Il riformismo craxiano mai esistito

Ha davvero la memoria corta questo Paese. In modo particolare buona parte della sinistra. Che non per caso, appunto, sta facendo (ha fatto) la fine che sta facendo (che ha fatto). Se si pensa poi –dimenticando proprio tutto- di metterla in condizione di riprendersi ricorrendo a presunti valori e meriti dell’ “era craxiana”, allora veramente non ha più speranza.

Più di qualcuno, infatti, ha preso a pretesto l’uscita del film “Hammamet” e l’intervento al senato di Matteo Renzi per rivalutare la figura politica di Bettino Craxi. Non considerando, nel primo caso, che il film –nessun film- non può essere valutato come un documento probante e oggettivo di revisione storica, ma solo come un lavoro artistico sui risvolti privati, familiari e umani di una figura pubblica della quale si sono occupati, e si stanno occupando, studiosi e storici con risultati prevalentemente convergenti. E, nel secondo caso, che sarebbe legittimo vedere in quell’intervento più una “prova a carico” dato il personaggio che lo ha pronunciato e il suo impegno proficuo a far sparire la sinistra dal panorama politico italiano. Abbiamo anche letto di un maldestro tentativo di accostare la vicenda di Craxi a quella di Aldo Moro che trascura il fatto dirimente che mentre uno è stato ucciso dalle Brigate Rosse, l’altro, nottetempo, si è dato alla fuga dalla giustizia.

Bettino Craxi non è stato un campione del riformismo italiano, da cui poter ricavare un qualche esempio, anche se qualcuno arriva a dire, riportando le parole di un giornalista, che, addirittura, <<le riforme introdotte dal suo governo sono diventate un riferimento per il gruppo dirigente del “New Labour”, che nel 1994 si propone obiettivi simili nel Regno Unito>>. Sono invece molto più aderenti alla realtà le parole –tra gli altri- di uno storico di professione, per giunta inglese e “labour”, quando afferma che, benché Craxi sia stato presidente del Consiglio per più di quattro anni, è <<difficile trovare convincenti prove empiriche di una sua efficace azione di governo>>(P. Ginsborg).

Serve dunque a poco cercare di edulcorare qualche suo ‘errore’, sue scelte sbagliate, tirando in ballo il suo carattere aspro, spigoloso, autoritario. Questo non spiega proprio niente perché gli errori capitali commessi da Craxi sono dovuti a ragioni profonde e complesse: alla sua visione politica, alla sua idea di potere, ai suoi referenti culturali. Il suo presunto riformismo, più che una sofferta scelta teorica e culturale, appare semplice pragmatismo finalizzato all’acquisizione e alla conservazione del potere. La verità storica, intanto, dice che egli si è dichiarato riformista solo quando questa dichiarazione oggettivamente gli ha fatto più comodo. Nel 1976, divenuto segretario del Psi, è addirittura contro il “riformismo” e per “l’alternativa socialista”. Con questa parola d’ordine cerca strumentalmente di accreditare solo l’idea di un Pci “moderato” e funzionale al sistema per l’intesa con la Dc, e di un Psi, invece, alternativo al sistema democristiano. Il documento del 41° congresso del Psi del marzo del 1978 è la consacrazione di questa linea. Qui si sosteneva che l’alternativa dei socialisti italiani era molto di più della “semplice alternanza” e che l’obiettivo doveva essere quello di una <<lotta contro il sistema>>. Le stesse socialdemocrazie europee venivano criticate proprio per il loro riformismo debole. Anche nel suo famoso “Saggio su Proudhon”, apparso sull’ “Espresso” dell’agosto successivo, Craxi snobba la tradizione del riformismo italiano.

Diventa “riformista” solo nel 1981, dopo che la sconfitta elettorale del Pci nel 1979 pone termine alla “solidarietà nazionale” tra Dc e Pci e fa del Psi l’alleato indispensabile per la formazione di una maggioranza di governo. Solo nell’assemblea del 19 febbraio del 1981, infatti, dichiara formalmente la sua corrente non più autonomista ma, appunto, ”riformista”, che per lui voleva dire, come si incaricò di dimostrare l’immediato futuro, tenere permanentemente il Pci all’opposizione stando egli permanentemente al governo con la Dc in un rapporto di aspra conflittualità per l’occupazione di ogni posto i potere .

Padrone indiscusso del partito, trasformò il Comitato centrale in una “Assemblea nazionale” fatta di <<nani e ballerine>>(R.Formica), dove non si discuteva ma si acclamava solo il capo. Qualcuno parlò, all’epoca, di pericoloso legame tra la nuova politica craxiana e <<un progressivo svuotamento del processo democratico>>. Si può allora senz’altro concludere che la scomparsa del Psi (partito secolare) e la fuga del suo leader in Tunisia per sottrarsi alla giustizia costituiscono l’epilogo tragico di un riformismo craxiano mai esistito.

L’aspetto umanitario e il dovere di farlo curare non sono argomenti politici. Sono un’altra cosa: una cosa che non si deve mai negare a nessuno, colpevole o innocente che sia.

Egidio ZACHEO

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