Questa è una parola che si usa moltissimo, e secondo me, molto spesso a sproposito.
Sento un mucchio di ragazzi e ragazze che lo usano quando non sanno cosa dire, quando si trovano di fronte a qualcosa di inesprimibile e pensano di liquidarlo bellamente con questa parola.
Ma, scendendo a terra dai voli pindarici, cosa si può dire? Cosa significa quindi “emozioni”?
Io amo riferirmi agli accadimenti della mia vita, a quello che ho realmente visto e vissuto, poiché mi sembra la soluzione più giusta e sincera.
Ed allora io parlerei di uno shock che ti lascia, anche per un attimo, senza respiro, poiché quello che vedi o vivi incide profondamente su di te.
Essendo stato un grande viaggiatore, vorrei ricordare tre momenti che mi hanno letteralmente emozionato, nel senso più diretto del termine.
Ecco, la mia prima visita a Machu Picchu, ma non tanto nel momento della visita ai vari templi, pur impressionante, quanto nel porsi, quasi sull’abisso, di fronte al maestoso Huayna Picchu, cioè il picco giovane, che sembrava far ombra a quella sorta di orrido che sovrastava il Rio Urubamba: non solo la creazione dell’uomo, ma la straordinaria intensità della Natura e il senso magico determinato dal fatto che questo sito era rimasto segreto per trecento, quattrocento anni.
Un altro momento importante, un altro shock, fu provocato sicuramente dalla visione e dalla visita delle immense cattedrali gotiche in Francia, credo di averne incontrate dodici, ed anche se quasi tutte si chiamano Notre-Dame, quelle che ho amato di più sono sicuramente quella di Chartres e quella di Strasburgo, che mi è apparsa dinanzi all’improvviso in tutta la sua potenza.
È chiaro che l’emozione, in questo caso, è provocata non solo dall’opera finita, ma dal pensiero di quanti uomini, per lo più umili e sconosciuti, hanno collaborato alla costruzione di questi edifici protesi verso Dio.
Poi, per non lasciare indietro un continente così importante e vitale, ecco la Grande Muraglia Cinese, di cui ho fatto un piccolo assaggio di un paio di chilometri, immaginando a sud le ordinate campagne e città cinesi, a nord i cavalieri mongoli avanzanti al galoppo per mettere tutto a ferro e fuoco.
Ecco, per me ciò significa emozioni, nulla di più, nulla di meno.
L’arte, anche quella di dimensioni più ridotte, può colpire con la forza di un pugno allo stomaco e lasciarti senza respiro. E allora, ripenso a me giovanissimo di fronte al Mosè di Michelangelo, nella chiesa di San Pietro in Vincoli, che soltanto più tardi ho appreso essere la sorgente di un memorabile saggio di Freud su Mosè stesso.
In età più matura, ho amato moltissimo la Cappella degli Scrovegni a Padova, in cui alla grandezza di Giotto pittore si unisce la rappresentazione dell’enorme ricchezza della famiglia mecenate, simbolo di quei Comuni che celebravano l’indiscussa rinascita dell’Italia.
Ma un museo che io ho visitato più volte e di cui forse in Italia non si parla molto, è quello del Prado, a Madrid, in cui io ho centellinato con curiosità le opere del Velasques e di Goya.
Un’altra parte importante di emozioni viene da quello che si definisce l’eterno femminino, logicamente per chi ha gusti ed attrazioni eterosessuali.
Da ragazzo avevo un’attrazione istintiva verso alcune dive dell’est europeo, come Olinka Berova e soprattutto Sylva Koscina, entrambe venute a cercare il successo a Cinecittà.
E poi lei, Marylin, vista ed ammirata in numerosi film, ma abbagliante soprattutto in quel “Quando la moglie è in vacanza” in cui appariva allo sbalordito Tom Ewell, come un sole raggiante che viene a scombussolare la sua vita ordinata. Ma, attenzione, non è soltanto la Marylin luminosa resa commerciale da Andy Warhol, ma un insieme di doti fisiche ed intrinseche che si racchiudono in inglese nella parola “the knack”, che sarebbe: un certo non so che…
Ma, affinché non sembri che il mio interesse verso l’interlocutore femminile sia puramente epidermico, di attrazione fisica, non smetterò mai di citare la figura femminile che ho più ammirato nel ventesimo secolo, quella di Camilla Ravera.
L’immagine di questa piccola maestra elementare, coinvolta in cose forse più grandi di lei, la rivedo mentre, sola e tradita, viene stretta da un cordone di venti agenti dell’OVRA, che la considerava una pericolosa criminale destinata a tredici anni di carcere e di confino. La forza interiore espressa da questa piccola donna era quella di un sole nascente.
Per concludere, non posso fare a meno di ricordare i miei vent’anni, che mi riportano a quel ‘68 così pieno di libertà e di desideri inattuati, ma che, come osservava Mario Capanna, rendevano quell’anno formidabile.
Emozioni, dunque: rendiamo questo termine più pragmatico, non lasciamolo nel limbo dei desideri impossibili, ma portiamolo sulla Terra, avendo come bersaglio la volontà di migliorarsi esternamente ed internamente, in una sorta di canto etico.
Viator
Commenta per primo