Storia di corvi e di razzismi

Il fatto avvenuto nel bus del capoluogo  è segno sicuramente di una crescente intolleranza e paura. Non è né un sentimento nuovo, né un sentimento bello; è un sentimento che è segno di come le nostre comunità si stiano chiudendo in loro stesse, giustificandosi con la solita cantilena: non siamo razzisti; qui c’è spazio per tutto, bisogna che tutti stiano al loro posto.

Su questa frase, in questa sede, mi permetto di commentare con un piccolo racconto di qualche anno fa; racconta una storia vera avvenuta in un altrove non troppo lontano; nel nord dell’Inghilterra: una storia di bambini ed animali che secondo me mette in chiaro dove si stia andando, sperando che, come indegno successore di Esopo, possa contribuire ad un emergente dibattito morale.

Durham è tagliata dal fiume Wear, che si snoda attorno alla rocca della cattedrale. Nel corso degli anni il lungo fiume è stato mantenuto a verde pubblico, punteggiato da centinaia di piante, alcune delle quali plurisecolari. Questo spazio è il rifugio di molti uccelli: cince, colombacci, anatre, gabbiani, corvi, taccole, ecc., che trovano nel fiume, tra gli alberi od i cestini dei rifiuti tutto l’occorrente per gozzovigliare in estate come in inverno. Tra i tanti abitanti di questo habitat vi sono anche i corvi neri. Sono animali particolarmente territoriali, che vivono e si muovono generalmente in gruppi.

Primo pomeriggio di un’inaspettata giornata di sole. Anatre e gabbiani placidi pascono lungo il fiume. Una sagoma si staglia nel cielo, planando verso la radura del ponte di South Baley. Di un tratto dalle piante si leva uno stormo di una decina di altre figure nere che si fiondano sul nuovo arrivando, gracchiando. È un attimo. Il nuovo arrivato è circondato e fatto atterrare. Una volta a terra, l’attacco continua per qualche minuto. Poi lo stormo riparte e scompare negli alberi. Anatre e gabbiani, indisturbati, continuano la loro vita.

Arrivando dal lungo fiume una bimba accompagnata da sua madre. Arrivando sul ponte, la piccola vedere una figurina tutta spiumata che gracchia lamentosa sulla strada. Si avvicina. L’animale non si allontana. È nero, becco bianco. Più di una parte del suo corpo è spiumata. Si lascia avvicinare. Vedendo l’uccello, la bimba chiama la mamma. La mamma cerca di strattonare via la bimba da quell’animale, francamente dall’aspetto non attraente. La bimba resiste. Vuole che si aiuti il figurino. La mamma esista. La bimba continua. La mamma alla fine cede. Raccoglie in un sacchetto, poi messo in un cartone recuperato per caso vicino ad un cestino, il volatile. Lo portano ad un veterinario non lontano. Il dottore guarda l’animale. È un corvo. Dice alle due di ripassare tra un’oretta che vede se è possibile fare qualcosa. Le due accettano. Se ne vanno. Ritornano.

Il dottore le guarda con aria sconfortate. “Mi spiace. Non c’era niente da fare. Gli avevano strappato le penne caudali. Non avrebbe più volato. L’ho dovuto sopprimere. Avrà disturbato un’altra colonia. Si sarà avvicinato ad un territorio già controllato da altri della sua specie che l’avranno attaccato. Capita ed in fondo è stata colpa sua se è finito così…”

A Durham, lungo la Wear c’è un parco. È un posto verde, fresco, dove tanti animali vivono in pace ed armonia. Un posto edenico, dove c’è cibo e spazio per tutti. L’importante è non disturbare.

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