Trump-vs-Greta

Trump contro il resto del mondo, lo si è visto chiaramente a Davos quando l’intero parterre economico-finanziario lo ha snobbato senza contestarlo. Il suo intervento, scarsamente applaudito, si è svolto al mattino del secondo giorno preceduto e seguito da interventi che teorizzavano un neoliberismo green ormai non più rinviabile, il nuovo corso che vuole trovare una soluzione al problema ambientale e ai rischi derivanti dal cambiamento climatico e che ha fatto della piccola Greta, immortalata nella Home page del Meeting , unica tra le foto degli ospiti importanti a livello mondiale, una inconsapevole foglia di fico, ad uso e consumo degli ingenui, dietro la quale nascondere ogni vergogna di un sistema profondamente ingiusto.

Diciamo subito che le ragioni reali che supportano questo cambiamento di prospettive non sono riposte nei timori della crisi ambientale, il cuore segreto del nuovo corso prende avvio dalla crisi concreta a cui è giunto il capitalismo mondiale, la crisi di sovra produzione che discende dall’eccesso di attività produttiva installata nel pianeta dalle grandi imprese multinazionali. A questa crisi pare non ci siano soluzioni che permettano un ritorno alla crescita e nel contempo all’ aumento dei capitali. Si è scelto dunque di sacrificare questi ultimi in un formidabile processo di distruzione, come sta avvenendo attualmente in Cina a seguito del Coronavirus, a patto però di mantenere intatto il sistema economico neoliberista insediato negli ultimi decenni, puntando sul green deal che potrebbe in futuro trasformarsi anche in nuova occasione di business.

Trump da parte sua ha scelto una soluzione antiprogressista, se il resto del mondo punta sull’economia verde lui se ne infischia dell’ambiente, per lui conta solo la difesa degli interessi e il mantenimento della struttura produttiva Usa e il rafforzamento del predominio economico come promesso nel suo programma America first, “Metterò sempre l’America al primo posto”. I suoi obiettivi consistono principalmente riequilibrare la bilancia commerciale americana, riportare a casa le imprese delocalizzate specie quelle ad alta tecnologia e, come priorità delle priorità, rispondere con determinazione alla contesa geopolitica che vede la Cina lanciata a scalare la supremazia americana. In fase di negoziazione del primo accordo raggiunto col Dragone per chiudere la guerra dei dazi, Trump ha chiesto alla Cina di impegnarsi ad acquistare beni e servizi americani per un totale di 200 miliardi di dollari di cui 77 entro il 2020 e 123 nel 2021 portando le esportazioni Usa verso la Cina a valori record , soluzione che viola le regole del libero mercato e per questo inaccettabile per il resto del mondo , specie per quella elite economica finanziaria che si riunisce ogni anno a Davos.

Naturalmente se la Cina importerà dall’America ridurrà l’import da tutti gli altri paesi.

Le strategie della crescita per Trump non hanno nulla di innovativo, si alimentano della convinzione che l’economia tornerà a correre se riprenderà a potenziare i settori tradizionali come industria e agricoltura senza particolare incremento dei servizi: nell’accordo con la Cina il presidente Usa ha preteso che fossero i prodotti agricoli, i manufatturieri e quelli energetici a costituire il grosso delle esportazioni al fine di creare un vigoroso mercato interno sostenuto dalla domanda estera. L’export dei servizi risulta di fatto marginale, nell’anno elettorale i voti si contano e non si pesano. I pericoli del cambiamento climatico, la decarbonizzazione, l’aumento della CO2 nell’atmosfera con relativo effetto serra non entrano minimamente nella sua agenda.

Completamente opposta la strategia delle altre potenze economiche riunite a Davos, il nuovo green deal scommette sul sacrificio di capitali e la loro distruzione, per il raggiungimento di obiettivi ambientali come l’arresto della corsa verso lo choc termico, trasformandoli nel nuovo motore della crescita. Questa nuova globalizzazione non prende avvio solo dalla questione ambientale ma predica anche il superamento dei conflitti dei grandi blocchi strategici, è noto da tempo che le guerre non costituiscono più un affare. Nel mondo finanziario compaiono i green bond che già hanno superato la soglia dei 500 miliardi di dollari, nuovo segmento di investimento a cui le Banche Centrali hanno dato approvazione esprimendo il proposito di acquisto per i loro Quantitative easing. Poiché si è in presenza di una crisi di sovra produzione che ha come conseguenza un ristagno degli investimenti, si comprano aziende marginali, specialmente in siderurgia col proposito di chiuderle. Ne sappiamo qualcosa con l’Ilva. Nel settore automobilistico sono favorite le grandi fusioni che mettono in comune grandi capitali per la ricerca di innovazioni che tutelino l’ambiente. Insomma Trump contro Greta che diventa l’alfiere di un nuovo modello di sviluppo gattopardesco che mantenga intatto il sistema capitalistico attuale, affinchè tutto cambi per lasciare tutto uguale. Entrambi queste strategie non faranno intravedere vie d’uscita al neoliberismo sfrenato dei sistemi correnti, nessun progressismo quindi, per la gente comune la distruzione di capitali prepara un destino di povertà diffusa in un clima di degrado ambientale.

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