Pinocchio, il Gatto e la Volpe

 

“Il burattino, ritornato in città, cominciò a contare i minuti a uno a uno; e, quando gli parve che fosse l’ora, riprese subito la strada che menava al Campo dei miracoli”.

C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. XIX, Pinocchio è derubato delle sue monete d’oro e, per castigo, si busca quattro mesi di prigione, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Torino 1994, p. 113.

Negli ultimi dieci anni, stando a quanto riportato nel Rapporto dell’ISTAT sui “Conti economici nazionali” (pubblicato il 21 settembre 2018), l’economia italiana è stata interessata da quattro recessioni: nel 2007 (-1,1%), nel 2008 (-5,5%) nel 2012 (-1,8%) e nel 2013 (-1,7%). Attenzione! Nei casi sopra citati non si è trattato di una «recessione tecnica», come quella sancita nei giorni scorsi dall’ISTAT che fa riferimento alle stime del Pil1 degli ultimi due trimestri del 2018 (caratterizzate da un tasso di crescita negativo), bensì di «recessioni annue», successivamente sfociate in vere e proprie crisi.

Nella successiva “Nota mensile sull’economia italiana” del dicembre 2018 n. 18 (pubblicata dall’ISTAT l’11 gennaio 2019) si legge che: la «recessione tecnica» come quella registrata negli ultimi due trimestri sarebbe da imputare al fatto che “Nelle settimane recenti, l’economia internazionale ha mostrato evidenti segnali di decelerazione con un maggiore grado di eterogeneità degli andamenti tra i paesi. Tra i fattori di rallentamento ci sono l’incertezza generata dal processo ancora incompiuto di Brexit e gli effetti delle perduranti tensioni sui dazi tra Stati Uniti e Cina”. (…) “A dicembre – prosegue la nota -, l’indice del clima di fiducia dei consumatori ha segnato un ulteriore calo diffuso a tutte le componenti: le aspettative per il futuro hanno registrato un deciso peggioramento e anche le attese sulla disoccupazione hanno mostrato segnali negativi. Nello stesso mese, anche la fiducia delle imprese è peggiorata in tutti i settori economici a esclusione del commercio al dettaglio. Tra le imprese manifatturiere, le attese di produzione hanno evidenziato un miglioramento mentre i giudizi sia sul livello degli ordini sia sulle scorte di prodotti finiti hanno registrato un peggioramento”.

Infine, conclude la nota, dal momento che l’indicatore che anticipa la tendenza per il futuro “ha segnato una nuova flessione”, tutto ciò lascia intendere “il proseguimento dell’attuale fase di debolezza del ciclo economico italiano”. Una debolezza che potrebbe sfociare, non come il Gatto e la Volpe vogliono far intendere al nostro Pinocchio in un boom, ma al contrario in una vera e propria recessione (una crisi).

Va da sé che se le cause delle crisi sono molteplici, le conseguenze di una crisi sono sempre le stesse. Avendo riguardo ai dati sopra riportati, mentre la «grande recessione» del 2007/2008 è stata causata dall’esplosione negli Stati Uniti della bolla speculativa dei “titoli spazzatura” (sub prime), gli effetti della quale si sono trasferiti all’economia reale del mondo intero, le due crisi degli anni 2012-2013 sono state causate dalla perdita di fiducia sulla situazione debitoria all’interno dei Paesi dell’Unione Europea. Inoltre, e sempre restando all’economia italiana, la crisi della metà degli anni ’70 fu causata dalle ripercussioni delle crisi petrolifere, mentre quella dei primi anni ’90, ed in particolare quella del settembre del 1992, che costrinse la lira italiana e la sterlina inglese ad uscire dal Sistema Monetario Europeo (SME) – l’accordo sottoscritto dai paesi appartenenti all’allora Comunità Economica Europea (CEE) – fu una crisi valutaria. Pertanto, se le cause delle crisi sono molteplici, imputare la “recessione tecnica” degli ultimi due trimestri al governo precedente o a quello attualmente in carica è un colossale inganno, paragonabile a quello che il Gatto e la Volpe hanno perpetrato ai danni di Pinocchio per convincerlo a sotterrare le cinque monete d’oro nel Campo dei miracoli.

Ora, a prescindere da quale sia la causa di una crisi, i suoi effetti sono sempre gli stessi: la perdita di fiducia da parte degli imprenditori circa la possibilità di riuscire a vendere i prodotti che hanno a magazzino; → l’aumento della capacità produttiva inutilizzata; → la riduzione degli orari di lavoro; → l’attivazione da parte delle imprese della Cassa integrazione guadagni e/o il ricorso ai licenziamenti; → la diminuzione del reddito disponibile da parte delle famiglie per l’acquisto di beni di consumo (e conseguente riduzione dei Consumi interni); → la riduzione degli ordinativi alle imprese alla quale fa seguito il rinvio delle loro decisioni di acquistare nuovi macchinari che incorporano le nuove tecnologie e la riduzione delle spese in attività di ricerca e sviluppo. Questo processo comporta una diminuzione della Domanda interna, sia per beni di Consumo che per beni di Investimento, alla quale fa seguito un’ulteriore peggioramento delle aspettative delle imprese, che farà sì che la crisi si autoalimenti. Fino a quando il processo si esaurisce e si avvia una lenta ripresa. “Questo lo dico io” (o meglio, lo sostiene la Teoria del ciclo economico).

Vogliamo scommettere che nel 2019 non ci sarà alcun boom economico, come vogliono farci credere il Gatto e la Volpe, e che analogamente è destinato a cadere nel vuoto l’auspicio del Presidente del Consiglio per il quale “ci sono tutte le premesse che sarà un anno bellissimo all’insegna della ripresa anche e soprattutto grazie alla manovra economica varata dal governo italiano nonostante le remore dell’Unione europea”? Se le cause della «recessione tecnica» sono quelle indicate dall’ISTAT, la sua evoluzione verso una crisi o verso una (lenta) ripresa, dipenderà da come evolverà l’economia mondiale, sulla quale si intravvedono fosche nubi. Quanto a Pinocchio, ciascuno è libero di vederci chi meglio crede e di credere o meno alle lusinghe del Gatto e della Volpe.

Alessandria, domenica 3 febbraio 2019

1 Affinché Pinocchio, nell’attesa di giungere al Campo dei Miracoli, non si lasci irretire dal Gatto e la Volpe, e per tutti coloro che ancora confondono il flusso del Reddito nazionale (Pil), con lo stock della ricchezza, riporto l’esatta definizione del concetto di «Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato (Pil)» che compare nel Glossario dell’ISTAT annesso al citato Rapporto del 21 settembre 2018 sui Conti economici nazionali: «Il Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato (Pil) è il risultato finale dell’attività di produzione delle unità produttrici residenti. Corrisponde alla produzione totale di beni e servizi dell’economia, diminuita dei consumi intermedi e aumentata dell’Iva gravante e delle imposte indirette sulle importazioni. È altresì pari alla somma del valore aggiunto a prezzi base delle varie branche di attività economica, aumentata delle imposte sui prodotti (compresa l’Iva e le imposte sulle importazioni), al netto dei contributi ai prodotti». Quindi è paragonabile al reddito annuo di una famiglia e non ha nulla a che vedere con la ricchezza della stessa. E “Questo non lo dico io”, con buona pace del Sottosegretario di Stato al Ministero dell’economia e delle finanze Laura Castelli, diplomata ragioniera e con una laurea triennale in Economia aziendale”, ma i tecnici (non i politici), dell’Istituto Centrale di Statistica.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*