“Jojo Rabbit” di Taika Waititi

E’ possibile fare umorismo, anche leggero, su un fatto serissimo come il Nazismo e la persecuzione degli Ebrei?

“Jojo Rabbit” di Taika Waititi è la risposta.

Jojo (il piccolo e credibilissimo Roman Griffin Davis) ha dieci anni, vive a Vienna con la mamma (Scarlett Johansson) e ha un amico immaginario dispotico: Adolf Hitler. Nazista fanatico, col padre “al fronte” a boicottare il regime e la madre a casa a fare quello che può, è integrato nella gioventù hitleriana. Tra un’esercitazione e un lancio di granata, Jojo scopre che la madre nasconde in casa Elsa (Thomasin McKenzie), una ragazzina ebrea che ama il disegno, le poesie di Rilke e il fidanzato partigiano, Nathan.

Nemici dichiarati, Elsa e Jojo sono costretti a convivere, lei per restare in vita, lui per proteggere sua madre che ama più di ogni altra cosa al mondo. Ma il condizionamento del ragazzo svanirà progressivamente con l’amore e un’amicizia più forte dell’odio razziale. Ha scelto questo soggetto peculiare, Taika Waititi, per prendersi una vacanza dalle grosse maestranze Marvel, che lo vedranno di nuovo dietro la macchina da presa di “Thor: Love and Thunder”, e raccontare la vicenda di un bambino al tempo della Seconda Guerra Mondiale muovendo dal romanzo “Caging Skies” – il Cielo in gabbia di Christine Leunens.

Lontano dai binari del Marvel Cinematic Universe, lungo i quali ha diretto “Thor: Ragnarok, Taika Waititi torna a essere Autore con la A maiuscola dirigendo un film straordinario, in grado di far ridere e piangere nel giro di pochi istanti, come solo il miglior cinema sa fare. La sceneggiatura di Waititi è emozionata ed emozionante, la gestione della macchina da presa geniale e brillante, con idee e soluzioni di alto livello in alcune delicate parti del racconto.
Inoltre, il regista/sceneggiatore si è anche messo nei panni scomodi di Adolf Hitler, una figura caricaturale che inizia gonfiandosi e che pian piano va spegnendosi – anche perché cambia la percezione di Jojo e l’ammirazione che ha nei suoi confronti con il procedere del racconto.

A impreziosire ulteriormente l’opera, che parte come una leggera commedia superficiale e si trasforma molto presto in una pellicola che chiunque dovrebbe vedere, troviamo poi un cast davvero eccezionale, che svolge un lavoro da premio. In primis Scarlett Johansson, candidata all’Oscar quest’anno, nei panni di una madre dolcemente ambigua e amorevole, sempre pronta a fare il bello e il cattivo tempo; Con lei un Sam Rockwell colmo d’ironia dalla testa ai piedi, generale fantoccio di un Adolf Hitler ugualmente fantoccio, e una Thomasin McKenzie incattivita e perennemente sospetta, che solo nel corso della narrazione riesce ad aprire il suo cuore a chi le sta di fronte. Come dimenticare poi il piccolo Roman Griffin Davis, talmente grazioso nei panni di Jojo da sembrare quasi un fumetto, che si guadagna l’amore del pubblico in una manciata di istanti.

Candidato a 6 Premi Oscar quest’anno tra cui Miglior Film, Taika Waititi riscrive la storia a modo suo interpretando un Adolf Hitler buffo, caricaturale, che non impensierirebbe neppure una mosca. L’autore neozelandese è anche regista e sceneggiatore di un progetto che andrebbe mostrato nelle scuole, a chiunque in realtà che abbia un’età compresa fra i 10 e i 100 anni. Questo perché attraverso gli occhi innocenti del piccolo Jojo Rabbit si (ri)scoprono gli orrori del Nazismo, di ideologie fuori di testa che a metà del ‘900 hanno devastato gli equilibri del mondo e sventrato l’umanità senza fare sconti. Un’opera paradossalmente divertente, che mira non solo a dare un volto al terrore ma anche a dimostrare come – una volta svelata la verità dei fatti – sia possibile cambiare idea e passare dalla parte del bene, a suon di lacrime e (soprattutto) risate, come il miglior cinema sa fare.

Riccardo Coloris

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