La questione meridionale ridotta a conflitto Nord-Sud

Apprendiamo dal recente libro di Lino Patruno – “Imparate dal Sud. Lezione di sviluppo all’Italia” (Magenes Ed. pp. 372) – che la “questione meridionale” praticamente non esiste e se esiste è solo per cause esogene, per nessun elemento storico-culturale endogeno. Esiste solo, secondo l’autore, per la brutale politica antimeridionale dello Stato divenuto unitario (1861), col quale, appunto, d’emblee <<nacque una Questione Meridionale inesistente prima>>. Da quel momento fatidico, infatti, tutte le leggi nazionali sarebbero state fatte a danno del Sud.

Gli elementi oggettivi della premodernità in questo nel libro diventano virtù da preservare. Così, il “familismo amorale” denunciato dal sociologo Edward C. Banfield è considerato positivamente persistenza del valore della famiglia; la solidarietà di villaggio: elemento della grande umanità del Sud; la società precapitalistica meridionale: una società che non ha niente da invidiare allo sviluppo del Nord; la “civiltà del cortile”: prova del valore dell’amicizia; il clientelismo diffuso: elemento di mutuo soccorso; l’“economia del dono”: capacità di esportare umanità.

C’è una grande quantità di dati, cifre, nomi, messi insieme senza un collante storico e senza una plausibile spiegazione causale (se non, appunto, la “cattiveria” dello Stato e del Nord), per dimostrare quanto numerosi siano i primati che il Sud può vantare, quanti e quali record abbia battuto, quanto grande sia la sua capacità creativa anche nelle condizioni più difficili. Per questo, l’autore si sente legittimato a sostenere, fin dal titolo, che l’Italia e il Nord devono imparare dal Sud, devono prendere “lezioni di sviluppo” proprio dal Mezzogiorno. Tutta l’Italia, insomma, per Patruno dovrebbe diventare una magnifica “questione meridionale”.

Come Roberto Napolitano nel libro “La grande balla. Non è vero che il Sud vive alle spalle del Nord, è l’esatto contrario” (La Nave di Teseo, 2020), Patruno fa suo tutto il repertorio, ormai in voga, delle tesi del “neoborbonismo”. Contesta, anche, con non poche valide ragioni molte altre “tesi” sul Sud altrettanto fuorvianti e faziose: quella naturalistico-geografica di un Sud considerato dal Nord antropologicamente diverso, quasi un altro pianeta popolato da alieni. Quella economicistica di una landa economicamente arretrata e condannata a rimanere tale. Quella di un Sud che vive sulle spalle del Nord. Quella di una regione d’Europa colpevolmente fatta rientrare nella categoria del sottosviluppo.

La conclusione dell’ampio lavoro -estrema, radicale, a suo modo paradossale- è che <<il Sud è il nuovo baricentro che il mondo cerca per salvarsi. Il Sud ha vinto>>. Peccato, però, che nonostante questa “vittoria” il nostro dualismo, stando ai dati recenti, permanga e, purtroppo, addirittura si accentui. Nel suo ultimo rapporto riguardante il tema del divario Nord-Sud la Banca d’Italia, infatti, documenta, tra l’altro, come al Sud <<il settore privato, già fortemente sottodimensionato rispetto al peso demografico dell’area, si sia ulteriormente contratto e presenti ora una composizione ancora più sbilanciata verso attività produttive a minore contenuto di conoscenza e tecnologia e a più bassa produttività>>. A questo riguardo, lo Svimez conferma che il Mezzogiorno vede progressivamente una specializzazione produttiva in settori tecnologicamente di retroguardia. Non molto tempo addietro, il professore Forges Davanzati, dell’Università del Salento, ha ragionato proprio sul <<fallimento strutturale del modello produttivo prevalente nelle regioni meridionali>>.

Questa palese contraddizione presente nel libro fra un Sud pieno di qualità e un Sud che permane nella sua arretratezza l’autore la spiega facendola rientrare nella superficiale categoria neoborbonica della “cattiveria” dello Stato nazionale. Insomma, un Sud sviluppato e dal buon livello di vita prima del 1861 sarebbe stato, poi, permanentemente vittima delle politiche dello Stato unitario

Naturalmente, le cose non stanno così: per ragioni storiche che sono di molto precedenti l’Unità e che Patruno ignora del tutto. Nel libro è assente perfino la semplice ipotesi (invece sempre più documentata e accreditata dagli storici di vaglia) che il nostro dualismo sia stato “ereditato” e non “prodotto” con l’Unità. La “questione meridionale” è proprio il portato della lunga storia di divisioni del nostro Paese e, pertanto, comincia assai prima di quanto si creda. Si pensi, per fare un esempio, che gli Angioini, dominatori del Regno del Sud, per marcarne la differenza dal resto d’Italia, tentarono di imporre qui la lingua francese come lingua ufficiale prima ancora che in Francia.

Il nostro dualismo, in realtà, si avvia già dopo il Mille allorchè nel Centro-Nord, assente una formazione politica unitaria, si dà vita a numerose grandi città e nel Sud si realizza invece una formazione politica unitaria fedele alla Chiesa. Il fallimento politico di Federico II conferma la dipendenza dalla Chiesa dello stato meridionale unificato e avvia una sua “rifeudalizzazione”,mentre nel Nord si ha un frazionamento localistico con lo sviluppo politico di Comuni, Signorie e Principati. L’anomalia italiana della presenza della cosiddetta “questione meridionale” è già tutta qui e si aggrava nel tempo. Sono già qui le fratture via via sempre più vistose fra Nord e Sud, fra un Nord a forte tradizione civica senza unità ma economicamente dinamico e un Sud con una formazione statuale unitaria ma politicamente ed economicamente arretrato. Fra un Sud senza modernizzazione socio-economica e con scarsa presenza di una cultura tecnico-scientifica e un Nord moderno economicamente ma a debole cultura umanistica e “nazionale”.

Da questo passato remoto vengono tutti i ritardi e le contraddizioni di uno Stato unitario dalla politica sempre più premuta -come dice Umberto Cerroni- <<da interessi economici concentrati a Nord e esigenze clientelari orientate a Sud>>. Si comprende allora perché nel nostro Paese sia stato sempre difficile un ricambio politico senza traumi e un processo di effettiva inclusione delle masse nella vita politica moderna. La “questione meridionale” non può essere ridotta, perciò, alla questione del Nord contro il Sud, come sembra fare Lino Patruno, ma deve essere vista come la “questione Italia” che reclama <<una profonda riforma della nostra coscienza nazionale, un approfondito processo di unificazione culturale>>(Cerroni).

Egidio ZACHEO

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