Milton Glaser e la nostra trasformazione.

Chi ha lavorato come me nei gloriosi tempi della Pubblicità, proverà una stretta al cuore sapendo che anche Milton Glaser se ne è andato e mi auguro sia ora in compagnia dei molti amici che hanno attraversato la mia vita rendendola allegra.

Si andava a lavorare spensieratamente, godendo del tragitto e degli amici che avremmo trovato, sì AMICI, nessuna lotta al coltello, nessuna competizione, ma gioco gioioso era il lavoro, scherzi quotidiani sulle giovani barbe attaccate spudoratamente – come i bozzetti prima che si chiamassero layouts – dalla famosa CowGum, cimelio che pochi oggi conoscono.

Glaser ci portò l’America, ci iniziò al suo skyline e, come nel libro di Baricco Novecento noi, che ci chiamavamo ancora Giovanni, eravamo pronti  per chiamarci Jo.  Sbagliammo molte cose in quell’entusiasmo adolescenziale, ne prendemmo coscienza poco a poco e oggi ne patiamo le gravi conseguenze. Mai esiliare le nostre radici, l’incontro con l’altro è una mutua fecondazione, non una strada a senso unico o, peggio ancora, un “cul de sac”.

Poco a poco cedemmo la nostra umanità, lasciammo uccidere professioni, offrimmo il posto alle macchine togliendolo ignorantemente alle nostre mani e al nostro cuore, nessun pensiero per il rischio che stavamo vivendo, nessuna previsione sulla strada che stavamo percorrendo.

Arrivammo al digitale senza renderci conto che chi prospera grazie al digitale, rischia anche di soffrire a causa sua.

Così scrive Luciano Florida riflettendo su questa trasformazione in atto: gli attacchi cibernetici hanno trasformato il significato di rischio, sicurezza e conflitto. La rivoluzione digitale non è una mera estensione di quella della comunicazione iniziata con Gutemberg, perchè grazie al loro potere computazionale le ICT digitali hanno creato un nuovo ambiente, in cui passiamo sempre più tempo, e che ho chiamato INFOSFERA: un nuovo spazio nel tempo dell’iperstoria. Zuckerberg ha torto – scrive sempre Floridi – le piattaforme digitali non sono qualcosa a metà tra il giornale e il telefono, ma a metà strada tra la piazza e il parco pubblico in città. Chi oggi gestisce l’infosfera determina la nostra vita e perciò ha responsabilità ecologiche enormi, molto diverse e maggiori di quelle di un editore o di un operatore telefonico. L’nfosfera non è il ciberspazio di una volta, ma lo include.

Sei online o offline ? La risposta sarebbe che sono onlife, a metà strada tra online e offline, digitale e analogico. Se la risposta sembra strana è perchè siamo ancora nella fase di transazione, ma le nuove generazioni vivranno ONLIFE in modo scontato e senza saperlo. E’ anche per loro, e non solo per il nostro immediato futuro, che dovremmo capire meglio in che direzione stiamo andando e fare molto di più per salvare il pianeta e noi da noi stessi.

Perchè quando questa transizione epocale sarà completata, e l’ultima memoria vivente di un mondo senza digitale si sarà spenta, la normalità iperstorica si sarà solidificata e sarà più diffcile vedere in modo critico e costruttivo le differenze comportate dal digitale, e quindi accorgersi degli errori presenti e delle opportunità disponibili per migliorare e cose. Fare un buon lavoro oggi non solo è doveroso, è anche più facile che riparare gli sbagli di domani.

Chi come me ha preso coscienza del grave errore che abbiamo fatto, illusi da false luci, da facili guadagni, da finti sorrisi, non può non patire ora vedendo che nulla abbiamo imparato da quel passato, certo  tanto recente, ma non impossibile da essere guardato e trasformato.

E’ la nostra umanità il dono prezioso che ci è offerto di vivere e l’umanità non è nè numerabile nè quantificabile, ma solo vivibile e vivibile insieme.

 di Patrizia Gioia

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