L’università, la ricerca e l’emergenza sanitaria

La pandemia in corso ha innescato processi ben oltre l’attuale emergenza, ampliando divari nei diritti oltre che nuove disuguaglianze, approfondendo le conseguenze dalle politiche neoliberiste di questi decenni.

L’università e la ricerca hanno dovuto proseguire le proprie attività nel corso di questa lunga allerta sanitaria, anche con forme di didattica a distanza ed il diretto coinvolgimento nel contrasto al covid-19 . È però mancato un confronto con il MUR, per precisa responsabilità del Ministro, che in nome dell’autonomia non ha risposto alle richieste unitarie delle OO. SS. di concordare, come in altri settori, un protocollo d’intesa nazionale sulla gestione dell’emergenza.

Negli EPR e negli Atenei, grazie all’azione dei Comitati di Ente, Comitati iscritti, RSU e strutture territoriali, siamo spesso riusciti a conquistare protocolli di sicurezza con momenti di confronto e contrattazione, anche se non sono mancati interventi unilaterali e diversità che non trovano giustificazione in specificità organizzative, epidemiologiche o territoriali.

Anche le attività didattiche sono state condotte in forme molto diversificate. Il MUR e la CRUI hanno però promosso la cosiddetta didattica “blended” (stravolgendo esperienze e indicazioni sulla DAD universitaria) che, al di là delle videoregistrazioni, rischia di strutturare offerte formative parallele e diversificate, con il rischio di gerarchizzare diversi livelli di apprendimento.

Tutto ciò conferma la necessità di rafforzare a livello normativo, regolamentare e contrattuale la cornice di riferimento nazionale nella quale si esercita l’autonomia di università e enti di ricerca. Ad oggi ancora non è possibile prevedere quando finirà lo stato di emergenza: si potranno riprendere tutte le attività in presenza, solo quando saranno assicurate adeguate garanzie di sicurezza e valide misure di prevenzione per la salute di studenti e lavoratori.

Questi settori vivono da tempo una grave condizione di arretramento: nell’Unione Europea siamo all’ultimo posto per il finanziamento statale alle università, al penultimo posto per numero di laureati e investiamo in ricerca l’1,3% del PIL contro la media dell’1,99%.

Il finanziamento ordinario di Atenei ed Enti di Ricerca è oggi inferiore a quello di 10 anni fa, che già brillava per sottofinanziamento. Inoltre, nonostante le ingentissime risorse impegnate dallo Stato nell’emergenza in corso, dal DL cura Italia alla legge di bilancio poco si è fatto sia per l’università sia per la ricerca Va quindi previsto un aumento progressivo e consistente del loro finanziamento strutturale, che recuperi i tagli e i mancati investimenti dell’ultimo decennio.

Il sistema universitario non ha solo subito una contrazione di risorse che ne ha rattrappito le dimensioni, ma è stato anche colpito dallo sviluppo di un’autonomia competitiva, in una logica di quasi mercato. La cd legge Gelmini (L. 240/2010) ha da una parte verticalizzato gli Atenei, concentrando poteri nei professori ordinari e nei Direttori Generali, dall’altra gli ha attribuito ampie autonomie nell’organizzazione e nella regolazione dei rapporti di lavoro con il proprio personale. Le università sono state messe in competizione anche attraverso un sistema valutativo distorto, per conquistare risorse e personale . Così si sono moltiplicate le divergenze, anche differenziando i rapporti di lavoro (tramite regolamenti ed esternalizzazioni).

Alla FLC CGIL spetta quindi anche il compito di denunciare la narrazione di chi ritiene che in questi settori non ci sia oggi nessun problema. È necessario infatti rilanciare l’impianto nazionale del sistema universitario rivendendo la Legge 240 del 2010, l’impianto del sistema di valutazione e i criteri di distribuzione delle risorse.

La risposta data con la legge di bilancio alle nostre richieste di incremento dei Fondi Ordinari nonché di un piano vero di reclutamento e superamento del precariato è stata insufficiente. Non si è inoltre prevista flessibilità nella costituzione e utilizzo del salario accessorio e inclusività nel CCNL.

La carenza di risorse ha determinato ricadute anche sul personale, a partire da un’estesa precarizzazione.

Particolarmente grave è la situazione negli atenei, dove il processo di stabilizzazione iniziato negli Enti di Ricerca non è stata applicato al precariato della docenza. E’ indispensabile rivedere l’attuale percorso di accesso con un piano pluriennale di reclutamento e stabilizzazione di circa 20.000 posizioni in 4 anni.

Il personale tecnico amministrativo, oltre all’attacco subito da tutto il lavoro pubblico con la cd Brunetta, la contrazione del salario accessorio e il congelamento del CCNL, ha visto un sostanziale blocco delle carriere e delle progressioni economiche a causa del sottofinanziamento di Università e EPR. Come emerge dai dati ARAN, in tutti i profili professionali osserviamo infatti un’anomala prevalenza dei primi inquadramenti.

Inoltre, per il personale contrattualizzato delle università e quello tecnico amministrativo degli EPR non esiste una dinamica retributiva di valorizzazione dell’anzianità professionale legata ad automatismi o semiautomatismi.

L’obiettivo di risolvere queste problematiche con la revisione dell’ordinamento e il rinnovo del CCNL rimane prioritario, anche se più complesso da raggiungere dopo la legge di bilancio. In ogni caso, andrà da subito avviata l’elaborazione della piattaforma contrattuale, coinvolgendo nella discussione il più ampio numero di lavoratori e lavoratrici.

Per quanto riguarda il lavoro agile esso ha assunto anche nell’università e nella ricerca un ruolo preponderante in questa fase di emergenza. La conclusione di questa stagione aprirà la sfida della sua trasformazione in una delle modalità ordinarie di lavoro, visti gli inevitabili cambiamenti nel mondo del lavoro. Nell’immediato, in attesa di superare una normativa lacunosa che consegna la definizione del Piano Organizzativo del Lavoro Agile alla dirigenza, occorre condizionare le Amministrazioni affinché siano individuate soluzioni rispettose dei diritti dei lavoratori, anche in termini di applicazione degli istituti contrattuali, mantenendo un giusto equilibrio tra distanza e presenza. Alcune attività, infatti, trovano una loro dimensione soltanto se svolte in presenza.

Come è noto, le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono senza precedenti: 209 miliardi di euro tra prestiti e sussidi, a cui si aggiunge il React EU e il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale per un totale di 310 miliardi. Una delle sue 6 missioni è dedicata all’Istruzione e Ricerca, con un impegno di 28,5 miliardi: 16,72 per il “Potenziamento delle competenze e diritto allo studio”; 11,77 “Dalla Ricerca all’impresa”. Le risorse sono oggi significativamente aumentate rispetto alla prima versione del piano, ma questo impegno non solo è ancora insufficiente, ma non è accompagnato dalle necessarie riforme strutturali e, al contrario, prevede alcuni interventi che riteniamo sbagliati.

Il PNRR, infatti, è in primo luogo l’occasione per affrontare e risolvere i limiti strutturali di questi settori, prodotti dai tagli e dalle politiche competitive che abbiamo sottolineato. Nel piano sono indicate solo alcune iniziative di riforma, spesso in forma vaga e imprecisata, mentre mancano interventi indispensabili sul diritto allo studio, la riforma del pre ruolo, la revisione della L.240/2010 al fine di rafforzare il carattere unitario del sistema universitario.

A fronte del quadro delineato e agli obiettivi individuati rispetto ai temi affrontati, mantenendo e rafforzando lo stretto collegamento con la CGIL per il necessario coordinamento delle attività nel più ampio contesto confederale, la FLC CGIL intende organizzare, partendo dal confronto con gli altri sindacati di categoria, iniziative di mobilitazione che, seppur nel quadro delle compatibilità organizzative derivanti dal perdurare dell’emergenza sanitaria, si pongano l’obiettivo di dare visibilità alle nostre posizioni e di contrastare qualsiasi disegno verticistico di intervento sui nostri settori.

Serena Morando

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