Covid 19: in Università non va tutto bene

La Segretaria della Flc-Cgil di Alessandria Serena Morando ci ha inviato un commento, che volentieri pubblichiamo, sulla situazione dell’Università del Piemonte Orientale in riferimento all’emergenza Covid 19.

“In Università non sta andando tutto bene. La riapertura è segnata da risorse limitate, dalla scelta del MUR di enfatizzare l’autonomia competitiva, da un improprio ruolo della CRUI di coordinamento del sistema universitario nazionale, oltre che dall’ambigua indicazione della didattica blended. Ogni ateneo sta riaprendo i corsi con formule e formulazione diverse, nelle procedure e nei processi decisionali, nelle priorità delle presenze, nelle modalità didattiche implementate. In questo quadro, la tendenziale disarticolazione del sistema universitario può approfondirsi anche per alcune improvvide ipotesi di rendere strutturali le modalità didattiche emergenziali.

Su quest’ultimo punto il quadro normativo è complesso, ma riteniamo importante che l’insieme dei docenti universitari si attivi in difesa della libertà di insegnamento. In primo luogo, contribuendo alla definizione di più precise indicazioni in difesa dei propri diritti e invitando l’intera comunità accademica a discutere nei rispettivi Atenei e strutture didattiche limiti e problemi delle scelte compiute in questi mesi.

La comunicazione prevalente sull’università, in queste settimane e in questi mesi, è che sostanzialmente sta andando tutto bene. Non è esattamente così.

Gli investimenti per la gestione dell’emergenza sono stati estremamente limitati [180 milioni di euro per l’estensione della no-tax area e delle borse dell’ultimo anno di dottorato, un centinaio di milioni per i supporti tecnologici]. Diversamente da altri settori, le università non hanno potuto implementare uno sforzo straordinario per mettere in sicurezza gli atenei, ampliare gli spazi, duplicare (o moltiplicare) i corsi, riducendone quindi la dimensione numerica per riuscire a tenerli tutti (o quasi) in presenza.

Si è invece scelto di concentrarsi sostanzialmente sulla didattica a distanza: il MUR  ha indicato, a risorse più o meno immutate, la soluzione della didattica a distanza generalizzando l’impostazione blended di alcuni corsi. Per didattica blended, nella normativa universitaria, si è sempre inteso quei corsi di studio che prevedevano parte delle attività in presenza e parte a distanza.Il MUR e gli atenei, in realtà, hanno rivisitato e riconfigurato questo termine, nel quadro della didattica a distanza emergenziale che si è sviluppata nella scorsa primavera.

Le università e le università italiane in particolare hanno una lunga esperienza di didattica a distanza: una delle prime strutture al mondo a implementarla fu il Consorzio Uninettuno nel 1992 (con trasmissione satellitare delle lezioni) e da allora si sono sviluppati non solo numerosi corsi telematici .Una lunga esperienza che ha permesso di verificare e contenere i limiti di questa particolare modalità didattica..

Nel corso della primavera, ovviamente, di tutto questo non si è tenuto conto: in emergenza si è semplicemente trasferito i corsi on line. Meno ovvio è che il MUR e gli Atenei abbiano scelto sostanzialmente di non considerare queste indicazioni per l’autunno, pur avendo a disposizione questa esperienza e questa formalizzazione. Si è deciso invece di replicare la didattica a distanza emergenziale (semplice trasferimento on line dei corsi, in alcuni casi videoregistrati), di intervallarla con lezioni in presenza (didattica blended) o di introdurre l’innovativa e mai sperimentata lezione blended [cioè una lezione in presenza ripresa e trasmessa on line o videoregistrata].

Così, il nuovo anno accademico è organizzato parte in presenza e parte a distanza, con formule e formulazioni diverse a seconda degli Atenei. Tutto questo è avvenuto infatti in assenza di indirizzi, protocolli o indicazioni nazionali, per un’esplicita scelta politica del MUR che prima ha enfatizzato l’autonomia competitiva degli Atenei e poi, nel corso dell’estate, ha sostanzialmente devoluto il ruolo di coordinamento ed indirizzo del sistema universitario nazionale alla CRUI (un’associazione privata che non raccoglie nemmeno tutti i Rettori delle università italiane).

Di conseguenza, ogni ateneo ha non solo adottato scelte operative diverse, nel quadro delle sue specifiche condizioni (dimensioni, spazi, ecc) e della sua autonomia gestionale, ma ha anche stabilito propri indirizzi didattici, procedure, compiti del personale e norme di sicurezza, differenziati e talvolta contrastanti con quelli degli altri atenei.

Proprio in questo contesto di disarticolazione si è tenuta mercoledì 4 novembre un’assemblea del personale docente dell’Università del Piemonte Orientale a cui hanno partecipato Luca Scacchi del Forum della Docenza Universitaria e Luisa Limone Segretaria Generale FLC CGIL Piemonte oltre alle rappresentanze sindacali FLC CGIL.

Tale assemblea è stata sollecitata dalle dinamiche interne e delle scelte sia generali e sia interne di Ateneo. Tali scelte hanno riguardato soprattutto le modalità di gestione dell’emergenza e le scelte in relazione alla sicurezza e alle modalità didattiche.

L’università del Piemonte Orientale si è distinta, anche in questa fase, come uno degli Atenei dove le relazioni sindacali sono state e continuano ad essere più complesse e problematiche.

Sicuramente la scelta del MUR e del Ministro Manfredi di estrema valorizzazione delle autonomie dei singoli atenei, evitando di dare indicazioni unificanti anche a livello di Protocolli di Sicurezza ha favorito un processo di disarticolazione e disomogeneità per cui ogni singolo ateneo ha strutturato o “destrutturato” modalità organizzative e didattiche.

In questo contesto di autonomia spinta, UPO non ha attivato un  processo di condivisione con gli organismi accademici e si è contraddistinto per la mancanza di una comunicazione chiara, trasparente fondata su atti e regolamenti scritti e formalizzati.

Questa scelta ha una chiara impronta verticistica che ha imposto al sindacato di aprire una discussione e un confronto tra i docenti dell’Ateneo su come garantire il diritto allo studio degli studenti da una parte, e dall’altra su come garantire la sicurezza alle lavoratrici e ai lavoratori ed alla comunità tutta.

All’interno del Comitato Covid di UPO l’atteggiamento è stato di totale chiusura e improntato a scelte autoritarie nonostante il dissenso manifestato dalla rappresentanza sindacale soprattutto in tema di lavoratori fragili e del lavoro agile.

I lavoratori con fragilità accertate presenti in Ateneo sono circa 40 tra docenti e personale tecnico e amministrativo e sono stati “caldamente” invitati a lavorare in presenza, nonostante la scarsa presenza di studenti in ateneo non giustificasse tale scelta comunque discutibile.

Inoltre mentre nei Comitati Covid degli altri atenei si è lavorato per un allargamento della norma, in UPO si è proceduto in senso opposto con un restringimento rispetto a quanto previsto dalla normativa per esempio rispetto al non considerare i lavoratori con parenti con fragilità non conviventi.

Inoltre la percentuale di ore di lavoro agile è stata ridotta in modo arbitrario dal 50% al 40%.

Un altro tema su cui si è discusso in assemblea è quello relativo all’ obbligo di videoregistrazione delle lezioni universitarie. Riteniamo tale indicazione estremamente problematica, non solo da un punto di vista didattico ma anche da un punto di vista normativo, in relazione ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Lo Statuto dei lavoratori , anche nelle sue recenti innovazioni (Legge 183 del 2014 e DL 151 del 2015) prevede la possibilità di usare impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo, soprattutto quando necessari per svolgere la prestazione lavorativa. Il loro uso è però limitato da alcuni vincoli che dovrebbero essere precisati e definiti. In molti atenei, invece, si sono approntate apparecchiature e disposizioni per la videoregistrazione delle lezioni, senza che questi limiti siano stati definiti. L’uso delle registrazioni per un possibile controllo sulla didattica (sia formale sia nei contenuti), mette inoltre in gioco non solo problematiche di carattere giuslavoristico, ma forse anche alcuni profili costituzionali in relazione alla libertà della docenza. Infine si pone inevitabilmente anche un tema legato alla proprietà delle videoregistrazioni: le lezioni universitarie sono infatti incontestabilmente opere di ingegno che, in questo caso, sarebbero archiviate, mantenute e riprodotte dall’università (oltre porsi il delicato problema dell’uso di eventuali materiali soggetti a copyright di terzi: uso oggi consentito a lezione dalla normativa, la cui riproduzione audiovisiva potrebbe comportare contestazioni inerenti a tali diritti di riproduzione).

Per queste ragioni la FLC CGIL Piemonte ha convocato l’assemblea ed inviato formale diffida al Rettore.

Sicuramente con il DPCM del 4 Novembre e il Piemonte in zona rossa tutto cambia in quanto viene sospesa la frequenza in presenza delle attività formative e curricolari delle università fermo in ogni caso il loro proseguimento a distanza e deve essere assicurata la percentuale più elevata possibile di lavoro agile.

Nonostante questo, come FLC CGIL  riteniamo che questa pausa forzata possa e debba costituire l’occasione per sollecitare un confronto fattivo ed una discussione all’interno degli organismi accademici affinché si costruiscano le premesse per una ripartenza migliore fondata sulla trasparenza e la condivisione delle scelte.”

 

 

 

 

 

 

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