Una lettura di parte dei cento anni del Pci

Il prossimo 21 gennaio saranno cento  anni dalla nascita del Partito Comunista Italiano, da tempo ormai scomparso  dalle cronache e dai fatti politici del paese ma non dalla nostra storia. Per buona parte del Novecento , infatti, storia d’Italia, e storia del Pci sono state strettamente intrecciate.

Uno, ha operato cercando di tener conto della peculiarità storica dell’altra; l’altra per 70 anni è stata fortemente condizionata dall’azione del primo.

Si ha l’ impressione che la riflessione su questo anniversario sia stata finora più attenta da parte della cultura liberaldemocratica che della cultura di sinistra ( e anche questo è un segno dei tempi). Verrebbe da dire col recente bel libro di Raffaele Nigro, “Gli dei sono fuggiti” (Progedit) :<<…sono morti Veltroni, Bertinotti e D’Alema/morti sono i nipoti di Berlinguer/…Intanto a moscacieca/ cerco D’Alema tra le pagine, / dei quotidiani, Renzi fa il conduttore/ di banche fallite,/Veltroni il critico riciclato,/ Bertinotti fa il gagà con la rivoluzione dei défilé>>.

Invece, un utile libro, dal titolo e sottotitolo quanto mai esplicativi, “ Quando c’erano i comunisti. I cento anni del Pci tra cronaca e storia” ( Marsilio Editori, 383 pagine) e corredato da una lunga intervista a Umberto Terracini del 1981, è stato da poco pubblicato da Mario Pendinelli e Marcello Sorgi, noti giornalisti e saggisti e liberaldemocratici autentici.

I due autori dicono di essersi mossi tra cronaca e storia. Non c’è dubbio che i riferimenti storici siano molti, ma, a lettura fatta, è certo che la cronaca prevale sulla storia. Precisa e dettagliata è la ricostruzione delle vicende interne al partito, dei suoi legami con l’Urss e con il movimento comunista internazionale. Emergono con evidenza le posizioni politico – ideologiche , spesso molto diverse, dei vari leader, e le ragioni delle rotture personali; la forza teorica di Gramsci; la popolarità di Bordiga; la prudenza di Togliatti; il prestigio di Lenin; il tatticismo di Stalin; il carattere schivo di Berlinguer. Molti sono i retroscena e i particolari riportati in verità non sempre indispensabili.

Così, veniamo a sapere delle amanti di figure di rilievo del movimento socialista; perfino, dei primi palpiti d’amore del “grande sardo”; di Mussolini che diventa direttore dell'<<Avanti!>> grazie all’interessamento affettuoso di Angelica Balabanoff, prima segretaria dell’ Internazionale e allieva di Antonio Labriola col quale si incontra spesso a Roma <<al caffè Aragno, in via del Corso, all’interno dell’ ottocentesco palazzo Marignoli, nella famosa terza saletta >> ( sic!).

Insomma, il libro è pieno di notizie necessarie ma anche di notizie superflue e dà per molte pagine l’impressione del tutto sbagliata di non avere una tesi di fondo, un filo rosso che lo attraversi e lo tenga unito. Invece, il veleno, per così dire, è nascosto proprio nella coda. Secondo gli autori, infatti, fino alla fine, e soprattutto dopo lo strappo irreversibile di Berlinguer con Mosca, il Pci ha continuato a sbagliare a non riconoscere che << l’unico modello praticabile>> è quello della socialdemocrazia, del socialismo riformista europeo. Ciò che rimproverano al Pci e alla sua storia è il rifiuto di rassegnarsi all’idea che democrazia politica significhi inevitabile convivenza col capitalismo e l’” utopia” di credere che la democrazia politica sia incompatibile col progetto di una trasformazione in senso socialista dei rapporti economici. Non si tiene alcun conto, per esempio, delle affermazioni autorevoli di Terracini, pure riportate nel libro, che il Pci doveva essere << una forza democratica e pacifica, capace di attuare nella libertà le trasformazioni sociali, di costruire il socialismo >> e che il progetto del Pci rimane appunto quello di << definire in termini precisi e operativi un concetto di socialismo che non sia la riproposizione del modello socialdemocratico>>.

Pur riconoscendo al Pci i meriti storici di una forza politica capace di organizzare ed incanalare nell’alveo della democrazia masse diseredate, emarginate, un soggetto ricco di valori e di idee, Pendinelli e Sorgi non riescono a nascondere del tutto la delusione per il fatto che questo partito non abbia abbandonato i propositi di trasformazione socialista e non si sia rassegnato all’evidenza storica della superiorità del capitalismo, cioè di un sistema economico che ha << funzionato meglio del socialismo reale>>,  che ha diffuso <<benessere, ha migliorato la qualità della vita, che ha creato il cosiddetto ascensore sociale>>.

E che ha saputo sempre riformarsi, a tal punto da poter parlare oggi, addirittura, di un capitalismo per così dire “coscienziale”, cioè di un capitalismo che<< anche nei suoi momenti difficili, lascia spazio alla coscienza >>. La prova provata di tutto questo, secondo gli autori, è data dal documento approvato il 19 agosto 2019 dalla Business Roundtable – un club esclusivo riservato ai manager e amministratori di grandi imprese americane – nel quale, dopo appena una giornata di discussioni, viene capovolta la tesi del premio Nobel dell’economia Milton Friedman (ma, a questo punto, anche della gran parte del pensiero economico classico)   che l’unica <<responsabilità sociale delle imprese consiste nell’aumentare i profitti >>   per esortare, invece, ogni impresa a perseguire lo scopo di  << arricchire la vita dei propri dipendenti, dei consumatori, dei fornitori, delle comunità, servendo gli azionisti in modo etico e rispettando l’ambiente>> . Nessuna notizia , però, viene data circa il fatto che, poi, in tempo di pandemia, sono vergognosamente aumentate le disuguaglianze sociali e che proprio molte aziende di quel club esclusivo , in poco tempo, favoriti dal COVID-19,  hanno raddoppiato, e. in alcuni casi, triplicato i propri profitti e assecondato la crescita del disagio sociale e della povertà.

Per Pendinelli e Sorgi quel documento che fa appello alla coscienza del capitalista potrebbe non solo essere condiviso, ma addirittura sottoscritto << dal gruppo dirigente di una sinistra moderna >>. Sembrerebbe, quasi, che per loro alla sinistra non spetti – da sempre – altro compito che quello di realizzare  e difendere il “ vero capitalismo”.

Proprio ciò che sono riusciti a fare con non poca bravura gli eredi del partito di Enrico Berlinguer.

Egidio ZACHEO

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