Questioni meridionali

C’è il bisogno oggettivo di ripensare la questione meridionale per la ragione evidente che nonostante i tanti, lunghi sforzi teorici e pratici, economici e finanziari, istituzionali e organizzativi , non si riesce ancora a venirne a capo. Un contributo di riflessione è dato sicuramente dal recentissimo libro “Questioni Meridionali”(Morlacchi Editore) che sin dal sottotitolo, “Intervista politico-filosofica sul Mezzogiorno. Reinventare il Sud”, non fa mistero dei suoi propositi impegnativi. Nonostante sia di non molte pagine e piuttosto agile, il titolo non deve indurre a credere che ci sia una qualche esagerazione. Il contributo infatti è denso, ricco di molte cose e proprio per questo a volte esposto al rischio di slittamenti che possono dare l’impressione di un allontanamento dal fuoco della questione centrale.

Un merito, però, vorrei sottolineare subito: anche se qua e là sembra lambirlo, non c’è un compiaciuto stazionamento in quel “pensiero meridiano” che tante adesioni ha avuto. A differenza di questo, che invita ad una rappresentazione territorialistica, particolaristica, e dunque provinciale, dell’identità meridionale, nel libro abbondano invece le sottolineature delle proiezioni nazionali, cosmopolite della cultura del Sud. E’ qui evidente, cioè, che la riflessione e l’opera delle grandi e rappresentative figure meridionali non possono essere confinate in un ambito territoriale e che i meridionali Gramsci, Pirandello, Antonello da Messina, Quasimodo, Giordano Bruno, Vanini, Pier delle Vigne etc. etc. parlano al mondo intero e si nutrono del mondo. Che non è davvero possibile, insomma, ritenere –come invece fa un certo autocompiacimento sudista capace di presentare come virtù perfino i vizi del Meridione- la grande tradizione culturale federiciana, napoletana, siciliana un limitato fatto territoriale del Sud.

Il libro si presenta con una formula originale. E’ costituito da tre parti pressoché uguali: da una lunga e articolata prefazione di Sergio Tanzarella, da un interessante contributo di Anna Stomeo e, al centro, dall’intervista di Giuseppe Moscati a Paolo Protopapa. Anche da qui viene il titolo al plurale, appunto perché si tratta di tre approcci diversi, con un diverso filo conduttore e con risultati differenti. Si propongono tre nuove letture della “questione” che vanno ad arricchire l’ampio catalogo già esistente.

Tanzarella pone l’accento soprattutto sul saccheggio ambientale, economico e umano subito da sempre dal Mezzogiorno a causa dell’incapacità, dell’inaffidabilità e dell’immoralità dell’insieme della sua classe dirigente ma innanzitutto di quella politica, sia di destra, di centro o di sinistra. Da qui la soluzione indicata come soluzione essenzialmente etica: <<la questione meridionale come questione politica nazionale è, innanzitutto, -egli dice- questione etica>>.

Con un ragionamento assai colto, direi addirittura sofisticato, che spazia con perizia nella storia del pensiero, nella teoria politica, nelle questioni istituzionali, nell’intervista di Moscati a Protopapa l’approdo ritenuto sicuro è quello della necessità di una generale elevazione politica da costruire attraverso la creazione e il rafforzamento di un tessuto di democrazia diffusa che consenta la partecipazione più larga. Per Protopapa <<il risveglio delle coscienze, per il tramite di un processo capillare di alfabetizzazione politica di massa, e l’utilizzazione critica e partecipativa delle reti di comunicazione pubblica costituiscono le premesse fondamentali per questo scenario di democrazia nuova e di cittadinanza attiva>>. Si tratta di una proposta sicuramente condivisibile che però già si scontra col federalismo caciarone di casa nostra introdotto con una riforma della Costituzione e nato proprio in nome di una richiesta, vuota e demagogica, di avvicinamento delle istituzioni al cittadino e viceversa. L’esperienza di tale ‘avvicinamento’ –col quale bisogna fare i conti se si vuole cambiarlo in meglio- sta, infatti, dimostrando che l’autorappresentazione brada dei territori crea un “comunitarismo competitivo” aggressivo che porta ad un godimento differenziato dei diritti costituzionali e alla lesione delle condizioni sistemiche dello sviluppo del paese.

Altrettanto sofisticata e più “intrigante” appare la proposta di Anna Stomeo. E’ ben consapevole della difficoltà di venire a capo della “questione” perché << implica il confronto con una realtà sfuggente e molteplice, in gran parte devastata dalle conseguenze economico-sociali e antropologiche della globalizzazione (dal sovranismo al neoborbonismo fino al nichilismo delle piccole patrie>>). <<Da quale prospettiva, allora, -si chiede- intendiamo porci?>> E’ proprio a questo punto, però, che il ragionamento della Stomeo si fa molto complesso e, a volte, labirintico. Accenna alle molte prospettive finora utilizzate dagli studi sul Sud scartandole praticamente tutte (secondo me, non a torto) e proponendone una insolita, eccentrica, assolutamente “fuori pista”: quella di intendere il rapporto Nord-Sud <<come relazione semiotica e non ontologica, una relazione non fra causa ed effetto, ma fra significante e significato>>, che vuol dire <<lavorare sugli aspetti semantici e semiotici che si nascondono dietro la dimensione filologica ed ermeneutica>>.

Ma qui mi fermo perché mi rendo conto di non essere attrezzato per andare oltre (lo farà il lettore del libro per proprio conto). Ciò che però intuisco è che, anche se possono aiutare, con gli strumenti della semiotica difficilmente è possibile venire a capo del problema. Come, precisamente, non è possibile venirne a capo con qualsiasi altro approccio parziale.

E’ sicuro che le molte “questioni meridionali” andrebbero ricondotte ad unità. Ma non all’unità delle tante questioni del Sud, ma all’unità degli scompensi generali della storia dell’intero paese. Proprio perché la questione meridionale non è la questione del Sud, ma la questione dell’Italia intera.

Egidio ZACHEO

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*