Immigrazione e conflitti, le relazioni fra l’Italia e la Libia

 1… Se il conflitto libico dovesse acuirsi- ha avvertito (o minacciato?) Serraj- migliaia di libici e non solo si riverserebbero in Italia.  Ecco, ci risiamo: per spingere l’Italia a entrare direttamente nel conflitto interno libico si continua con il gioco dei ricatti. La politica, la diplomazia, la dignità dei popoli sono state sostituite dal ricatto e, talvolta, dalla corruzione. In Libia e altrove. Anche questo è un segno inquietante dei tempi tristi che stiamo vivendo.

L’Italia non deve ingerirsi, ma agire affinché in Libia cessi il conflitto e vincano la pace e la concordia nazionale. In caso contrario, di fronte alla fuga di profughi di guerra, certo, non si potranno chiudere i porti anche se non sta scritto in nessun libro che devono accollarseli tutti l’Italia e l’Europa.

Saremmo, infatti, di fronte ad una nuova emergenza umanitaria internazionale che, in quanto tale, va affrontata in un quadro di responsabilità internazionale,in ambito Onu e in altri, ripartendone il carico, in misura proporzionata, ai Paesi europei ed arabi, in primo luogo a quelli che hanno provocato e alimentato il conflitto. Poiché deve finire questa storia che ci sono alcuni governi che accendono l’incendio e poi lasciano ad altri l’onere di riparare i danni. Si dovrebbe introdurre una norma che obblighi gli Stati bellicisti a far fronte alle conseguenze derivate in termini di accoglienza dei profughi e di ricostruzione delle città, delle economie distrutte.

La guerra in Libia l’hanno accesa alcuni Paesi importanti e ricchi quali gli Usa, la Francia, la Gran Bretagna cui si sono accodati alcuni stati arabi e islamici, quale il Qatar, la Turchia e purtroppo anche l’Italia. Così come lo Yemen è sotto attacco di una coalizione di sceiccati arabi, guidati dall’Arabia Saudita. D’altra parte, è preferibile accoglierli nei paesi confinanti poiché, finita la guerra, i profughi vorranno rientrare nelle loro case. Un esempio? La piccola e povera Giordania che, da anni, accoglie diverse centinaia migliaia di profughi provenienti da diversi Paesi del Medio Oriente: dai Territori palestinesi occupati dagli israeliani, dall’Iraq, dalla Siria, dallo Yemen, ecc.

2… Che fare? Agire per restituire al mite popolo libico il livello di benessere conosciuto nel recente passato e la speranza di una democrazia più evoluta e di vivere in pace con tutti i popoli del Mediterraneo e dell’Africa. Se in Libia c’è, oggi, un Paese europeo che sta rischiando qualcosa di grosso questo è l’Italia. Ho scritto, per tempo, che la guerra a Gheddafi era anche contro gli interessi italiani in Libia e che si poteva vincere la guerra ma perdere il dopoguerra.(1)

Esattamente, ciò è successo in questi 8 anni. Gli ultimi nostri governi hanno agito con dilettantismo e in posizione subordinata agli interessi strategici di paesi nostri concorrenti, per altro puntando sul cavallo sbagliato. Ed ecco il risultato: disastroso per il popolo libico e per la pace e la sicurezza nel Mediterraneo. Persistere nell’errore, oltre che un’inammissibile ingerenza, sarebbe un assurdo accanimento contro se stessi.

L’Italia, infatti, era (è?) il principale partner europeo della Libia. Non so bene oggi, ma nel passato Italia e Libia di Gheddafi potevano vantare un quasi pareggio della bilancia commerciale. Fatto unico con i Paesi arabi produttori d’idrocarburi. 

L’emigrazione si sviluppava in senso inverso: dall’Italia partirono circa 20.000 tecnici e operai per andare a lavorare in Libia. Un grande risultato politico ed economico, frutto della sapienza e della lungimiranza della nostra politica estera, elaborata e supportata da una intesa politica e parlamentare che accomunava maggioranza e opposizione del Pci.

La crisi libica è affare del popolo libico. L’Italia, l’Unione europea dovrebbero astenersi dalle ingerenze, dal vendere armi, semmai adoperarsi per favorire una soluzione politica del conflitto, per l’unità nazionale della Libia, politica e fisica.

3Non si può affrontare il dramma delle migrazioni verso l’Italia e l’Europa solo con il metro delle misure di sicurezza (in parte necessarie) oppure monetizzando le politiche di contenimento dei flussi. Tuttavia si deve por termine alle migrazioni clandestine. L’immigrazione deve avvenire nella legalità e nella solidarietà, nel rispetto delle leggi e della dignità umana.

Per il ceto politico italiano il dramma dei migranti non é un fatto umanitario, ma materia di vergognosa contesa elettorale fra i due schieramenti (razzisti e “buonisti”). Per i profittatori gli immigrati sono visti come merce da trafficare o da rinchiudere nei lager in condizioni disperate mediante accordi monetizzati mirati a bloccarli in Sudan o in Libia.

Fino a oggi, questo è stato il profilo delle politiche portate avanti dall’Italia e dalla U.E. Soldi, soldi, soldi per tenere lontani gli immigrati e soldi, tanti soldi, lucrati da trafficanti spregiudicati (spesso pregiudicati) che controllano i flussi, impongono ai malcapitati prezzi esagerati e condizioni di vera schiavitù.

Visti i pessimi risultati, appare chiaro che bisogna cambiare radicalmente le politiche migratorie nazionali e comunitarie.

Una nuova politica migratoria è possibile.

L’Unione Europea, il nuovo Parlamento che andremo ad eleggere a fine maggio, dovranno farsi carico del problema, proponendosi come centro di programmazione e di coordinamento delle politiche migratorie, creando un fondo specifico per finanziare le azioni necessarie.

A tal fine sarebbe auspicabile che l’U.E. promuovesse, con la partecipazione dei principali Paesi d’origine, una Conferenza intergovernativa sulle migrazioni per giungere ad accordi di programmazione e di regolamentazione dei flussi, di promozione dell’accoglienza, favorendo l’integrazione socio-economica e il rispetto dei diritti salariali e normativi dei migranti legalmente presenti nei singoli Paesi europei.

Così come sul versante delle organizzazioni non governative bisognerebbe rimodulare e re-indirizzare il ruolo delle Ong le quali devono produrre in loco formazione, istruzione e soprattutto assistenza allo sviluppo socio-economico locale, occupazione, cultura democratica, ecc. (2)

  

4… La situazione è difficile, al limite ingovernabile. Taluni pensano che possa essere risolta ricorrendo ai tribunali. 

Purtroppo, in fatto di diritti umani, di crimini di guerra lo stesso Tribunale internazionale, spesso invocato, c’è dove stravede e dove non vede.

Il problema delle migrazioni non può essere affidato alle corti di giustizia e nemmeno trattato,  strumentalmente, come cavallo di battaglia dello scontro elettorale fra i due partiti di maggioranza (lega e M5S) che stanno polarizzando il confronto, in un gioco delle parti davvero scandaloso ai danni dei migranti e di una “sinistra” (quale?) che – secondo l’editorialista di “La Repubblica” Federico Rampini- rischia di essere percepita dagli elettori come “il partito degli stranieri”.

Certo, alcuni eccessi ci sono stati e vanno condannati. Tuttavia, il problema non si risolve deferendolo ai tribunali (che devono accertare e condannare le eventuali responsabilità di chicchessia), ma con uno sforzo unitario di comprensione, d’impegno politico a tutela dei diritti di tutti: dei migranti e dei cittadini italiani che li accolgono.

    

5… Perché la Libia? A mio parere, la causa principale sta ne valore intrinseco, geo-economico e strategico, della Libia. Quanto vale la Libia? Molto, anzi moltissimo. Per le sue importanti risorse di idrocarburi (e anche per le sue riserve auree) questo Paese costituisce un boccone troppo ghiotto per le superpotenze mondiali le quali non intendono lasciare all’Italia il primato nelle relazioni preferenziali, economiche e anche politiche, conseguito durante i 42 anni della  gestione di Gheddafi. Questo mi sembra il punto politico dirimente.

La storia delle relazioni italo-libiche nel secondo dopoguerra è davvero emblematica di una concezione politica intelligente, accorta che, basandosi sul principio della reciprocità, ha consentito di costruire un rapporto solido e vantaggioso per entrambi i Paesi. A differenza degli ultimi governi, in passato l’Italia ha operato, da protagonista, per realizzare, con successo, una politica estera, relativamente autonoma, verso la Libia all’insegna della non ingerenza e della cooperazione in diversi campi.

Un passato che non può essere rimosso, anzi che andrebbe ricordato, nel bene e nel male, soprattutto alle nuove generazioni che sconoscono taluni passaggi-chiave di tali relazioni.

A iniziare dal dramma (nostro) della cacciata, nel 1970, dei circa 20.000 coloni italiani. Ai soliti tromboni che chiedevano guerra, i governanti italiani reagirono con saggezza e lungimiranza. All’indomani di quel drammatico evento, il ministro degli esteri italiano, Aldo Moro, incontrò il ventisettenne Gheddafi, leader della “rivoluzione” libica e insieme tracciarono le linee della futura collaborazione economica, commerciale e, anche, militare. Moro intuì le potenzialità del nuovo regime e le grandi opportunità che si delineavano per l’Italia e si adoperò, realisticamente, per incrementare e riequilibrare la bilancia commerciale e per rimpiazzare i 20.000 espulsi con 20.000 fra tecnici e operai specializzati italiani che sarebbero arrivati, di li a poco, al seguito di grandi e medie aziende italiane. Fra queste di grandissimo rilievo è la presenza dell’Eni e delle consociate.

Taluni, polemicamente, lo definirono “lodo Moro”. Lodo o altro, quelle intese funzionarono a lungo, con esiti reciprocamente vantaggiosi per la pace nel Mediterraneo e per il progresso socio-economico dei due Paesi.

Un rapporto laborioso, talvolta complicato, ma sostanzialmente leale. La nostra lealtà fu tale che quando, nel 1971, i nostri servizi scoprirono una nave di congiurati libici in partenza da Trieste per Tripoli con l’obiettivo di rovesciare il regime di Gheddafi con l’assistenza e le armi fornite dai servizi di sua Maestà britannica, l’on. Moro diede ordine al generale Vito Miceli, capo dei servizi, di bloccarla per far fallire il complotto. 

Come dire: bisognava salvare Gheddafi per salvare gli interessi italiani in Libia.

Altri tempi! Oggi, purtroppo, il nostro Paese è allo sbando, isolato e maltrattato nel consesso delle nazioni, alle prese con una crisi acuta, economica e di fiducia verso le istituzioni dello Stato e il sistema economico, che mina gli assetti e il fururo della convivenza democratica della società italiana. Speriamo bene.

(19/4/2019)

Agostino Spataro, giornalista, già membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati, è autore di ;

(1) “Nella Libia di Gheddafi” (2014)

https://www.lafeltrinelli.it/libri/agostino-spataro/osservatore-pci-nella-libia-gheddafi/9788891077394

(2) “Immigrazione. La moderna Schiavitù” (2018)

https://www.lafeltrinelli.it/libri/agostino-spataro/immigrazione-moderna-schiavitu-un-paese/9788892338661  

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*