L’ Europa volta le spalle ad Hasankeyf

Come forse è noto, no dei progetti faraonici di Recep Tayyip Erdogan è la costruzione di una grande diga idroelettrica sul fiume Tigri, nel sud-est della Turchia. Il progetto, tuttavia, minaccia di far scomparire l’antico insediamento di Hasankeyf, dove vivono più di  3.000 persone. Si tratta di una storia che si protrae da più di trent’anni e che vede protagonista la Turchia, alla ricerca di una sua autonomia energetica, fornita in questo caso da un sistema di dighe e sbarramenti idraulici (tra cui la diga del Munzur) e, soprattutto, una sua funzione di pressione sugli Stati vicini.

Ridvan Ayhan, del movimento “Mantieni viva Hasankeyf”, è cresciuto qui, in una delle cave della città millenaria. Oggi gru e camion hanno sostituito gli autobus dei turisti, che prima venivano ad ammirare i tesori archeologici della vallata. Se ne ricorda bene e non ha problemi a parlarne.  “Nel 75% del sito non sono stati fatti scavi, ci vorranno almeno 30 anni prima di finire tutto. Dobbiamo prima finire gli scavi, scoprire cosa ci insegna la storia e solo allora possiamo andare avanti. Dovremmo usare il pennello per spolverare, invece arrivano con i bulldozer“. Siamo di fronte ad un insediamento antichissimo sparso su decine di ettari di terreno, con sovrapposizioni di più popolazioni.

Le autorità hanno comunque in programma di trasferire i monumenti per salvarli, come questa moschea del 14esimo secolo, che andrà a fare parte di un museo all’aria aperta. Proprio su questo c’è una controversia, perchè – una volta sommersi – evidentemente i luoghi non saranno più come quelli di prima, anche  se si cercherà di salvare le testimonianze più significative di diecimila anni di storia.

Prima di riprendere il colloquio con gli arkadashlar  che si sono fermati a parlare con noi e che hanno reazioni differenziate, come bedremo ,  all’opera, cerchiamo di saperne di più su questo sito storico-archeologico bellissimo.

Hasankeyf

Hasankeyf (Kurmanji curdo: Heskîf, arabo: حصن كيفا, armeno: Հարսնքվ, greco: Κιφας, latino: Cepha, siriaco: ܟܐܦܐ) è un’antica città già capoluogo di “satrapìa” situata lungo il fiume Tigri nella provincia di Batman nella Turchia sud-orientale. È stata dichiarata area naturale protetta dalla Turchia nel 1981. La maggioranza della popolazione è di origine kurda, circa il 75%, è tradizionalmente bilingue, usando il turco come lingua ufficiale / formale. La particolare forma indoeuropea della lingua locale è il kurdo-kurmanji. Il restante 25% è turco, assiro o armeno.

Gran parte della città e dei suoi siti archeologici rischiano di essere sommersi dal completamento della diga di Ilisu.

Hasankeyf è un insediamento antico che ha portato molti nomi durante la sua lunga storia. La varietà di questi nomi è complicata dai molti modi in cui gli alfabeti non latini come il siriaco e l’arabo possono essere traslitterati. Alla base di questi molti nomi c’è molta continuità tra le culture nell’identificazione di base del sito.

La città di Ilānurā menzionata nei testi semitici accadici e nordoccidentali delle Tavole Mari (1800-1750 a.C.) potrebbe essere probabilmente Hasankeyf, sebbene siano stati proposti anche altri siti. Nel periodo romano, la città fortificata era conosciuta in latino come Cephe, Cepha o Ciphas, un nome che sembra derivare dalla parola siriaca ܟܐܦܐ (kefa o kifo), che significa “roccia”. Mentre le parti orientale e occidentale dell’Impero Romano si dividevano attorno al 330 d.C., Κιφας (Kiphas) ​​divenne ufficialmente il nome greco di questo vescovato bizantino. E tale rimase per lungo tempo.

Dopo la conquista araba del 640 d.C., la città divenne nota con il nome arabo حصن كيفا (Hisn Kayf). “Hisn” significa “fortezza” in arabo, quindi il nome in generale significa “fortezza di roccia”. Rapporti occidentali sulla città prima del 20 ° secolo si riferiscono ad esso con vari nomi che sono traslitterati dall’arabo o turco ottomano. Il più popolare di questi erano Hisn Kaifa e Hisn Kayfa, anche se una grande varietà di altri sono usati tra cui Ḥiṣn Kaifā, Ḥiṣn Kayfā, Ḥiṣn Kayfâ, Ḥiṣn Kīfā, Ḥiṣn Kîfâ, Hisn Kayf, Husn Kayfa, Hassan-Keyf, Hosnkeif e Husunkeïf. Due primi storici armeni elencano altri nomi per la città: Harsenkev (armeno: Հարսնքվ) è registrato da Matthew of Edessa (Mesrob Eretz) e Kentzy è registrato da P. Lucas Ingigian.

Come parte delle Riforme di Kemal Atatürk negli anni ’20 e ’30, molti nomi di luoghi furono modificati in altre forme dal suono turco e il nome ufficiale della città fu cambiato in Hasankeyf. Questa versione appare occasionalmente in relazioni estere nella metà del 20 ° secolo, ma diventa prevalente solo dopo il 1980. Nella lingua curda Kurmanji, la città è conosciuta come Heskîf.

Ma la storia del sito è molto più antica e merita qualche attenzione in più.
Durante l’età del bronzo medio (8.000 a.C.) l’area intorno a Hasankeyf era probabilmente parte dei regni di Hurrian. I testi semitici accadici e nordoccidentali delle Tavole Mari (1800-1750 a.C.) si riferiscono a Ilānurā, un’importante città fortificata su un grande fiume. Ilānṣurā è stato identificato provvisoriamente con Hasankeyf, anche se sono state proposte diverse località nel nord-est della Siria.

Verso il 14 ° secolo a.C., l’area di Hasankeyf era sicuramente  all’interno del regno di Hurrian dei Mitanni. Tra il IX e il VII secolo a.C. faceva parte dell’impero neo-assiro e verso la metà del VI secolo faceva parte dell’impero mediano.
In epoca romana, Hasankeyf (noto come Kepha, Cephe, Cepha o Ciphas) ​​era una base per legionari sulla frontiera con l’impero sassanide della Persia.

Per un certo periodo la città divenne la capitale della provincia romana di Arzanene, sebbene Nisibis (l’attuale Nusaybin, al confine con la Siria, un poco più a sud) fosse la sede delle Dux Mesopotamiae.  Costanzo II (324-361) costruì un forte a Kepha, ma non è chiaro se si trovasse nell’attuale sito della cittadella. E proprio questi studi, ancora in corso, sono fra le motivazioni addotte per sospendere il mega impianto di Ilisu.

] Tuttavia, nessuna delle strutture rimanenti del ponte sembra risalire all’epoca romana.

L’equilibrio del potere nella regione cambiò significativamente nel 363. Dopo la morte dell’imperatore Giuliano nella battaglia di Samarra, il suo successore Gioviano fu costretto ad arrendersi al re persiano Shapur II concedendo le province orientali di Arzanene, Moxoene, Zabdicene, Corduene e Rehimena. Ciò includeva 15 castelli, insieme con le città di Singara e Nisibis, ma non i loro abitanti, e la fortezza di Castra Maurorum. Di qui in avanti sono più chiari ed immediatamente riconoscibili i resti ancora oggi visibili. Sono di origine persiana, araba, pur mantenendo una struttura “bizantina”, rintracciabile soprattutto nelle istoriazioni e in alcune iscrizioni. Spettacolari i “bassi” costruiti direttamente nell’arenaria, sicuramente di origine bizantina e molto probabilmente frutto di un riuso di precedenti ripari risalenti all’età del Bronzo. Un luogo unico, assolutamente da salvaguardare.

Riprendiamo il “contatto diretto con gli amici (gli arkadashlar di cui sopra)

Come tutte le case del villaggio, anche quella dell’ex pastore Ahmet Akdeniz, presidente dell’associazione culturale Hasankeyf, sarà presto sotto acqua. Lui tuttavia non è preoccupato, visto che riceverà una nuova casa dal governo. E qui sta la “reazione differente” della popolazione che tende a valutare in modo diverso i nuovi insediamenti.  Ci dice: “Guarda, una casa di 45 mq senza cucina o bagno, dormiamo tutti nella stessa stanza. I bambini ora sono cresciuti e proviamo vergogna. Nella nuova città stanno costruendo appartamenti dove vivremo con dignità. Non vediamo l’ora che abbiano finito di costruire le nuove case“.

Hasankeyf è popolata da 10.000 anni: qui hanno vissuto assiri, romani, seljukidi, civiltà che hanno fatto di questa valle sul confine siriano la loro dimora. Torniamo sempre sullo stesso tasto, perché, ogni pietra, ogni sentiero “parla”. Trasuda, quasi, storia, basta saperne interpretare i segni. Un gradino con un riuso di un blocco romano con una “UQ” ben distinguibile, una serie di colonne in terracotta, apparentemente cave, ma molto robuste, a detta di Selim (un’altra delle nostre guide improvvisate) resto di antichi qanat persiani. Imponenti sistemi sotterranei di trasporto dell’acqua.

I pareri, però, sono discordi. I benefici economici della diga promessi dal governo turco non bastano  a Suleyman, proprietario di un Coffee shop  e di professione guida turistica:

Ho visto la nuova città. Non potrà mai piacermi un posto come quello. Io vengo da qui, queste cave sono la mia casa. Qui c’è il mio passato, le mie radici. Per me il lusso non è una casa con tutti i comfort, per me il lusso è questo“.

Il progetto è stato avviato nel 2006 e, secondo le stime, sarà ultimato per la fine del 2019. Per allora questa valle sarà diventata un lago artificiale.

Purtroppo la Corte europea per i Diritti Umani ha respinto l’appello per la conservazione di Hasankeyf ; di fronte a questo atto c’è poco da aggiungere. Se non rimarcare quanto sia diventato centrale e dirimente il potere di Erdogan.

Infatti a fine gennaio 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo (ECHR) ha respinto l’appello per la conservazione del sito archeologico di Hasankeyf e della circostante valle del Tigri, minacciata dalla diga di Ilisu e dal progetto di una centrale idroelettrica nella regione del Kurdistan in Turchia. La CEDU ha sostenuto che non esiste un diritto individuale universale di accesso al patrimonio culturale; così almeno pare dalla lettura (sicuramente parziale e condizionata) della convenzione della Convenzione europea sui diritti umani concordata tra gli Stati membri. Pertanto la Corte ha deciso all’unanimità che l’appello è inammissibile.

La decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo è  assolutamente  deplorevole, è una fuga dalle responsabilità di tutela di un bene mondiale come Hasankeyf collegato alla vicina valle del Tigri. Questo sito caratterizzato da beni culturali e naturali è indiscutibilmente uno dei più importanti siti del patrimonio nazionale in Turchia, come lo è per il Medio Oriente. Secondo il parere degli studio inglesi e degli stessi storici dell’Università di Ankara – potrebbe essere scavato per 100 anni almeno. Con un  potenziale culturale in grado di variare l’intera percezione della storia del periodo neolitico e antico ed è probabilmente più importante della Cappadocia, Efeso e della stessa Troia.

Una decisione della CEDU contro l’inondazione di Hasankeyf, avrebbe potuto innescare confronti in Europa per una migliore tutela legale dei siti del patrimonio culturale e l’accesso ad essi da parte delle persone.  Inoltre sarebbe stato uno strumento di pressione sul governo della Turchia per cambiare il suo approccio al Progetto Ilisu. Ricordiam che proprio quell’insieme di invasi, in territorio turco ma nella parte nord della Mesopotamia, condizionerebbe i mezzi di sostentamento in Iraq, danneggerebbe il sito patrimonio dell’UNESCO delle “Paludi della Mesopotamia” e condannerebbe l’Irak e le aree vicine alla marginalizzazione eterna..

La CEDU avrebbe potuto prendere una decisione per la conservazione del patrimonio culturale e naturale e per garantire il sostentamento di oltre 80.000 persone tuttora residenti nella zona. Ricordiamo che  l’UNESCO considera l’accesso al patrimonio culturale e naturale come un diritto umano fondamentale e anche un diritto all’educazione. Come pure rammentiamo che nel marzo 2017 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che considerava la distruzione e il contrabbando dei siti del patrimonio mondiale  come un “atto di terrorismo”.

Una grande domanda per noi tutti pesa come un macigno.  Perché la CEDU ha aspettato 13 anni per affermare che è “inammissibile” la richiesta di sospensiva per Hasankeyf ?. Oggi la costruzione del Progetto Ilisu ha raggiunto un’implementazione elevata (siamo al 65% dell’insieme delle strutture), mentre 8-10 anni fa non era stato costruito quasi nulla. La CEDU ha letto tutti i documenti e gli argomenti di dozzine di organizzazioni della società civile regolarmente registrate in Turchia (rappresentate da. Zeynep Ahunbay, Oluş Arık, Metin Ahunbay, Avukat Murat Cano e Özcan Yüksek) ma con l’esito che sappiamo.  Il bello che il ricorso è stato regolarmente presentato in Tribunale addirittura  nel 2006. Potere della burocrazia e,  soprattutto, potere di chi aveva interesse a far trovare il “fatto compiuto”.

È un peccato che la CEDU abbia evitato di assumersi le sue  responsabilità. In un periodo in cui il sistema giudiziario della Turchia si è praticamente volatilizzato, avrebbe potuto dare sostegno a molte persone sul fiume Tigri e in tutta la Turchia per difendere il proprio sostentamento e il patrimonio, contro progetti di investimento distruttivi e frutto di speculazioni. “Tuttavia le nostre lotte continueranno”. Ci dice fiero, nel suo kurdo quasi incomprensibile pure all’ottima traduttrice Rozlem, Selim Akfirat.

Glielo auguriamo di cuore.

Per saperne di più:
www.hasankeyfgirisimi.net
hasankeyfgirisimi@gmail.com

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