judith Butler ancora nel volume del 2004 La disfatta del genere, trad. it. Meltemi, Roma 2006).

In vero, uguaglianza non equivale a non differenza, ma la vera uguaglianza parte dal riconoscere le differenze, le quali sono tanto più importanti quanto più rappresentano apporti complementari, paritetici in valore, tra donne e uomini sia nella famiglia sia nella polis.

     Comprensibile ma ingiustificato è dunque il timore del “femminismo della indifferenza” per cui riconoscendo differenziate attitudini tra donne e uomini si finirebbe con l’appoggiare forme di disuguaglianza sociale e giuridica. Del resto, se non si riconoscessero specifiche sensibilità femminili, che senso avrebbe richiedere che delle donne possano accedere più agevolmente di quanto non accada oggi ai vertici di istituzioni pubbliche e private? Vale a dire, che “valore aggiunto” sarebbe la presenza di donne in importanti sedi decisionali, se ciò accadesse solo in virtù del sesso anagrafico, e non invece in virtù dell’apporto specifico che può dare la diversa sensibilità di genere (oltre ovviamente alle indispensabili competenze professionali)?

   In effetti, non è ormai più necessario dimostrare la positività dell’apporto femminile se anche in ambienti tradizionalmente maschili, dove la concorrenza è anche spietata come nella vita politica e nell’alta dirigenza di importanti società, si riconoscono i vantaggi della presenza femminile. Una conferma a tal proposito, tra le altre, è nel regolamento della Consob (l’organo di controllo della Borsa italiana) recentemente aggiornato: nei comitati di amministrazione e di controllo delle società quotate, almeno i due quinti dei membri devono essere riservati al “genere meno rappresentato”. E non dovrebbe trattarsi di un mero titolo da mettere sul biglietto da visita delle rispettive società.

DIFFERENZE DI PRESTAZIONI

Già le diversità tra donne e uomini nelle prestazioni di carattere intellettivo hanno qualche rilevanza in ordine all’esercizio di ruoli dirigenziali. A proposito di questo tipo di prestazioni è appena il caso ricordare come proprio i preconcetti circa una presunta inferiorità femminile – per altro  superati solo negli ultimi decenni, e non in tutti gli ambienti – hanno di fatto ostacolato l’accesso di donne a importanti organi decisionali, come i consigli di amministrazione di aziende o la stessa magistratura (tra gli altri preconcetti, la maggior emotività delle donne ne renderebbe meno equilibrato il giudizio). L’accesso delle donne a tutti i tipi e livelli di istruzione scolastica e professionale e i talenti mostrati da molte hanno favorito il superamento degli stereotipi sulle loro prestazioni intellettuali e professionali. Resta però il dato di fatto di un’afferenza femminile decisamente minore agli studi tecnologici e ingegneristici di contro a una netta preferenza per quelli umanistici, psicologia in testa, non del tutto spiegata dall’influenza degli stereotipi di genere e dalle profezie autoavverantisi in sede di educazione delle giovani.

   Cionondimeno, differenze medie tra donne e uomini nelle prestazioni cognitive sono a oggi oggettivamente riscontrabili, anche se meno importanti di quanto apparissero nelle ricerche del Novecento. È quanto rileva ancora, con le dovute cautele per via della complessità di questo tipo di ricerche, Raffaella Rumiati in Donne e uomini (Il Mulino, Bologna 2010), dopo quelle ponderose degli anni Settanta del Novecento di Eleanor Emmons Maccoby negli USA. Si osservano in media migliori risultati femminili nei test di intelligenza linguistico-verbale e nella comunicazione non verbale, migliori risultati maschili nei test di intelligenza spaziale (orientamento, rotazione di figure) e di ragionamento logico-formale. Sono state invece smentite le differenze di abilità nel calcolo matematico, sulle quali si insisteva in passato a svantaggio delle donne. Non importa qui quale sia l’origine di queste e altre differenze di cui sotto, se correlate alla diversa struttura e funzione biologica o piuttosto alla prassi sociale ed educativa che premia certe prestazioni nei maschi, altre nelle femmine: di fatto delle differenze ci sono, né d’altra parte è escluso possano modificarsi nel tempo.

    Se anche le suddette differenze possono favorire una più efficace conduzione collegiale di organismi pubblici e privati, integrando i migliori contributi di intelligenza verbale e di intelligenza logico-formale provenienti dai due generi, è però sul piano affettivo e comportamentale che le differenze assumono maggior importanza. Queste ultime, infatti, danno ragione della diversa sensibilità con cui donne e uomini affrontano le relazioni sociali e interpersonali.

UNA “LOGICA” FEMMINILE

Ben inteso, le differenze affettivo-comportamentali ritrovate nelle ricerche che sto per ricordare, come del resto le su menzionate differenze in ambito cognitivo, valgono come medie statistiche: in varie prestazioni e attitudini vi sono più differenze all’interno di ciascun genere che non tra persone di diverso genere (come dire che v’è chi assomiglia più a persone d’altro sesso per certe prestazioni, che non alla media delle persone del proprio sesso). Col che vengono smentiti due luoghi comuni fioriti nella stessa tradizione psicoanalitica, imperniati su concezioni di tipo  essenzialistico e non statistico delle differenze in questione. Freud, quando identifica la psicologia femminile del profondo con l’invidia del pene, lega le differenze di genere in definitiva all’insuperabile “roccia biologica” della differenza sessuale. Non diverso sotto il medesimo profilo essenzialistico appare Jung, quando identifica la psicologia della donna con l’anima, pur celata nell’inconscio maschile, e la psicologia dell’uomo con l’animus, pur celato nell’inconscio femminile.

   Tra le ricerche empiriche sulle differenze di genere in ambito affettivo-comportamentale restano a mio avviso  una pietra miliare quelle della nordamericana Carol Gilligan col volume del 1982, In a Different Voice (mal reso nel titolo italiano,  Con voce di donna, Feltrinelli, Milano 1991. Promotrice di un femminismo che insiste sulla specificità di genere, ella si oppone al maestro Lawrence Kohlberg, autore dei primi importanti studi sullo sviluppo del ragionamento morale in età evolutiva. Da questi studi risultava che le ragazze apparissero più “stupide” dei maschi nei test cui erano sottoposte, consistenti nella soluzione di dilemmi morali. Ella di contro mostra acutamente che in realtà le ragazze ragionavano per lo più secondo una differente logica: una logica votata a preservare le relazioni interpersonali, a considerare i concreti bisogni delle persone, mentre i maschi di pari età ragionavano piuttosto secondo una logica di astratta giustizia.

    Dunque la logica femminile appariva più sottile e articolata di quella maschile, invece più semplificatoria e deduttiva. Emergevano così valori maggiormente presenti nel genere femminile, per altro coerenti con l’impressione diffusa di una maggior disposizione femminile all’empatia, alla cura, ovvero – secondo la distinzione inaugurata da David Bakan (The duality of Human Existence, Beacon, New York 1966) e poi ripresa in tanti studi – l’impressione di una maggior disposizione femminile alla communion (relazionalità, solidarietà) piuttosto che all’agency (affermazione di sé, iniziativa intraprendente). Agli occhi di un maschilismo esasperato questi valori appaiono spregevoli, femminei appunto, se paragonati coi valori di virilità e di forza; ma è pur vero che per tener fede nei momenti difficili a quei valori di prevalenza femminile, occorre una forza d’animo anche straordinaria, come tante donne hanno mostrato quando sono in gioco gli affetti familiari, a partire esemplarmente dalla nostra Antigone.

DONNE AL VERTICE DEL POTERE POLITICO

   Ecco allora almeno un “valore aggiunto” che il femminile può apportare quando una donna accede a ruoli di potere nella società e nelle istituzioni, senza per questo mimare modelli comportamentali di stampo maschile o peggio maschilista: una maggior sensibilità alle relazioni umane, ai bisogni delle persone, all’immedesimazione empatica. Il tutto è da porre certo in dialettica complementarità con valori più favoriti tra i maschi come l’orgoglio dell’autosufficienza, la competitività sulla base del merito, la disposizione al rischio, l’impersonalità della legge. Del resto sembrerebbe più consono con la sensibilità femminile il principio solidarista-socialista “a ciascuno secondo i suoi bisogni”, più consono con quella maschile il principio individualista-liberale “a ciascuno secondo i suoi meriti”.

    In rapporto al momento politico attuale, queste considerazioni forniscono una chiave di lettura non irrilevante, a mio avviso. È sostenibile, infatti, che un contributo al diverso atteggiamento delle istituzioni europee e internazionali verso i paesi maggiormente colpiti dal Covid-19 e anche un contributo al diverso atteggiamento dei governanti verso i propri concittadini, siano dipesi anche dal fatto che delle donne sono al vertice del potere e che inoltre valori più ricorrenti in esse sono abbracciati da governanti democratici di ambo i sessi. Angela Merkel, capo del governo tedesco e leader europeo di primo piano, tipica Mutter (madre) tedesca nella percezione dei compatrioti oltre che nel fisico; Ursula von der Leyen, madre di numerosa prole prima di esser presidente della Commissione europea; la stessa Christine Lagarde, a capo della Banca centrale europea; Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo monetario internazionale: è da chiedersi se sia meramente accidentale rispetto al genere il fatto che le donne testé menzionate – ferma restando la necessità di valutare le convenienze sul piano economico – abbiano favorito misure generose delle istituzioni da loro presiedute nei confronti dei paesi più colpiti dalla pandemia, benché scarsamente meritevoli in fatto di finanze pubbliche. Di converso leader come l’olandese Mark Rutte e l’austriaco Sebastian Kurz hanno richiamato – non senza tutti i torti in vero – al rigore di conti in ordine, alla giustizia di prestiti da rendere e non regali, al saper essere autosufficienti, al dare secondo il merito e non secondo i bisogni (fondi elargiti in cambio di riforme severamente verificate).

    La controprova del peso delle differenti sensibilità di genere nella guida degli Stati, è data dagli effetti devastanti che ha invece prodotto un’esasperata sensibilità di matrice maschile, qual è ravvisabile in governanti dallo stile decisamente “macho”, oggi nel caso del covid-19 in passato in innumerevoli circostanze. Se delle donne fossero state capi di governo in Inghilterra e negli USA, avrebbero avuto lo stesso atteggiamento di sfida, tanto baldanzoso quanto disastroso, verso quell’“influenza solo un po’ più forte”, che hanno avuto rispettivamente Boris Johnson e ancora oggi Donald Trump? A maggior ragione è improbabile che delle donne avrebbero usato, sempre a proposito della pandemia, le espressioni a dir poco infelici del presidente brasiliano Jair Bolsonaro: «Riguarda gli anziani… prima o poi dobbiamo morire tutti». Del resto è più facile trovarle sulla bocca di un ex militare, qual appunto è Bolsonaro: la sfida alla morte, per l’onore e la gloria, è atteggiamento guerresco maschile-maschilista, mentre le donne hanno per lo più pianto figli e mariti caduti.

SENSIBILITÀ COMPLEMENTARI

   L’atteggiamento macho è affatto insensibile all’empatia e al prendersi cura; di contro il vero valore maschile è capace di quella buona paternità volta alla difesa e alla protezione del piccolo e, per estensione all’uomo politico, volta alla difesa e alla protezione dei concittadini. In definitiva il valore di impronta maschile, quando non esasperato,  è complementare e non antitetico al valore di impronta femminile; parimenti è da dirsi del valore di impronta femminile. (Si veda in merito altresì il volume divulgativo della psicologia di comunità Donata Francescaro, Amore e potere. La rivoluzione dei sessi nella coppia e nella società, Mondadori, Milano 1999)

   Dunque, lungi dal per altro improbabile passaggio al matriarcato (di cui però c’è qualche segno nell’ambito educativo e scolastico), la questione ai fini di una migliore leadership politica è di far valere una dialettica complementarità di sensibilità e attitudini di tipo femminile e di tipo maschile. Le quali sono meglio interpretate rispettivamente da persone di sesso femminile e di sesso maschile, generalmente ma non necessariamente. Infatti, i valori in questione sono relativamente disgiungibili dal sesso biologico: è normale che la persona di un dato sesso possa farsi portatrice pure di istanze maggiormente ricorrenti nell’altro sesso. Anzi una misura di integrazione delle diverse sensibilità nella stessa persona è segno di maturità, del resto si nota che essa aumenta con l’età in ambo i sessi. D’altra parte ciascuno, in misura diversa, è portatore pure di tratti di personalità ricorrenti nell’altro sesso: siamo tutti figli di genitori di sesso diverso, biologicamente sempre, relazionalmente pressoché sempre (v’è l’eccezione delle famiglie omogenitoriali). In conclusione, occorrono più donne in ruoli di potere e che facciano valere sensibilità squisitamente femminili, e che inoltre gli uomini non siano refrattari a queste sensibilità.

  Vale la pena da ultimo notare che, proprio perché le diversità di sensibilità possono comportare momenti di confronto e scontro anche aspri, solo in un regime democratico esse possono funzionare in maniera sinergica nella conduzione della polis, tanto più che, come accennavo, taluni orientamenti politici privilegiano istanze che trovano maggior riscontro nella psicologia maschile (competitività anche aggressiva, merito), altre maggior riscontro in quella femminile (attenzione al bisognoso, al sofferente). Solo le concrete circostanze politiche e socio-economiche suggeriscono se nel conflitto debba prevalere una sensibilità piuttosto che l’altra, o se debba trovarsi una mediazione tra le due.

Mauro Fornaro

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