HELGOLAND. Luogo adatto alle idee estreme. Fisica e Mistica: Rovelli e Panikkar

Carlo Rovelli – Edizioni Adelphi

L’esergo dell’ultimo libro di Carlo Rovelli, Helgoland: a Ted Newman, che mi ha fatto capire che non capivo la meccanica quantistica, è uno straordinario calcio nel di dietro per tutti noi. Cosa voglio dire ? Voglio dire che le cose s’ hanno da conquistare, appassionatamente e faticosamente e seriamente, come quando si gioca, dove è la gioia il sentimento che nasce, un aprirsi del nostro fiore interiore a un nuovo pezzo di infinito. Ed è proprio quando non si capisce, quando ci irritiamo, quando vorremmo andare da altra parte che ci dobbiamo fermare, è qui che il nuovo ci sta rapendo, istigando, trasformando.

Carlo Rovelli è un abile raccontatore, una specie di pifferaio magico che sa condurci nelle strette anse di una materia – la fisica quantistica – a cui apparteniamo ma che non conosciamo, o non vogliamo conoscere, dato che ogni vera forma di conoscenza è un passo in più verso il pericolo, è un tuffare lo sguardo nell’abisso, ma è proprio su questo limite che la creazione si fa insieme a noi.

Come suggerisce anche la poetica di Rilke, è solo quando osiamo lo sguardo sull’Aperto, quando davanti a noi nulla più ci offende e difende, quando ci doniamo vulnerabili all’amore della conoscenza, che il genio offre i suoi miracoli  .E la genialità sta nella giovane età. Non è certo a caso che le più grandi scoperte che hanno cambiato il nostro modo di vedere la realtà, siano state intuite da giovani uomini e donne, Marconi aveva ventidue anni quando buttò l’audacia oltre la collina e Werner Heisenberg ventitre anni quando ha avviato la più radicale rivoluzione scientifica di ogni tempo: la fisica quantistica.

In questo piccolo ma denso libro di Rovelli edito da Adelphi, cita l’ultima di copertina: non solo si ricostruisce, con formidabile limpidezza, l’avventurosa e controversa crescita della teoria dei quanti, rendendo evidenti, anche per chi la ignora, i suoi passaggi cruciali, ma la si inserisce in una nuova visione, dove a un mondo fatto di sostanze si sostituisce un mondo fatto di relazioni, che si rispondono tra loro in un inesauribile gioco di specchi. Visione che induce a esplorare, in una prospettiva stupefacente, questioni fondamentali ancora irrisole, dalla costituzione della natura a quella di noi stessi, che della natura siamo parte.

Per chi come me è da tempo appassionato e rapito dal mondo delle relazioni, da quel magico intreccio che nulla ha a che vedere con il relativismo (come molti subdolamente spingono ) ma quella capacità in noi da allenare, di un pensiero che sappia connettere, trascendendo il mentale, per accogliere l’invisibile, ma non per questo inesistente, realtà simbolica, quella parte della Vita che penetra in ogni cosa, legando le une alle altre, in un meraviglioso mosaico dove la somma delle partim non è l’intero.

Per la natura tutto è un problema già risolto, siamo noi umani che abbiamo il potere di trovare davvero il nostro centro e il nostro senso, inter-in-dipendente con ogni altra cosa e i poeti, che la sanno sempre più lunga, ci lasciano tracce fertili, come ne: La tempesta, l’ultima opera di Shakespeare, dove – scrive Rovelli – dopo aver fatto volare il suo pubblico nell’immaginazione e averlo portato fuori di sé, Prospero / Shakespeare lo conforta: “Amico mio, mi sembri scosso. Come se tu fossi sconcertato. Allegro signore ! La nostra festa sta finendo. Questi nostri attori, comevi avevo predetto, erano spiriti e si sono sciolti nell’aria, nell’aria sottile”. Per poi dissolversi sommessamente in quel sussurro immortale: “ Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno”.

Come l’interculturalità e l’intraculturalità di Raimon Panikkar insegna : ogni visione è parziale. Non esiste un modo di vedere la realtà che non dipenda dalla prospettiva da cui guardiamo. Non esiste un punto di vista universale e non esiste una sola cultura che può prevalere sulle altre. E’ insieme che ci muoviamo, in un dialogo continuo dove ogni punto – ogni nodo della rete che siamo noi – si fertilizza, converge e la comprensione della realtà si approfondisce.

Come, nell’ormai storico libro di Fritjof Capra “Il tao della fisica “ micro e macro cosmo s’intrecciavano armoniosamente in un formidabile dialogo tra fisica e mistica, così la visione quantistica di Rovelli cammina in parallelo con quella di Raimon Panikkar; è sorprendente come a volte usino le stesse parole e le stesse visioni per raccontarci la realtà di quello che chiamiamo realtà.

Scrive Rovelli: “la miglior descrizione della realtà che abbiamo trovato è in termini di eventi che tessono una rete di interazioni. Gli “enti” non sono che effimeri nodi di questa rete. Le loro proprietà non sono determinate che nel momento di queste interazioni e lo sono solo in relazione ad ogni altro:ogni cosa è solo ciò che si rispecchia in altre.”

E scrive Raimon Panikkar ne La pienezza dell’uomo: L’individualità è solo “il nodo astratto”, ma un nodo senza filo non è nulla. La realtà è la rete e noi siamo nodi della rete, la realtà è relazione, è la relazione costitutiva della realtà. Persona è relazione, perché l’Essere è relazione.

Nel libro Rovelli ci accompagna a “vedere” che non c’è un soggetto distinto dalla realtà fenomenica, né – come scrive anche Panikkar – un punto di vista trascendente: ne è attore un pezzo stesso di quella realtà, a cui la selezione ha insegnato a occuparsi di correlazioni utili, informazioni che hanno significato. Il nostro discorso sulla realtà è esso stesso parte della realtà.

Il nostro io, le nostre società, la nostra vita culturale, spirituale, politica sono fatte di relazioni. La visione che avevamo del mondo è un’allucinazione che non ha più conferme, viviamo in un mondo frammentato e insostanziale, questa è l’allucinazione meglio in armonia col mondo che oggi possiamo descrivere.

Oggi, perchè ogni volta che qualcosa è messa in discussione, qualcosa d’altro sia apre, lasciandoci ogni volta stupefatti e senza parole davanti all’insondabile silenziosa forza del Mistero.       

Il Tao che si può dire Tao, non è il Tao.

di Patrizia Gioia

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