Più notizie che informazione?

Il titolo – che allude ad una qualche discrepanza fra due termini che comunemente sono usati  in qualità di sinonimi –  può rivelarsi, al vaglio dell’esperienza comunicativa pubblica, meno pretestuoso dell’immediata apparenza.

Capita infatti, non raramente, di trovarsi a disporre su determinati argomenti di una certa provvista di notizie, in una con la sensazione di rimanere egualmente carenti di reali informazioni. Ci si rende conto allora che se la notizia si presenta normalmente a “botta unica”, l’informazione è costituita invece da una  sequenza, più o meno consistente, di notizie collegate tra loro da un qualche filo logico che permetta di apprezzare un evento o un processo a più stadi.

Il problema consiste nell’immaginare chi e come si incarichi, o prenda il gusto, di riconoscere e, per l’appunto, evidenziare quel “filo logico”  che trasforma il succedersi casuale e incontrollato delle notizie in informazione tematizzata.

Il primo fornitore di notizie non sembrerebbe tenuto: le raccoglie, le redige e le trasmette. L’ultimo destinatario (lettore, uditore,“utilizzatore finale”) ne prende atto, più o meno fugacemente, ma non è normalmente incline, salvo per dovere professionale, a radunarle in appositi dossier, o file informatici, ordinati per argomenti di proprio interesse o pertinenza: pronti al recupero e all’uso nel pubblico discorso.

A livello local-regionale, e nella dimensione politico-amministrativa,  questo compito di  accumulo e ordinamento della memoria (notizie/ informazione) è stato a lungo ed autonomamente esercitato dai famosi “corpi intermedi” (politici, categoriali, culturali, professionali etc.) che dell’informazione dovevano poi avvalersi nei vari compiti  e funzioni d’istituto, o di formazione  dell’opinione pubblica, mirati a determinati temi  di protratto interesse.

Le difficoltà nelle quali sono incorsi da anni questi corpi intermedi – per motivi strutturali, funzionali e di dubbio, ma prorompente, fascino della cd. democrazia diretta che tende a confinarli – hanno influenzato negativamente anche  il presidio dell’informazione che questi stessi esercitavano, pro-quota, in ragione dei propri compiti e della necessaria attenzione del pubblico.

La carenza, ormai endemica, di tessuto connettivo tra le notizie, induce una crescente difficoltà  (in pericolosa contiguità con il polemico disinteresse) del comune lettore-utente a trasformare notizie sparse in informazione reale, ovvero a formarsi un’opinione motivata sugli argomenti, anche di minima complessità fattuale e/o cronologica.

Il disinteresse, comunque motivato, corrode però lentamente alla base l’impulso alla partecipazione civica e produce continue, automatiche deleghe in bianco a tutti gli apparati di governo, o esecutivi, anche a livello locale.

Lecito chiedersi adesso dove vada a parare questa lunga e generale premessa.

Va a parare molto vicino e senza pretese ulteriori: ci sarà un motivo perché consistenti problemi locali – putacaso di questa città –  suscitano sempre meno pubblico “dibbattito” (con le canoniche due “b” di rinforzo) e sfuggono all’attenzione sistematica della cittadinanza.

Non è, come già si diceva che manchino le notizie, anche se talora raggiungono appena, per modi e per tempi, il minimo sindacale. Gli è che le notizie correnti, di modesta intensità emotiva,  tendono ad evaporare nel quotidiano, nel “via una, sotto l’altra” e non c’è, o compare sempre meno, chi per passione e/o per professione  le componga in una trama o narrazione, realizzando di fatto una sorta di mediazione politico-culturale utile e disponibile al pubblico.

 Correlativamente l’informazione vera e fungibile rimane sempre più racchiusa nei giardini riservati degli addetti ai lavori, ove il cittadino comune non ha accesso né, di conseguenza, la possibilità di esprimere sia pur modeste, ma motivate, posizioni su temi di rilevante interesse civico.

Prendiamo, non proprio a caso, l’esempio del problema Cittadella che sovrasta da qualche decennio questa Città e le sue diverse Amministrazioni, restando tutt’ora largamente irrisolto, nel senso che  sappiamo abbastanza “da dove veniamo” ma non abbiamo tutt’ora un indirizzo di massima, discretamente attendibile nel suo complesso, del “dove andiamo”.

Non a caso continuano ad incombere sulla Cittadella, a livello di chiacchiere ma non solo, ipotesi di utilizzo multiplo-casuale (turistico, commerciale, ludico, culturale, sportivo etc.) che contribuiscono ad annebbiare lo sguardo pubblico sul futuro del complesso ex-militare. Sul quale futuro non c’è forza politica che non abbia manifestato, o manifesti, altisonanti speranze quanto ad attrattiva e sviluppo della città.

Alla fine, però, questa immaginifica spendita della Cittadella-Jolly sulle immancabili fortune alessandrine, sta generando una certa assuefazione alla ventilata grandeur e un ripiegamento sostanziale sugli usi della Fortezza sperimentati, in via casereccia, nei tanti anni scorsi, per eventi ed eventini della più varia natura e compatibilità. Logica sottostante e politicamente appagante: un po’ per uno fa male a nessuno!

E’in questo quadro di “bassa tensione” cittadellesca che si è potuto cogliere un bel caso di notizie  che – secondo quanto si diceva innanzi – non diventano informazione ma passano e vanno.

A fine del febbraio scorso il FAI lanciava l’allarme e “AL-News” così titolava il 26.02: “Vandali in Cittadella: bastioni imbrattati e portoni rubati.”. Alla documentata denuncia (notizia) ha fatto seguito, per quanto ne so, un tranquillo e forse rassegnato silenzio (informazione), in particolare sui delicati e preliminari problemi di sicurezza e minimale gestione attuale del grande e complesso sito storico-militare.

Come dire? Accontentiamoci  ancora del nostrano“C’eravamo tanto amati”, poi qualcuno ci penserà.

Dario Fornaro

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