Lanciati dal pensiero – René Daumal

“Il monumento per eccellenza dell’India antica è la sua lingua. È nella materia verbale che gli antichi indù hanno intagliato le loro Piramidi, le loro Sfingi, le loro Ziggurat”.

Basterebbe questa felice formulazione/immagine ideata dal poeta, scrittore, traduttore, nonché filosofo francese René Daumal (1908-1944) ‒ tratta dal suo saggio: Lanciato dal pensiero, recentemente pubblicato da Adelphi ‒ a testimoniare il suo amore per il sanscrito e la sottolineatura della portata/vastità culturale di tale remotissima e veneratissima lingua, il cui ruolo basilare nella tradizione indiana è analogo a quello del latino e del greco antico in Occidente. Si pensi solo ai testi religiosi dei Veda o ai poemi epici Mahābhārata e Rāmāyaṇa, tramandatici appunto in sanscrito.

È a vent’anni che Daumal decide di dedicarsi allo studio del sanscrito, mediante un indefesso impegno che poi non verrà mai meno sino alla morte. Il suo non sarà però solo un tentativo di assimilare e comprendere a fondo i meccanismi complessi o le sfaccettature/sfumature davvero intraducibili di un codice linguistico esotico; il lavoro di scavo nel sanscrito e nelle opere della religiosità indiana da parte di Daumal non si ridurrà mai a mera traduzione/erudizione, divenendo piuttosto lavoro interiore ed autentica ricerca spirituale, sulla scia della finalità perseguita da ogni saggio di ogni epoca indiana: ottenere la cosiddetta liberazione (mokṣa). Obiettivo comune sia all’induismo che al giainismo, al sikhismo e al buddhismo. Liberazione, variamente interpretata e diversamente raggiungibile a seconda del contesto religioso, che è stata comunque da tutti intesa sia quale salvezza dal circolo vizioso delle rinascite (saṃsāra), sia quale raggiungimento d’una elevata condizione o pienezza spirituale.

Conoscere i meccanismi che ci schiavizzano impedendoci di liberarci implica in prima istanza ‒ scrive Daumal ‒: “cessare di identificarsi con essi, mediante la «conoscenza che separa» (viveka), conoscersi e realizzarsi come personalità (puruṣa), identificarsi con il proprio «sé» (ātman)”. È l’auspicato superamento dell’egocentrismo, del piccolo sé, per poter giungere a identificarsi nel grande sé, ovvero col Brahman senza dualità, che per le Upaniṣad rappresenta l’origine di ogni cosa, l’Assoluto ma anche il tutto, singoli individui compresi.

Traducendo parte dello Yogasutrai Daumal ci ricorda quali siano, secondo il pensiero tradizionale indiano, i cinque ostacoli alla liberazione. In primo luogo l’“errore” o illusione/ignoranza, che: “consiste nel considerare come eterno, luminoso (puro), felice e realmente sé quel che non è eterno, non luminoso (impuro), doloroso e non è realmente sé”. In secondo luogo: “l’egoità”; impedimento stigmatizzato dai mistici di ogni periodo e latitudine pure in Occidente, perché non ci permette di evadere dalla monade/prigione dell’io, tutto preso da quella malattia spirituale che gli antichi Padri della Chiesa chiamavano philautia o eccesso d’amor proprio. In terzo luogo: “l’attaccamento” ai piaceri d’ogni sorta, non deprecabili in quanto tali ma rischiosi per la dipendenza che spesso inducono. In quarto luogo: “l’avversione”, che ci fa detestare/disapprovare a priori persone, cose o situazioni per partito preso.  Infine il quinto ostacolo, che risulta determinato da quella che Daumal chiama “incrostazione”, la quale riassume e potenzia gli altri impedimenti essendo il legame dei legami, cioè quello relativo al nostro corpo, che vorremmo abitare/mantenere perpetuamente e il cui venir meno ci angoscia.

Il prosieguo, dopo una simile diagnosi, non può che incentrarsi sulla cura, su come liberarsi cioè da detti ostacoli. La medicina, a detta degli antichi psicoterapeuti indiani, è una sola. Si tratta di praticare la meditazione, definita efficacemente/poeticamente da Daumal come: “la concentrazione del pensiero su di una punta unica”; poco importa essa sia costituita dall’attenzione al respiro, dalla recitazione/reiterazione di un mantra o dalla pura e semplice consapevolezza dell’attimo che stiamo vivendo.

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