Io, il Doganiere, Joyce e Kafka”

Era la prima volta che dovevo viaggiare in America e mi trovavo al JFK Airport di New York.

Stavo passando la dogana ed ero sottoposto alle consuete procedure di chi arriva dall’Italia.

Il doganiere era un ragazzo con gli occhiali, dall’evidente aspetto di uno studente universitario.

Controllò il mio passaporto, vide che venivo dall’Italia e mi chiese immediatamente se avevo nei bagagli salami, prosciutti ed alimenti simili.

Gli risposi sorridendo che non ne avevo affatto, ma sembra che tale domanda fosse di routine per tutti gli arrivi dall’Italia.

Poi, il giovane ricontrollò il mio passaporto e vide il nome della città in cui ero nato, al che esclamò immediatamente “James Joyce?” e mi rammentò che il grande scrittore aveva passato molti anni a Trieste: gli risposi che lo sapevo benissimo e che, non solo Joyce aveva insegnato per dieci anni alla British School, ma che parlava perfettamente il dialetto triestino.

A questo punto, molto interessato, il giovane fece un cenno ad un collega, ritirò le mie due valigie e si appartò con me per parlare. Mi chiese quindi altri particolari sul soggiorno del grande scrittore a Trieste ed io fui ben lieto di metterlo a parte di quello che sapevo, tenendomi come chicca finale il fatto che Jimmy Joyce, il nipote dello scrittore, del tutto simile nei tratti allo zio, aveva frequentato lo stesso mio liceo, la mia high school.

Non gli risparmiai neppure i dettagli sul fatto che lo stesso Joyce, più tardi, a Parigi, avesse diffuso a livello internazionale le opere di uno scrittore triestino alquanto sconosciuto, Italo Svevo.

Dal canto suo, il ragazzo mi informò che stava preparando una tesi di laurea su una delle prime opere di Joyce, “ Dubliners”, e che quindi lo interessava tutto quello che riguardava la vita del Maestro.

Ci trovammo d’accordo nel considerare Joyce una delle colonne del ventesimo secolo ed elencavamo i titoli delle opere maggiori con accenti esclamativi.

Alla fine del nostro colloquio, ci stringemmo caldamente le mani, gli feci un augurio per la sua tesi e ripresi il controllo delle due mie valige prive di salumi.

Mentre mi allontanavo mi passò per la mente qualcosa, mollai i due valigioni e raggiunsi il ragazzo: gli dissi che non potevo fare a meno di raccomandargli la lettura di un altro grande Maestro, senza il quale era difficile comprendere il passaggio dal’800 al ‘900.

Gli dissi che Franz Kafka era stato al centro della mia tesi di laurea e che lo consideravo assolutamente come una lettura obbligata.

Il ragazzo prese nota, volle sapere i titoli di qualche romanzo di Kafka e poi mi strinse nuovamente la mano, facendomi sapere sottovoce che quel lavoro di doganiere lo faceva soltanto per mantenersi agli studi.

Ripresi i miei due valigioni, mi avviai verso l’uscita e mi diressi verso la lunga fila di Yellow Cab, che mi avrebbero portato nel cuore di Manhattan.

Giorgio Penzo

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*