La pelle dell’orso

Non si può abbassare la guardia. I segnali di questi giorni sono chiari, fin troppo. Con la consueta franchezza lo ha ripetuto a SktTG24 Andrea Crisanti, l’esperto che per – coerenza e risultati – si è guadagnato la fiducia del paese. A Ottobre e Novembre, dobbiamo mettere in conto che i focolai si moltiplicheranno. L’Italia non vive in una bolla. È bastato riaprire le frontiere e sono ricomparse le emergenze. Controllabili, per il momento. Ma l’indice di contagio è schizzato di nuovo sopra la fatidica soglia di 1 in diverse regioni. È vero. Non si possono più tenere sessanta milioni di italiani sotto chiave, e con questo clima. Ma l’autunno potrebbe presentarsi molto più problematico di quanto in molti vorrebbero illudersi. Su almeno tre fronti, sui quali dovremmo affrettarci a preparare scenari di risposta all’altezza della drammaticità della sfida.

Il primo, è la circolazione tra gli stati. La situazione americana resta fuori controllo. Come quella dei Balcani, e in Russia. La Cina rimane un’incognita. Non c’è bisogno di consultare le statistiche, per capire che stiamo parlando di una fetta enorme – e in espansione – del nostro commercio estero. E, più in generale, del network imprenditoriale italiano. È impensabile che si continui a fare tutto a distanza. Ma non si vedono, dal governo, segnali di corsie preferenziali dedicate a quei canali geopolitici che sono oggi gravemente a rischio. Aiuterebbe sapere che c’è – almeno – una task force dedicata a programmare e supportare questo snodo che può rivelarsi, in poche settimane, un ingorgo con costi enormi per il sistema paese.

Poi, c’è la circolazione negli uffici. Quanto ancora la ricetta magica – smartworking – potrà nascondere la realtà di uno Stato che, in molte delle sue branche, ha rinunciato a controllare la propria – ridottissima – produttività ed efficacia? Si è facili profeti a immaginare che, se il covid non dovesse mollare la presa, il primo provvedimento sarà tenere a casa a tempo quasi indeterminato la maggioranza dei dipendenti pubblici. In balia, praticamente, di se stessi. E consentendo quella che, per molti, è stata – nelle lapidarie parole di Sabino Cassese ieri, sul Sole24Ore – «una grande vacanza». Mentre – ancora Cassese docet – la nostra pubblica amministrazione dovrebbe recuperare il ritardo epocale per cui «è stata sempre sconosciuta negli uffici italiani perfino la più semplice razionalità economica e organizzativa che ha permeato il secolo scorso». Ovviamente, come sempre in Italia, anche lo smartworking è una realtà a pelle di leopardo. E se molti sono andati in vacanza, molti altri si trovano alle prese con ritmi di superlavoro e iperresponsabilità. E con dinamiche di gruppo innovative, che spingono a utilizzare al meglio le potenzialità del digitale. Ma cosa sta facendo il governo per trasformare il lavoro a distanza in una grande opportunità di crescita e modernizzazione, piuttosto che in una superfetazione di normative regolamentari per uso e abuso sindacale?

Last not least, la circolazione degli studenti. Sono la categoria più a rischio di penalizzazione da covid. Lo abbiamo scritto e lo ripetiamo. Districarsi nel ginepraio delle scuole – e dell’oblio trentennale per cui le abbiamo ridotte in questo stato – non è una impresa titanica. È impossibile. Però, presenta un grosso vantaggio. Se davvero i ministri competenti, e in primis il Capo del governo, fossero in grado di trasformare la battaglia che a ottobre si combatterà nelle scuole in una bandiera – la bandiera – della nuova Italia che vogliamo, avrebbero dalla loro parte i giovani. Il bene più prezioso, strategico e irrinunciabile su cui dovremmo investire. Il vero bene comune dell’Italia.

Smettendola di mettere al centro del dibattito – e dello scontro – politico gli spazi fisici: quando riapriremo, quanti studenti per classe e in quali giorni. Consumando faide intestine, solo per scoprire all’improvviso – come purtroppo non possiamo escludere – che dovremo ritornare a chiudere: tutto, senza se e senza ma. E allora? Saremo almeno riusciti a mettere in campo e nelle aule – fisiche, virtuali, ideali – un’idea nuova di scuola? Una scuola molto più ecologica, inclusiva: una scuola ibrida, capace di utilizzare l’interazione in rete non come un surrogato di fortuna ma come una nuova frontiera educativa da affiancare alla insostituibile frequentazione faccia a faccia? La scuola ibrida che la generazione Greta porta nel cuore, e nella mente.

Fino ad oggi, per nostra fortuna, il caos di una pandemia imprevedibile ha trovato un punto di ancoraggio nella popolarità del governo, e del suo premier. Ma sappiamo che la parte più difficile è quella che deve ancora venire. E non basta l’abile lavoro di restyling della Presidenza del Consiglio, rimessa al centro del sistema politico dopo l’usurpazione – e la confusione – partitica dell’esperienza gialloverde. Occorre quello che un tempo si chiamava un discorso di verità. Dire agli italiani che la strada della ripresa è ancora lunga e in salita. Che forse siamo in grado di rispondere alla nuova emergenza sanitaria che – molto probabilmente – arriverà. Ma che in molti settori strategici, non c’è alcuna normalità all’orizzonte. Anzi, rischiamo un patatrac se non utilizziamo questa crisi per rimettere il paese in pista proprio dove più gravi e intollerabili sono le nostre carenze. Ci saranno componenti influenti del mondo imprenditoriale che si ribelleranno, e premeranno per riaprire a ogni costo, e rischio. E una parte – forse – preponderante della PA che si rifiuterà di abbandonare routine e privilegi che la condannano all’irrilevanza. E nella scuola e nelle università, si alzeranno le grida di dolore di chi vorrebbe che la nottata passasse, e tutto ritornasse indietro: a quegli equilibri di potere corporativo in cui l’ideologia ottocentesca dell’insegnamento humboldtiano nasconde la distanza abissale tra il docente i nativi digitali con i quali si relaziona ogni giorno.

Ribellioni, sabotaggi, resistenze. Ma c’è qualcuno che ancora si illude che da una crisi di questa portata si possa uscire con qualche palliativo, e un forbito elenco di rassicurazioni. Non sappiamo se dopo le – rapide – metamorfosi di cui è stato capace, Giuseppe Conte riuscirà anche a trasformarsi in un Premier di lotta e di governo. Ma, per la sopravvivenza – sua e dell’esecutivo – non sembrano esserci molte alternative.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 6 luglio 2020).

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*