Una strategia per il futuro: solidarietà versus cooperazione tra pari

«Un giorno le nazioni d’Europa potrebbero essere pronte a unire le loro identità nazionali per creare una nuova nazione europea: gli Stati Uniti D’Europa. Se e quando ciò dovesse accadere, un Governo Europeo avrà le stesse funzioni che ha oggi il Governo Federale negli Stati Uniti d’America o in Canada o in Australia. Ciò comporterà la creazione di una “piena unione economica e monetaria”. Ma è un errore insidioso quello di credere che l’Unione Economica e Monetaria possa precedere l’unione politica o agire come (nelle parole del Libro Bianco) “una sostanza in grado di favorire lo sviluppo di un’unione politica della quale non potrà fare a meno nel lungo periodo”. Ora, qualora la creazione di un’Unione monetaria e il controllo Comunitario dei bilanci nazionali generassero pressioni da provocare il crollo dell’intero sistema, così facendo si comprometterebbe lo sviluppo di un’unione politica anziché promuoverlo».

N. Kaldor, Gli effetti dinamici di un Mercato Comune, New Statesman, 12 marzo 1971, riprodotto in «Further Essays on Applied Economics», Duckworth, London 1978, p. 206 (traduzione di Giovanni Gozzoli).

Dal momento che il vertice tra i capi di stato e di governo dell’Unione Europea sul Meccanismo di Stabilità (Mes-Fondo Salva Stati) e l’Eurobond (o «Coronabond» come qualcuno preferisce chiamare) si è concluso con un nulla di fatto e con un rinvio delle decisioni di due settimane, preferisco sorvolare sulla diatriba in corso. Non prima, però di aver chiarito quanto segue. Qualsiasi emissione di titoli di debito – sia esso privato o pubblico e a prescindere dall’istituzione che li emette –, necessita di conoscere la solvibilità del debitore nei confronti dei creditori. Ora, stando ai dati della Banca Mondiale relativi al 2018, con il 24,4% della produzione mondiale gli Stati Uniti sono la prima potenza economica mondiale, seguiti dalla Cina con il 16,0%, dall’Unione Europea con il 15,6%, dai diciannove paesi dell’Eurozona, la cui potenza economica è di poco inferiore a quella della UE (13.8%). Seguono ad una certa distanza la Germania (4,1%), il Regno Unito (3,3%), la Federazione Russa (3,2%), l’Italia (2,8%), la Francia (2,4%) e il Giappone (1,8%).[1]

Da questi dati emerge in maniera palese come nessun paese europeo preso isolatamente (inclusa la Gran Bretagna, ma anche la Germania) possa vantare una solvibilità nemmeno paragonabile a quella degli Eurobond, la solvibilità dei quali, ancorché di poco inferiore a quella dell’Unione Europea nel suo insieme, è garantita dalla potenza economica dei 19 paesi dell’Eurozona. Ciò detto, qualora i paesi che fanno parte dell’Eurozona, all’interno dei quali circola una moneta unica, si costituissero in una Federazione di Stati, con una «politica monetaria» gestita da una Banca Centrale (con poteri simili a quelli della Federal Reserve statunitense) e una «politica fiscale» gestita da un Governo Federale, la solvibilità del suo debito nulla avrebbe da invidiare a quella degli Stati Uniti.

La Storia non si ripete mai allo stesso modo, ma la conoscenza della Storia consente di evitare di commettere gli stessi errori. Contrariamente a quanto in molti sostengono, quella contro la pandemia da Covid-19, non è una guerra, ma ha gli stessi effetti di una guerra. Il blocco delle attività economiche allo scopo di evitare (o quanto meno ridurre) il contagio, imposto dai Governi delle economie industriali avanzate provocherà (ha già provocato), ripercussioni sul sistema economico, con conseguenze su quello sociale, specialmente qualora dovesse prolungarsi ancora per qualche settimana (se non per qualche mese), di dimensioni paragonabili a quelle della Grande Crisi degli anni ’30 del secolo scorso.

In queste ultime settimane le classifiche della vendita dei libri vedono ai primi posti, comprensibilmente, i libri di chi, come il biologo e divulgatore scientifico David Quammen, già nel 2014 aveva previsto la pandemia (Spillover. L’evoluzione delle pandemie, Adelphi) e di chi, come il virologo e microbiologo Roberto Burrioni dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, ci spiega (in Virus. La grande sfida, Rizzoli) come si diffondono e come si contrastano le epidemie.

Personalmente sto rileggendo una bella raccolta di saggi[2] di quello che è stato, come si legge nella sintetica biografia editoriale, “uno degli economisti più importanti di sempre e un protagonista della vita istituzionale del proprio tempo”. Si tratta di una raccolta di sette articoli che, considerati nel loro insieme “delineano l’utopia possibile (…) che avrebbe potuto cambiare il mondo”. Proviamo ad adattare ai nostri giorni l’analisi che egli fa del “problema attuale in Gran Bretagna”. “è tipico – scrive Keynes – di ogni regime di moneta internazionale liberamente convertibile l’addossare gran parte dell’onere di aggiustamento sul paese che si trova nella posizione di debitore nella bilancia internazionale dei pagamenti – ossia sul paese che per ipotesi (in questo contesto) è più debole e soprattutto più piccolo rispetto all’altro piatto della bilancia, che (ai nostri fini) è costituito dal resto del mondo” (p. 62, corsivi nell’originale).

Qualcuno potrebbe obiettare, correttamente, che il contesto al quale Keynes si riferisce è quello del commercio internazionale, un contesto nel quale il processo di aggiustamento della “bilancia dei pagamenti”, il cui squilibrio nella sezione dell’interscambio commerciale, in un sistema di cambi variabili darebbe luogo ad un processo di svalutazione della moneta del paese debitore e di rivalutazione di quella del paese creditore. Un processo che, attraverso le sue ripercussioni sui salari e sui prezzi, favorirebbe la competitività (di prezzo) dei paesi deficitari, facendone riequilibrare l’interscambio.

Ora, si dà il caso che, all’interno di un’area a moneta comune, quel processo non può avvenire, dal momento che, nei confronti dell’esterno, la moneta unica agisce come un sistema di cambi fissi. Ne segue, che i paesi che presentano un forte avanzo nell’interscambio commerciale come la Germania, rafforzano continuamente la loro posizione accumulando il loro credito nei confronti dei paesi debitori, nei quali il disavanzo commerciale si scaricherà sul sistema fiscale nazionale rendendo sempre più debole la loro posizione e facendo sì che divenga praticamente impossibile ridurre la posizione debitoria. Amplificando in tal modo le disparità già esistenti. “Lo stesso vale – sottolinea ancora Keynes – nell’ipotesi in cui l’aggiustamento abbia luogo attraverso prestiti internazionali. Il paese in deficit deve prendere a prestito; il paese in surplus non ha alcun obbligo del genere” (p. 63). “Quando finirà la guerra – sottolinea Keynes a conclusione della sua analisi[3] – sarà già operativo a tutti gli effetti un sistema ben sviluppato di accordi di pagamento e compensazione. Tale meccanismo può essere trasformato in uno schema permanente valido anche in tempo di pace, che dovrebbe aiutare a mitigare quanto più possibile i tratti negativi del bilateralismo” (p. 67).

Alla fine delle tre settimane di dibattiti tra i 730 delegati delle 44 nazioni alleate presenti alla Conferenza di Bretton Woods, in cui verranno discussi i due progetti presentati dal delegato USA Harry Dexter White e dal delegato inglese John Maynard Keynes, verrà approvato il piano di White, che, a differenza di quello di Keynes basato sulla cooperazione tra pari, privilegiava l’interesse degli USA (in allora paese creditore) a scapito di quello collettivo.

Esattamente come allora, sentendosi più forte (cosa peraltro tutta da dimostrare), il Presidente Trump predilige una politica commerciale basata sul bilateralismo e, al pari di Putin, scommette sull’implosione dell’Eurozona e dell’Unione Europea.

La Germania, forte del suo attivo nell’interscambio commerciale, e i Paesi Bassi che con Cipro sono favoriti dall’assenza di una politica fiscale comune all’interno dell’Eurozona, cosa che fa sì che siano, di fatto, dei “paradisi fiscali” (sia all’interno che all’esterno della UE), giocano pericolosamente sull’ambiguità del “principio di solidarietà”, mentre nel sistema della “cooperazione tra pari”, ideato e propugnato da Keynes “dovrà essere – per usare le sue stesse parole – quello di pretendere che siano i paesi creditori a sostenere le principali iniziative”. Ciò, al fine di impedire l’acuirsi di quelle tensioni ─ preconizzate da Kaldor nelle sue critiche alla relazione finale della commissione presieduta da Pierre Werner dell’ottobre 1970 che ha gettato le basi teoriche della futura Unione Europea ─ che stanno generando “pressioni tali da provocare il crollo dell’intero sistema”, tali da compromettere lo sviluppo di un’unione politica anziché contribuire a promuoverla.

Bruno Soro

Alessandria, 29 marzo 2020

  1. Questi pochi dati spiegano esaurientemente e meglio di qualsiasi altro indicatore (dal momento che la solvibilità di una economia dipende dal valore del Prodotto Interno Lordo (PIL), e non dal rapporto Debito pubblico/PIL) l’atteggiamento ostile e divisivo nei confronti dell’Eurozona, la cui implosione andrebbe a vantaggio di tutti i suoi concorrenti (Regno Unito incluso), sia da parte degli Stati Uniti di Trump che della Federazione Russa di Putin. Per contro, la trasformazione quanto meno dell’Eurozona in una Unione Federale (se non proprio di tutti i 27 paesi europei) è percepita dalle altre potenze economiche (ma anche militari) come una minaccia, o in ogni caso come un temibile concorrente sul piano del commercio internazionale.
  2. J. M. Keynes, Moneta internazionale. Un piano per la libertà del commercio e il disarmo finanziario, il Saggiatore, 2016
  3. E’ importante sottolineare come il saggio di Keynes su “Il sistema monetario internazionale del dopoguerra” porti la data dell’8 settembre 1941. Tre anni dopo egli presenterà le sue proposte alla Conferenza di Bretton Woods del luglio 1944, quella Conferenza che, rigettando le sue proposte basate “sulla solidarietà tra pari” porrà le basi del sistema monetario internazionale incentrato sulla supremazia del dollaro statunitense (il paese allora creditore nell’interscambio commerciale). Sistema che durerà fino a quando, essendo gli USA nel frattempo diventati un paese debitore, nell’agosto del 1971 imploderà a seguito dello sganciamento del dollaro dall’oro.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*