Roberta Soverino ci fa volare con i suoi “Incontri di viaggio”

L’autrice, Roberta Soverino, con questo libro edito da “PubMe” fa davvero volare la lettrice / il lettore.  Quasi la materializzazione di un documentario con tanto di commento, sonoro (immaginabile) e video (reso vivacissimo dalla penna della scrivente). Non solo affreschi di luoghi vicini e (abbastanza ) lontani geograficamente ma qualcosa di più…Occasioni di incontro, di scambio, di trasmissione di esperienze, in una parola…occasioni di vita. Prima di immergerci, però, nell’atmosfera ovattata dell’opera, a conferma dell’effetto stimolo costituito da questa raccolta di passi, un piccolo ricordo personale, in parte collegabile ad una delle storie narrate.

L’angolo di visuale è quello protetto dal traffico del vecchio centro di Amburgo, grande città anseatica sul Mare del Nord con i suoi moli nuovissimi, i suoi ponti, le sue banchine fronte porto. Immediatamente alle spalle le case molto strette e alte, di almeno sei piani, con finestre tutte uguali e, in cima, ciò che resta di un’apertura più ampia che, nel tempo, doveva servire per agevolare le operazioni di carico delle navi. Si immaginano scivoli, tiranti, funi, sacchi volanti, urla, carri cigolanti e gru all’opera, giorno e notte. Questo “vor den krieg” come dico i locali, prima della guerra. Ora di quel quartiere sono rimaste in piedi circa il dieci per cento delle strutture medievali, nella forma originale, gli altri edifici sono ricostruzioni fedeli, a volte fatte con gli stessi pezzi bombardati,  di ciò che c’era prima dei raids aerei alleati.  Bene. In uno di questi angoli, giusto tra una piazzetta e un vicolo c’era (fino al 2017) un negozietto di libri, ancora con la vetrina in struttura di ferro, mastice rosso sui vetri e porticina cigolante, anch’essa in ferro. All’interno due librai, marito e moglie, novantenni che, in un inglese molto rudimentale cercavano di presentarmi i libri, appunto, di “Vor den Krieg” di prima della seconda guerra mondiale. Alcuni presentavano anche le Allee moderne a fronte di com’erano un tempo con platani e tigli ormai scomparsi. Cercavano di spiegarmi cosa c’era di fronte alla libreria e anche dietro, retrobottega, unica parte di quell’angolo di edificio colpita da uno spezzone incendiario, con successivo incendio devastante per la libreria che, effettivamente, si trovava in quel luogo fin dal lontano 1876. Niente…si chiacchiera, si compra qualcosina di interwessante (che tengo gelosamente in libreria, e si torna all’albergo. Era il 2016. Nel 2018 ci ritorno, stesso angolo, stesse luci, stessa visuale, ma del negozietto nemmeno l’ombra. Ora è la vetrina di un supermercato Aldi che, chiaramente, ha fatto valere i diritti del più forte (oltre che aver permesso ai due librai novantenni un meritato riposo).

Ecco, il libro della Soverino è questo, flashes di memoria che affiorano e ti travolgono, magari innestati da un più prosaico tramonto in Liguria o dietro un auto al semaforo di Brescia. Ma proviamo direttamente l’ebbrezza e poi, se vorrete, continuerete la cavalcata magica con il testo integrale.

Si inizia con “Piccola Palestina” raccontando qualcosa di un inserimento palestinese nel cuore d’Italia…

“Piccola Palestina . Un podere di pietra all’incrocio tra due strade in salita, ai piedi del monte Amiata. Profonda e rude Toscana, così differente dall’ordinato e dolce Chianti che pure, non lontano da qui, richiama, come una sirena dal canto ammaliatore, migliaia di turisti da tutto il mondo. Ecco delinearsi davanti ai nostri occhi la Maremma e, in particolare, la parte più contadina, più impervia e selvaggia, che si abbarbica in piccoli paesi sospesi tra tornanti e chiazze di vegetazione verde intenso, a tratti arruffata dal vento che qui la fa da padrone. La vetta dell’Amiata è sempre lì, a indicarti la strada, con il suo profilo burbero e vitale al tempo stesso, refrattario a ogni addomesticamento troppo profondo, ma neppure così lontano da non mandarti qualche richiamo familiare che ti faccia sentire, in un certo qual modo, a casa “ (6)

Apertura maestosa a conferma delle capacità evocative della scrittrice.

(…) “La prima volta fra queste terre dà l’impressione di continuare sempre a salire: ogni tornante ne richiama un altro. Salire, fra colline irte e boscose, in un connubio di natura e vita dai ritmi sospesi. (7)”   E vi sembra di salire con l’occhio dell’autrice, girando il capo a destra e a manca alla ricerca della perfezione della natura.  (…) “Oggi, che ci siamo ritornati, conosciamo l’altra “metà del cielo”, la generazione più giovane, che ribattezzo, tra me e me, “Piccola Palestina”.  Grandi occhi verde-azzurri dentro un viso e un corpo minuto, Maddalena, la figlia, è ritornata alla sua Roccalbegna dopo una esperienza di vita forte e lontana: anni a insegnar musica nei campi profughi di Ramallah, in Palestina.  (10)”  Piccolo spezzone finale a conferma dell’attenzione al connubio ambiente / persona, sempre con l’obiettivo di far capire in profondità animi e sensazioni.

Si continua poi con “Matrimoni di acciaio a Peniche”.  “Granito, calcare, arenaria, ardesia… qui le rocce sembrano scolpite da un artista intenso e concentrato, e invece… è solo la natura, il tempo e il vento. La spiaggia, quasi a dune, ospita qualche sparuta vegetazione, che ricopre in parte gli scogli. Strani fiori bianchi, essenziali e dalle linee nette, spuntano qua e là direttamente dalla sabbia. Peniche, situata all’estremo ovest del Portogallo, sembra spingersi nell’oceano, ammirando l’orizzonte.” Sembra quasi di assaporare l’oceano, di sentire il suo alito, il suo fremito. Poi si passa al nocciolo del racconto facendo presente una tradizione specifica per sli sposi novelli: il dono di una moneta. “In Portogallo porta fortuna alle coppie regalare una moneta dice, in un buon inglese, appoggiando sul nostro tavolo il tesoro bronzeo, in una sorta di mancia all’incontrario.”   Qui la protagonista è una delle molte proprietarie di alberghi e locande che si incontrano nel libro e che, in questo modo originale, intende “benedire” il futuro della nuova coppia. Ma andiamo oltre, sempre con piccoli flashes.

E senza colpo ferire ci ritorviamo nella Grecia più antica quella delle “Meteore”. Il brano ha per titolo:“Le mani nodose delle Meteore” e, giusto per farne qualche assggio, ne riportiamo alcuni passi.  “Mi chiedo se la fretta dei nostri giorni non nasconda, a volte, la paura di fermarsi a pensare, contenitore ermetico di ansie per chi ha smarrito il senso delle cose e non ha possibilità di provare a ritrovarlo. Fare finta di aver individuato uno scopo nella fretta ci fa assomigliare tutti al Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, mentre prestare forse più attenzione al qui e ora ci regalerebbe magari all’inizio più ansia, è vero, ma senza dubbio anche più spessore e intensità, e colorerebbe il nostro tempo di meraviglia. Che significato avrebbe per noi, cittadini del secondo millennio, sempre connessi, ritagliarsi uno spazio vuoto e tranquillo? Siamo davvero sicuri di non poterlo avere, o in fin dei conti non lo vogliamo davvero? (19)”. L’atmosfera magica dell’Ellade ci porta a ripensare il tempo nostro, come lo impieghiamo, con quali obiettivi e con quale efficacia. Infatti…“Mi colpisce un particolare: questa donna, sulla cinquantina passata, tinta nera casalinga che ricorda un po’ il petrolio, grembiule perenne sopra la gonna al ginocchio, fuori moda, mi prende la mano per salutarmi e ha una stretta subito viva, energica e ruvida, fatta di calli che parlano di duro lavoro ma anche di autenticità, di immediatezza e di intensità della vita quotidiana. Mi sorride e dice qualcosa in greco che mai potrò capire, ma che accompagna quel fugace incontro reale, essenziale e solido. Una stretta così non me la dimenticherò più.  (20)”. L’amore per il sole e il mare della grecia è evidente, come chiarissima è l’ammirazione della sua gent.  E, il tutto, realizzato con il solo uso delle parole. Una vera magia.

Con “La segretaria della malga”  ritorniamo in Italia vicino ai confini orientali: “Un azzurro, che rende tridimensionali le nuvole bianche, incornicia questo angolo della natura, a tratti incontaminato, che si merita tutta la fama che ha e che non è sicuramente ancella, per bellezza e suggestività, alle più famose vicine di casa: le Dolomiti. Stiamo parlando delle Alpi Cimbre, dagli alberi alti e secolari, dalle montagne verdeggianti e dai laghi alpini. Teatro sanguinario e terribile della Prima guerra mondiale, ne raccoglie tracce ben conservate e inventariate nell’ampio Museo della Grande Guerra, nella non lontana Rovereto. Rovereto, cittadina dal sapore cosmopolita e quasi mitteleuropeo. Passeggiando tra le sue stradine curate e tradizionali si entra in contatto con un’aria nuova, aria di cultura, di interesse per il mondo e per le arti, di attenzione al senso di appartenenza, di comunità (22)”. Quasi si sente il profumo della resina dei sempreverdi e si intravvede tra la foschia del tardo pomeriggio un meraviglioso rosa al tramonto. Ma procediamo…”Poco più avanti della malga, svetta, ora pacifica, la base tuono, negli anni Sessanta e Settanta base missilistica della Nato. La mancata segretaria scherza, schernendosi dietro dei canederli superlativi, che lei non è capace di cucinare uno strudel tiepido e delizioso, anello di congiunzione con la cucina, senza davvero sentirsi parte di essa. Ti guarda da sotto la corta frangia biondastra, piantandosi solida sui fianchi generosi, fisico e volto che uniscono elementi italici e nordeuropei, in maniera curiosa e gradevole  (22)”(…)“Mi volto ancora mentre chiudo il cancelletto di legno rudimentale, capace di contenere il bestiame. La neve è sparita dalla mia mente in questo fine agosto, ma tornerà appena le ombre delle montagne allungheranno il loro profilo nel pomeriggio precoce di fine autunno. (23)”. La musicalità di questo “pomeriggio precoce di fine autunno” è difficilmente raggiungibile…

Con “Messer Poseidone e i polpi alla griglia” si torna alle isole greche, ai profumi inebrianti di rosmarino, alloro, piretro…in questo caso ingentiliti dagli aromi delle pulitissime cucine elleniche.  “I tavoli, anche loro con le tovaglie a quadri (immancabili in Grecia, che siano di stoffa o comunemente di carta), stanno naturalmente sotto un pergolato d’uva, e sembrano guardare il mare. Il blu intenso di questi luoghi ti fa entrare in una tavolozza vivente, e da un momento all’altro ti aspetti di vedere un pittore presentarsi sullo sfondo, quasi un’entità magica e liquida insieme, creatore di colori troppo intensi per essere veri. Buon vino e ottimo pesce creano un’atmosfera di rilassamento e al proprietario dei polpi piace parlare, con un ottimo inglese (qui lo sanno davvero tutti, ottuagenari compresi), raccontare di come Rodi sia stata sotto il dominio di Mussolini, all’epoca, e come poi, fiera, abbia rialzato la testa mentre guardava alla Turchia, sua vicina di casa; anzi, più vicina della stessa Madre Grecia. Mentre lo ascolti parlare avverti un certo orgoglio per la sua nazionalità, nonostante le contraddizioni, le problematiche, le difficoltà. (26)”

“Il pranzo è quasi terminato, ma non prima di gustare lo yogurt con la composta d’uva casalinga più buona che abbia mai assaggiato, nelle mie innumerevoli visite alla Grecia che ho continuato a fare, complice uno struggimento per questi luoghi che, in altre latitudini, prende il nome di “mal d’Africa”. (28)”. Yogurt, souvlaki, dolmadakia e rezina che rendono ancor più esilarante il racconto e, in un certo senso, sono il miglior biglietto da visita per la Grecia stessa.

E dalla Grecia passiamo all’Irlanda, sfogliando le pagine come una guida turistica ma più di sentimenti e impressioni vere che di cartoline da vetrina. “I cantori dell’EIRE”. “Certo, Dublino è un’altra storia, con la sua aria cosmopolita, le sue architetture georgiane, i suoi parchi dal contorno quasi giapponese. Si dice, e non a torto, che qui le persone abbiano un po’ un animo da sud del mondo: poco composti e per nulla distanzianti, risultano spesso affabili e ben disposti alla chiacchiera, non si sa quanto facilitata dalle numerose pinte di Guinness che qui vengono consumate senza parsimonia. (29)”   (…) “Poi, a un tratto, la repentina trasformazione che mi lascia a bocca aperta. I tre uomini irlandesi, che sono stati tutta la sera al tavolo accanto al nostro, tirano fuori da sotto il tavolo stesso le cu- 31 stodie dei loro strumenti e si animano improvvisamente, in una trasfigurazione da lasciare di stucco. Il primo, una testa riccia già brizzolata, maglione verde di lana, suona con convinzione una specie di fisarmonica e canta dentro un microfono con l’asta che si è materializzato direttamente al tavolo, dove rimangono seduti. Il secondo, cappellino da baseball e pizzetto bianco, armeggia sapientemente con una chitarra tonda che ricorda un tamburello, e l’ultimo, capelli biondi lunghi da vichingo, suona una chitarra classica. Il risultato è straordinario, la musica tradizionale risuona melodiosa nel locale, con una energia che sembra palpabile quanto inaspettata. (31)”. Come scritto all’inizio, l’autrice riesce a ricreare i suoni e gli odori, oltre alle immagini, e questo affresco di gruppo musicale improvvisato (ma poi nemmeno tanto), ne è una conferma.

Terminiamo la rassegna, che va a coprire giusto la metà delle proposte contenute nel libro, sia per rispetto al lavoro dell’autrice, sia per non rivelare troppo alle lettrici e ai lettori, con un racconto che ci riporta ad inizio commento. Siamo in Germania, nelle valli a fianco del grande Reno. Si respira aria di storia, di musica, di organizzazione e di ricordi e, proprio come per i due librai (risucchiati dai ricordi di viaggio di qualche anno fa) ci ritroviamo con una coppia con tante cose (belle) da raccontare. Questa volta il titolo è. “Una coppia tedesca”.

” Arriviamo vicino a Coblenza, nella valle della Mosella, in Germania, dopo un viaggio in auto dall’Italia davvero stancante. Ad attenderci questa anzianissima coppia tedesca. Lui, Anton, passo strascicante da ultraottantenne, mi prende dalla mano il mio borsone e, messasi la tracolla, incomincia a camminare davanti a me, incurante delle mie proteste che lo rivogliono indietro, non sembrandomi proprio il caso; ma lui, uomo di altri tempi, non capendo nulla di ciò che sto tentando invano di dire, mi fa cenno con la mano sottile di non preoccuparmi. Lotti, la moglie da più di cinquant’anni, lo guarda sorridendo, nello stesso tempo esile e forte nell’andatura. Mi appare una cara coppia gentile e ancora innamorata, così rimango turbata e colpita quando mi si dice che lui ha combattuto, naturalmente, dalla parte dei tedeschi, durante la Seconda Guerra Mondiale. Provo a immaginarmeli, cosa può voler dire vivere e crescere nella campagna tedesca in quegli anni, negli stessi posti dove il famoso regista Edgar Reitz ha ambientato la trilogia di Heimat, sceneggiato molto seguito. (39)”   (…) “Poi lo vede, il cognome di Anton… nella lista dei prigionieri. Il cuore perde un colpo, ma Lotti si riprende sperando nella sua buona stella. Prigioniero non è sinonimo di caduto, e ci sono ancora delle possibilità. Lotti passerà settimane di ansia e disperazione, e solo dopo mesi suo marito verrà rilasciato e tornerà, con non poca fatica, da lei. Nella sua mente e nel suo cuore sarà eternamente grata a quel popolo del Nord che ha risparmiato, comunque, la vita al suo uomo, e per lei i russi, ancora più che in Anton, 41 custode di ricordi e momenti forse non raccontabili, occuperanno sempre un posto di riguardo nei suoi pensieri. (41)” (…) “Molti anni dopo, virtualmente, chiuderà il cerchio con loro, in occasione di una visita a San Pietroburgo. Lì nasconderà e salverà un gattino che si porterà a casa, in una sorta di debito di riconoscenza (41)”.

Racconti a volte leggeri e “compagnoni”, a volte di grande profondità. Abbiamo terminato la breve presentazione con uno di questi ultimi. La sacralità della guerra, di tutte le guerre, merita tutto il silenzio e la riflessione possibili. Il miglior viatico per continuare nelle letture e procedere quindi all’acquisto di questa interessante pubblicazione.  (plx)

https://www.ibs.it/incontri-di-viaggio-libro-roberta-soverino/e/9791254580028

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