Come la battaglia di Lepanto sconvolse la nostra economia

Aydin (*)

Questa settimana vorremmo proporvi un piccolo gioco: esaminare un episodio della storia alessandrina secondo i metodi analitici della storiografia anglosassone. La scuola storiografica inglese, che personalmente apprezziamo nel modo più assoluto e a cui cerchiamo di adeguarci quando scriviamo, dà molta importanza alla tecnologia, alla scienza e all’economia, per lo più trascurate o minimizzate, salvo rare eccezioni, dagli storici italiani. Fatta questa premessa ritorniamo  al nostro gioco esaminando, ad esempio, la battaglia di Lepanto. Unico evento di rilevanza mondiale avente come primo protagonista un alessandrino, con conseguenze e ricadute sul nostro territorio.  La battaglia di Lepanto, come è noto, avvenne il 7 ottobre 1571 per volontà di Pio V, al secolo Michele Ghislieri, nato a Bosco Marengo nel 1504. Narrano gli storici che, quando gli echi del vittorioso scontro navale con cui si ridimensionò irreversibilmente il potere dei Turchi nel Mediterraneo, giunsero ad Alessandria, vi fu un gran gaudio con luminarie, tridui di ringraziamento, suoni di campane e festeggiamenti durati alcuni giorni. Se gli alessandrini  avessero saputo cosa stava loro per capitare in diretta conseguenza della disfatta turca, si sarebbero rallegrati assai meno. Nessuno è mai troppo allegro al proprio funerale. Quella vittoria fu per le nostre contrade la peggiore delle disgrazie, con conseguenze assai nefande per la nostra economia e contribuì a porre termine a uno dei periodi più prosperi nella storia della nostra provincia. Se l’agire di Pio V era stato spinto dal desiderio, del tutto giustificato per un Papa di quei tempi, di affermare militarmente il cristianesimo sull’islamismo, quello di spagnoli e portoghesi aveva prospettive ben più ampie  e il loro sguardo di abili mercanti arrivava fino alle lontane Indie. Approfittando della debolezza dei Turchi, i portoghesi circumnavigarono l’Africa, compiendo una delle più grandi imprese nella storia della marineria militare, e li batterono nel Mar Rosso in una seconda battaglia, ancora più importante di quella di Lepanto, anche se stranamente non riportata sui nostri libri di scuola. In questo modo la Compagnia delle Indie portoghese si assicurò l’assoluto dominio dei traffici tra l’Europa e l’estremo Oriente. Qui cominciarono le disgrazie economiche di Alessandria.  Oltre alle sete, al pepe, allo zenzero e alla cannella, i portoghesi iniziarono ad importare l’indaco in grande quantità e a prezzi stracciati. L’indaco è una sostanza colorante naturale estratta dai rami e dalle foglie della “ingofera tintoria”, pianta presente solo in Cina, a Giava e in India, fino ad allora assai raro e costoso in Europa. Il motivo era assai semplice. Prima dell’avvento dei Portoghesi l’indaco viaggiava via mare fino alla penisola arabica. Da lì a dorso di cammello arrivava a Costantinopoli per essere ceduto ai mercanti veneziani o genovesi che lo rivendevano in Italia e in Europa.  Comprensibile  come tutti questi passaggi ne portassero il prezzo alle stelle. A trarre il massimo vantaggio dall’alto costo dell’indaco erano proprio gli alessandrini che coltivavano con buoni guadagni un suo succedaneo, il “gualdo” o “guado” che dir di voglia (isatis tinctoria), un arbusto biennale da cui si poteva estrarre un colore analogo, seppure di qualità inferiore. Il gualdo era principalmente coltivato nei territori compresi tra Alessandria, il Po e lo Scrivia e veniva esportato a mazzi in tutta l’Italia centro settentrionale, fino a Firenze e a Prato, nonché oltralpe fino al Baltico. A controllarne il mercato pare fosse il potentissimo ordine degli Umiliati, proprietario in Alessandria di numerose filande e tintorie. L’ordine era stato sciolto da Pio V il 7 febbraio 1571, casualmente lo stesso anno della battaglia di Lepanto, ma la produzione del gualdo e le tintorie, seppure passate in altre mani, erano rimaste. La formulazione  della tintura, tecnicamente piuttosto complessa, era un segreto che ci è stato rivelato da recenti studi. Il gualdo veniva sminuzzato pestandolo in un mortaio e fatto macerare per qualche tempo in acqua con l’aggiunta di miele e calce come riducente. Il colore azzurro violaceo non compariva subito, ma in un secondo tempo,quando il tessuto, apparentemente immutato, veniva appeso ad asciugare, ossidandosi a contatto con l’aria, rivestendo il tutto di un alone di miracoloso mistero. In seguito il panno tinto veniva immerso in acque e allume di rocca (che arrivava da Cipro ed era monopolio dei Genovesi) utilizzato come fissante. L’avvento dell’indaco a basso prezzo provocò in breve tempo l’emarginazione del mercato del gualdo e la progressiva riduzione delle sue coltivazioni. Nell’alessandrino causò disoccupazione tra i tintori  e il passaggio forzato ad altre colture agricole tradizionale, ma assai meno redditizie. Il gualdo sarà poi rilanciato per breve tempo in epoca napoleonica quando, con il blocco marino operato dagli Inglesi, si interruppero le relazioni mercantili con l’ India. L’uso dell’indaco è oggi sparito, del tutto sostituito dai coloranti di sintesi, inventati  dai chimici tedeschi nella seconda metà dell’Ottocento, che danno tinte di gran lunga migliori, più uniformi e persistenti di quelle rese possibili dai coloranti naturali.

(*) Pseudonimo  postumo del nostro caro GUIDO MANZONE

IL PICCOLO 20 APRILE 1991

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