La crisi di governo: effetti sulle forze di sinistra

La recente crisi di governo, che il segretario della Lega e ministro degli interni Matteo Salvini ha aperto l’otto agosto scorso, ha degli effetti di non poco momento sull’assetto, già da tempo traballante, del vecchio centrosinistra e del PD in particolare. In premessa possiamo sostenere questo:

  1. Che la concezione del centrosinistra come aggregazione che è votata a gestire il compromesso fra grande capitale e forze tradizionali del movimento operaio e del centro cattolico, da almeno un decennio non ha più senso di esistere. La crisi economica che si è propagata in Occidente fin dal 2008 ha rotto i vecchi equilibri; le classi proprietarie non hanno più bisogno delle mediazioni partitico sindacali con il movimento dei lavoratori. Ciò determina un autonomizzarsi delle forze liberali di centro, come si può evincere anche dal caso francese, lasciando senza copertura politica il sindacato e disanimata la sinistra partitica.
  2. Ciò detto ne deriva che il progetto stesso del PD, che voleva essere il partito che racchiudeva in sé l’intera coalizione progressista, (la vocazione maggioritaria), non ha più senso. Il PD viene per questo superato e senza PD il centrosinistra come concetto politico di unità fra centro e sinistra non ha più nessuna pregnanza.
  3. Dunque, serve una nuova articolazione delle forze; centro liberale che rappresenta il grande capitale da un lato, sinistra che deve ricostruirsi di sana pianta come baluardo difensivo delle classi lavoratrici largamente intese dall’altra.

Questo processo politico, che chiamiamo lacerazione del Partito Democratico, o meglio che assume in questi giorni questa forma espressiva e fenomenica, ha una accelerazione proprio nel frangente in cui si apre la crisi del ministero Conte. Perché accade questo? Un processo politico e sociale che è nelle cose, che non può che generare i suoi effetti per porsi in aderenza con le trasformazioni sociali indotte dalla crisi e con i mutamenti di orientamento e di pensiero dei gruppi politici e di pressione elitarie e, anche, di massa, poteva produrre le sue ricadute in altri momenti e stagioni di questi tormentati anni. E, invece, tutto precipita adesso.

Il motivo di fondo credo sia questo: il formarsi di un nuovo partito dalle ceneri di un altro morente, può determinarsi concretamente solo se i nuovi gruppi dirigenti della compagine politica nascente trovano forza in un passaggio elettorale o nell’esperienza di un nuovo governo retto da una inedita coalizione di forze. Ecco la accelerazione che Matteo Renzi vuole imporre alla creazione di un nuovo soggetto liberale nel panorama politico italiano. Il vecchio schema politico, Centrodestra contro Centrosinistra, si era già consumato ampiamente negli ultimi dieci – undici anni. Di fronte ad una prova elettorale o alla creazione di un governo contrapposto alla destra di Salvini, si può dare avvio alla creatura, di centro in questo caso, che si pone il compito di spazzare via il vecchio e porre di fronte a tutti il nuovo schema di gioco.

Il nuovo schema di gioco è buono, è utile a battere le destre, è progressista e se si quanto? La risposta a queste domande va oltre il tema del perché un nuovo partito di centro nasca adesso dal centrosinistra morente. Alla domanda sulla efficacia della proposta di un moderatismo liberale per battere le destre di oggi si può rispondere così; la radicalizzazione della società attuale causata dalla crisi restringe il campo d’azione della politica dei moderati che possono conquistare solo i ceti abbienti dei centri storici delle grandi città. E’ chiaro, dunque, che le masse dei ceti medi e in parte delle classi lavoratrici saranno terreno di contesa delle forze estreme e sfuggiranno sempre più alla politica elitaria dei liberali. Infine, è progressista la politica dei liberali oggi? Se per progressismo si intende le libertà civili e le libertà di mercato e di proprietà, la risposta a tale domanda è affermativa; ma se intendiamo prendere in considerazione, come grandi temi caratterizzanti la democrazia, i diritti dei lavoratori e le diseguaglianze sociali da sanare inevitabilmente, allora la politica di centro attualmente non è affatto progressiva. Essa, la politica liberale per come si propone oggi, non coglie il dato centrale della epoca attuale, ovvero che il capitalismo distrugge e divora tendenzialmente la democrazia trasformandola, in prospettiva, in un sistema oscillante fra oligarchia elettiva e dittatura propriamente detta.

Resta, a questo punto, da definire, altrimenti, cosa possa accadere, invece, alla sinistra che non prenderà la strada indicata dal centro liberale. In sostanza, la domanda che si pone è questa: è possibile una rappresentanza partitica del lavoro oggi; e oggi è possibile una politica socialdemocratica dentro le camicie di forza dell’Euro e della guerra commerciale e monetaria fra Stati Uniti e Cina? Se si saprà rispondere positivamente a queste domande vi sarà allora la possibilità di ricostruire una sinistra dei lavoratori in Italia e nell’Europa intera. Ma rispondere con conseguente discernimento a tale quesito non è compito che può essere svolto nell’arco breve di questo articolo. Accontentiamoci, per il momento, di aver posto il quesito giusto per trovare domani, dopo opportuna ricerca, la risposta utile per il futuro progressista del paese.

Alessandria 14-08-2019 Filippo Orlando

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