La destra italiana non cambia

Mentre nel romanzo di Stevenson ad un certo punto il prevalente lato buono della personalità del dottor Jekyll viene sopraffatto da quello cattivo di mister Hyde, nel libro di Filippo Rossi, “Dalla parte di Jekyll. Manifesto per una buona destra”(Marsilio editori), la stabile, perenne, consolidata, egemone cattiva destra italiana non concede nulla al tentativo di far nascere una destra buona anche nel nostro Paese. L’autore sa che l’impresa è pressoché disperata non essendoci precedenti cui rifarsi e non avendo noi, perciò, mai avuto una destra liberale, democratica, europea. E così è costretto a inventarsi praticamente tutto, a sognare, a immaginare, a descrivere il bisogno di una destra fantastica, fuori dal mondo, che è tutto e il contrario di tutto: democratica e aristocratica, rivoluzionaria e conservatrice, mediatrice e decisionista, realista e sognatrice, laica e ideologica, passatista e futurista. Ritiene che il ricorso a tanti ossimori possa aiutare il lettore a meglio capire, mentre, in realtà, rende tutto il ragionamento soltanto più confuso e complicato. Vuoto. Pensa di poter dare sostanza ad una intrinseca gracilità concettuale elevando ad altezze paradisiache lo schema di una politica che non esiste e che è impossibile che esista: una politica <<delle buone maniere>>(cap. 2) fuori da ogni analisi degli storici livelli di civismo; che fa sua <<la bellezza come obiettivo>>(cap.4)senza alcuna valutazione della consistenza di una cultura comunitaria; che garantisce << il diritto alla diseguaglianza>>(cap.7) prescindendo dalla reale forbice sociale del nostro Paese; che persegue <<l’eroismo della bontà>>(cap.8)senza dirci come tentare di sanare il nostro storico divario fra cultura e politica; capace di ispirarsi ad <<un patriottismo amorevole>>(cap.10) senza dirci come cercare di superare la frantumazione della nostra identità.

Manca qualsiasi riferimento storico. Eppure sarebbe bastato tener presente, tra i tanti, anche soltanto il fondamentale e arcinoto libro –ormai un classico- di Guido De Ruggiero, “Storia del liberalismo europeo”, per capire le ragioni più profonde dell’assenza in Italia di una destra liberale. De Ruggiero, quasi per nostra completa comodità, le riassume in poche pagine, alle quali ogni studioso, o anche semplice cultore, della storia d’Italia attinge agevolmente. Si tratta di ragioni culturali, civili, politiche, economiche dipendenti dal permanere di irriducibili provincialismi, dalla lunga dominazione straniera, dal ritardo di un moderno sviluppo industriale e del formarsi di una moderna borghesia.

Rossi sorvola su tutto questo e riempie il libro di affermazioni con poco rigore e molto onirismo(<<la politica come avanguardia estetica>>(pag. 63); la decisione politica è <<in primo luogo un gesto artistico>>(pag.94);<<la politica deve sempre essere prometeica e quindi divina>>(pag.99);<<la politica deve trasformare il mondo in una opera d’arte>>(pag.100). Parole in libertà messe in fila da un’orgia di citazioni di varia provenienza e di autori molto lontani tra loro per concezione del mondo e appartenenza politica. Non manca nessuna ascendenza culturale, c’è tutto: marinettismo, dannunzianesimo, vitalismo, irrazionalismo, estetismo, misticismo, esoterismo, liberalismo, marxismo(un pizzico), una spruzzata continua di new age.

Il lato positivo del libro è che, comunque, testimonia della presenza di una sensibilità di destra scontenta di se stessa, che si vergogna delle sue attuali espressioni politiche, che vorrebbe essere contemporanea del tempo che vive e che soffre perché si rende conto dell’impossibilità della cosa. La destra inesistente vagheggiata da Rossi fa venire subito in mente un’analogia storica proveniente sempre dal mondo conservatore cui Rossi appartiene: quella della costituzione dei fasci in contrapposizione alla destra tradizionalista. Anche i fascisti del 1919, infatti, proprio come fa ora Rossi contro l’attuale destra radicale, propongono un programma per una destra moderna e ‘democratica’. In questo programma vi sono punti molto avanzati, dirompenti: l’introduzione del suffragio universale, la convocazione di una assemblea costituente, la riforma della burocrazia, l’indipendenza della magistratura dal potere esecutivo, il disarmo generale, la tassazione della ricchezza privata, la gestione cooperativa della produzione, dare la terra ai contadini, ecc.. Dunque, nulla di nuovo sotto il sole. La destra italiana ha sempre avuto nel suo repertorio proposte a parole rivoluzionarie, cosicché quello che dice Rossi appare davvero un déjà-vu.

Il fatto incontestabile da tenere presente è che nella storia d’Italia dal Novecento in poi mai la destra ha razzolato come ha predicato e che tra le sue proposte e la sua effettiva condotta politica vi è sempre stato un divario incolmabile.

Egidio ZACHEO

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