Misericordia al Piccolo: Emma Dante al di là della perfezione…

 

                                                                 «Qualunque sia il tema che un artista intende affrontare con la sua opera

  dovrà farlo dando prova di coraggio, senza mai avere paura del giudizio

 degli altri, di fare qualcosa di scorretto o di scandaloso; l’arte è il luogo

dove non esiste lo scandalo perché non c’è spazio per la correttezza».

                                                                                                                                                         Emma Dante

 

Non appaia esagerato affermare che si sia in trepida attesa dell’annunciata trascrizione filmica, che la Dante ha annunciato, del suo stesso Le sorelle Macaluso. La critica cinematografica italiana è in debito con la grande regista-autrice-attrice: sei anni fa e oltre, infatti, l’esordio per lo schermo, Via Castellana Bandiera dal suo omonimo romanzo, dopo lo splendido atto di coraggio di Venezia nell’ammetterlo in concorso, non sì è visto tributare neppure una parte degli onori e dei riconoscimenti che avrebbe meritato (sola, insufficiente eccezione, la Coppa Volpi all’inarrivabile Elena Cotta).

Una simile riflessione esce immediata assistendo, al Piccolo di Milano, al suo nuovo spettacolo, Misericordia. Diciamolo subito: sessanta minuti di autentica perfezione scenica. Che paiono in nettissima maniera riprenderne e riassumerne, potenziarne e quasi superarne (o meglio: sintetizzarne) la straordinaria e più recente fase di lavoro: la versione scenica de Le sorelle Macaluso nel 2014; la doppia esplosione di Bestie di scena allo stesso Piccolo (se ne era scritto qui nel giugno 2017) e de La scortecata esordiente a Spoleto nel 2017; lo straordinario Eracle siracusano l’anno scorso (ma senza dimenticare il sublime dell’Angelo di fuoco di Prokof’ev all’Opera di Roma lo scorso maggio, con la direzione di Pèrez: scene di Carmine Maringola, luci di Zucaro e coreografie della Lo Sicco).

Se un… difetto si volesse riscontrare a priori nel lavoro della Dante, è proprio il fatto che in realtà ne connota più di ogni altro valore e originalità: tutti quelli citati (Euripide e Prokof’ev esclusi, ovviamente…) sono eventi teatrali assolutamente irripetibili, pensabili solo sull’assoluta unicità “data” una volta per tutte di quel testo con quella regia e quegli interpreti. Di quella visione, in ultima analisi. Anche e soprattutto in questa componente si ravvisa forse quella sostanziale continuità riconosciuta e ammessa della sua esperienza con quella immensa di Tadeusz Kantor, cui anche esplicitamente non piccola parte del percorso intrapreso da lei intrapreso si rifà. Aggiungendovi a intermittenza la perla di quella sorta di grammelot siculo-profondo dall’inattingibile autenticità.

Rispetto a tutto questo, Misericordia è testo/situazione portante per un ulteriore valore aggiunto trasparente: la meditazione della Dante è stata, per così dire, con tutta evidenza fecondata e incrementata dall’incredibile e incresciosa stagione del governo cosiddetto gialloverde, e del consenso progressivamente diffuso alla “linea” salviniana, anticipoando le stesse Sardine: «Gli spettacoli sono creature fragili» ricorda l’autrice nel programma di sala «ma possiedono l’immenso potere di farci uscire da teatro diversi da come eravamo entrati». Soprattutto in presenza di una potestà drammaturgica assoluta di questa forza e virulenza.

Si utilizza qui il palcoscenico per raccontarvi la capacità profonda e inesauribile dell’amare. Amare nonostante: nonostante la miseria, la prostituzione indotta dal bisogno di sopravvivere, l’ambiente domestico degradato e squallido. Un approfondimento totale e penetrante -non a caso la regista dichiara di voler «parlare alla pancia dello spettatore» sul significato di Amore: una ricerca di senso nel compimento del gesto misericordioso quotidiano, individuale, responsabile, attento. Amorevole, appunto. Amore come accoglienza dell’altro da sé, dell’altro senza voce e senza speranza. Arturo, infatti, è “figlio” del dolore e delle botte, subite dalla madre morta per loro causa, e da lui stesso quando era ancora nel ventre materno. E’ insomma “figlio” anche delle tre protagoniste, Bettina, Anna e Nuzza, che lo accudiscono nonostante non lo sia.

Misericordia ci appare come una narrazione “universale”, pur ricorrendo, nel rappresentarla, a un vissuto particolare e quotidiano. Diversamente da Bestie di scena, la cui cifra stilistica era la pura esperienza emozionale, muta, interpretata e offerta dai corpi in movimento, senza una costruzione di storia. Vi si partiva dall’universale per ricercare -e forse raggiungere- il significato del particolare, dell’individuale: vi si richiama qui direttamente l’incredibile sarabanda intentata spogliandosi dalle tre donne nel nucleo centrale dello svolgimento. Misericordia, pur facendo ricorso anche alle medesime o analoghe modalità lingustiche e gestuali, offre un prodotto maturo, strutturato in una narrazione precisa, espresso oltre le convenzioni, le regole, i limiti della ragione. Dando voce a quella fragilità che è anche forza: alla solitudine degli innominati, ma anche alla disperata energia creatrice dell’universo femminile. Un teatro insomma, quello della Dante, in cui l’utilizzo della messincena drammatica -ma non pessimistica- di uno spaccato di vita quotidiana si eleva a strumento che salva l’umanità.

Una simile profonda ed esplosiva riflessione cammina, nella concretezza ineludibile della ribalta, anche letteralmente sulle incredibili gambe di tre attrici e di un danzatore che meritano appieno le interminabili ovazioni che la platea di via Rovello tributa loro a ciascuna replica. Illuminate -altrettanto pure alla lettera…- dal consueto lavoro alle luci dell’indispensabile Cristian Zucaro, Italia Carroccio (Bettina) e Leonarda Saffi (Anna), entrambe provenienti anche dalle eccezionali esperienze delle Macaluso e di Bestie di scena, e Manuela Lo Sicco (Nuzza), a sua volta sistematicamente legata al lavoro della regista, come si è accennato, pure in qualità di coreografa, tributano ai rispettivi personaggi una dedizione fisica -mimica, gestuale, motoria, vocale, coreografica, atletica persino!- decisamente senza eguali (il cast delle Macaluso film, sceneggiato da Elena Stancanelli e Giorgio Vasta, sarà invece tutto diverso). Ma la vera rivelazione esplosiva dello spettacolo, che concorre in determinante misura a farlo ascendere a un livello assolutamente superiore, è Simone Zambelli (Arturo) la cui -incredibilmente ininterrotta!- prestazione coreutica estrema lo incide indelebilmente nella mente, nella memoria e prima ancora -va detto- nell’incredulità allibita dello spettatore.

Ci sono talora -fortunatamente- eccezionali pagine sceniche talmente assolute e decisive, da rendere impegnativo e persino ingrato il compito di chi ardisca tentare di parlarne. Misericordia, che inizia ora la sua vita con una sperabilmente ricca e prolungata tournée, è spettacolo che chi legga dovrà mettersi ad ogni costo nella condizione di vedere. Anzi, di… sperimentare, perché questo è l’autentico senso dell’assistervi. Se ne possono riassumente significato e portata rifacendosi alle parole che non a caso Morando Morandini dedicò a un’altra immensa pagina incentrata sull’esclusione, la solitudine, il dovere della solidarietà e appunto dell’Amore, Umberto D di e Sica: «Non ha la perfezione: va al di là».

Nuccio Lodato & Loretta Ortolani

(“Diari di Cineclub, 80, febbraio 2019)

 

Emma Dante, Misericordia

[Milano, Piccolo Teatro “Grassi” fino al 16 febbraio; Brescia, Teatro Sociale, 25-26 febbraio; Como, Teatro Sociale, 3-4 marzo; Udine, Palamostre, 6 marzo; Bologna, Arena del Sole, 19-22 marzo; Pontedera, Teatro “Era”, 27 marzo; Montepulciano, Teatro “Poliziano”, 28 marzo; Roma, Teatro Argentina, dal 17 aprile al 3 maggio; Jesi, Teatro “Pergolesi”, 5 giugno]

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