Un grande torinese e un amico di Alessandria: Lorenzo Ventavoli

Lo scorso 23 novembre, nell’ambito del Torino Film Festival, il Premio “Maria Adriana Prolo” -intestato alla memoria dell’ideatrice e fondatrice di quello che oggi è il Museo Nazionale del Cinema- è stato attribuito a Lorenzo Ventavoli. Nelle diciotto edizioni precedenti il riconoscimento era andato, tra gli altri, a Bellocchio e a Giuseppe Bertolucci, a Gregoretti e a Montaldo, alla Mazzetti e a Costa-Gavras, alla Degli Esposti e alla Bosé, alla Piccolo e a Herlitzka: tanto per dare l’idea del livello.  Ma la scelta di quest’ultimo anno costituito, più che un elementare atto dovuto, un esemplare gesto di giusta appropriatezza da parte della cultura cinematografica e della società tutta: non solo torinese, ma almeno nazionale.  Lo ha ben illuminato la preliminare laudatio affidata all’amico Sandro Casazza, giornalista e critico, già a sua volta presidente del Museo.

Se di una cosa sono autenticamente contento in un bilancio (superfluo) del mio ultracinquantennale coinvolgimento -sia pure ai margini- nel mondo del cinema, è che mi abbia offerto l’opportunità di conoscere e ascoltare questa persona: davvero straordinaria per umanità e cultura, disponibilità e classe. Soprattutto negli anni in cui ebbi occasione di fare il programmatore di sala, imparandovi che, a differenza di quanto avevo “ideologicamente” pre-giudicato, come tanti, a fare o meno la fortuna di un film, più e prima di produttori, distributori, noleggiatori ed esercenti “cattivi”, è la gente. Il pubblico (in ultima analisi: anche noi…) prigioniero delle proprie pigrizie e dei propri, appunto, pregiudizi, con l’inveterata abitudine di privilegiare sistematicamente il già noto rispetto allo sconosciuto, il facile a detrimento dell’impegnativo. Le conversazioni nel suo ufficio presso il N.I.P. (“Noleggio Indipendente Piemonte”: l’aggettivo assume significazioni assai meno generiche di quel che potrebbe apparire) della canonica via Pomba mi hanno insegnato molte più cose sul cinema di tanti incontri e di altrettante letture.

E’ difficile riassumere in un solo articolo la poliedricità della figura di Ventavoli. Ha compiuto felicissimi ottanta lo scorso giugno e tuttora pilota magistralmente la catena di sale, torinesi e non, ricevute dal padre Giordano Bruno [*] (lo stesso nome riporta il rispettivo figlio e nipote, attuale responsabile di «Tuttolibri» de «La Stampa»). Non c’è fino a oggi stato in Italia un altro esponente del mondo del cinema che abbia saputo essere così naturalmente, insieme, imprenditore e uomo di cultura, appassionato e organizzatore, ricercatore e diffusore di storia non solo filmica, detentore e valorizzatore di memorie torinesi e non. Oltre che grande sportivo, quale praticante del canottaggio prima a livello agonistico da campione, poi amatoriale ma… serio. Cosa pensa del suo mestiere può essere felicemente riassunto con una sua dichiarazione di alcuni anni fa: «Mentre tutti puntano sul 3D, sui multiplex, sull’evasione, io scelgo registi che si guardano attorno e vedono la realtà. In questo infame clima di superficialità e volgarità, presentarli è la conclusione di una meditazione durata ottant’anni di cinema, che sembra debba andare in altre direzioni, influenzato da canali produttivi, dal mercato, dalla pubblicità, dallo squallore che ci circonda, eppure ci sono autori che tengono lo sguardo sul proprio tempo e raccontano gli uomini che lo vivono».

Per sintetizzare con efficacia i lineamenti principali di questa importante figura, conosciutissima quanto amata in Piemonte, preferisco avvalermi direttamente dell’attento comunicato col quale il TFF ha motivato l’assegnazione del Premio:

«Lorenzo Ventavoli è esercente, produttore, distributore, sceneggiatore, attore, critico, storico del cinema e organizzatore culturale. Comincia la sua avventura  come semplice spettatore, per passione, per poi diventare uno dei più importanti e coraggiosi esercenti, con sale sparse in tutto il Piemonte. Attraversa il mondo della celluloide in tante altre vesti: il nuovo cinema Romano è la prima sala italiana a essere riconosciuta, nel 1960, come sala d’essai, mentre l’Eliseo è la prima multisala sul territorio nazionale. Un percorso “liquido” che lo porta naturalmente a distribuire film, ma anche a produrli [propizia, d’intesa con Silberman, nel ’68 La via lattea di Buňuel!] sceneggiarli (è il caso di Qualcuno dietro la porta di Nicolas Gessner) o anche a interpretarli (diverse e brillanti sono le prove d’attore che ci ha regalato ne Il divo di Paolo Sorrentino, Preferisco il rumore del mare di Mimmo Calopresti o Mirafiori Lunapark di Stefano Di Polito). Senza dimenticare il ruolo che ha avuto come critico e storico, Ventavoli è anche un importante dirigente e organizzatore culturale, che ha ricoperto il ruolo di Presidente del Museo. A lui va il merito di aver riaperto il cinema Massimo nel 1989. E’ stato inoltre presidente dell’Associazione Cinema Giovani, che ha fondato e gestito per molti anni il TFF. A testimoniare l’importanza di Ventavoli come guida e memoria del cinema torinese in tutti i suoi numeroso legami con il mondo della cultura e dell’arte sono le sue pubblicazioni, ma anche le tante interviste grazie alle quali giovani studiosi e appassionati hanno nel tempo ricostruito i momenti fondamentali di una lunga e fertile stagione cinematografica. Una di queste è firmata da uno dei più importanti storici del cinema italiano, Gian Piero Brunetta e compare, per la prima volta nella sua versione integrale, sulle pagine dell’ultimo numero della rivista dell’AMNC, “Mondo Niovo 18-24 ft/s”, diretta da Caterina Taricano».

Vado a riprendere, incuriosito da me stesso, una mia remotissima testimonianza, riguardante un’occasione ricordata nelle motivazioni del premio, che si ricollega direttamente alla memoria in atto della Prolo: la cronaca dell’inaugurazione del cinema Massimo come tri-sala permanente del Museo, all’epoca non ancora ospitato nell’adiacente Antonelliana. Era il 27 aprile 1989, trent’anni e spingi fa (la desumo da «Cineforum», 284, maggio di quell’anno): «Con un’affollatissima cerimonia ha riaperto i battenti in via Montebello, proprio “sotto la Mole”, il cinema Massimo, trasformato in triplice multisala, come parte integrante del MNC che, dopo la riapertura della Biblioteca in S. Pietro in Vincoli [oggi la medesima, intitolata a Mario Gromo, ha trovato lontana ma ben diversa dislocazione, n.d.r. 1] e in attesa della sistemazione del patrimonio museale propriamente detto nel vicino Palazzo degli Stemmi in via Po, riacquista così un’altra fondamentale branca della propria futura e definitiva articolazione [che si sarebbe invece ben più prestigiosamente concretata, per via diretta, proprio nella Mole stessa, n.d.r. 2]. Alla manifestazione, coordinata dal presidente del Museo, Lorenzo Ventavoli, e alla quale presenziava la fondatrice e direttrice onoraria Maria Adriana Prolo, sono intervenuti, con le autorità, alcuni cineasti, che hanno ricevuto un riconoscimento: Carlo Di Palma, che ha portato il saluto di WoodyAllen, Serge Silberman e Jean Rouch. Sono stati proiettati il documentario-intervista sulla Prolo (anch’essa destinataria di un riconoscimento] e il Museo realizzato da Daniele Segre, Occhi che videro, e due dei film muti recentemente recuperati dall’ente presso l’incomparabile archivio olandese del pioniere Jean Desmet: Sogno d’un tramonto d’autunno atribuito a Edoardo Bencivenga e prodotto dall’Ambrosio nel 1911, dal poema di Gabriele d’Annunzio, e Una tragedia al cinematografo, felicissima commedia Cines 1913 con Pina Menichelli».

Della sua passione e della sua disponibilità, il dottor Ventavoli ha fornito negli anni numerose testimonianze dirette anche ad Alessandria. A cominciare dall’incorraggiamento fornito e dai suggerimenti mai lesinati, dal finire dagli anni Settanta, per l’imminente programmazione cinema dell’incipiente Teatro Comunale, forniti per via diretta all’allora direttore facente funzione (ma effettivo allo Stabile torinese) Giorgio Guazzoti (e fu proprio lui a introdurmi a questa nuova, prestigiosa conoscenza). Per continuare con reiterate, generose presenze di coinvolgimento personale: memorabile la serata nella quale lì introdusse e commentò da par suo, nella primavera del ’79 -sono passati già quarant’anni giusti…- L’uomo di marmo di Wajda di fronte a una sala stragremita, in un’atmosfera di eccitazione emotiva e politica che quasi presentiva quanto sarebbe cominciato a succedere nei cantieri navali di Danzica con gli albori dell’emergere di Walesa e di Solidarność nell’estate dell’anno successivo. Fino alla più recente, di qualche anno fa, in un appuntamento nel quale di parlò, tra l’altro, di Italo Cremona, e frescante del ciclo pittorico di San Rocco a Cascina Grossa e scenografo del mitico quanto mai più ritrovato Pietro Micca di Aldo Vergano (1938: esterni girati nella nostra Cittadella…), nel quale debuttarono insieme il futuro autore de Il sole sorge ancora quale regista, e Clara Calamai -ancora accreditata come… Clara Mais!- da protagonista. (Ma vi si parlò in lungo e in largo anche di scrittori piemontesi, da Pavese a Fenoglio).

Anche il documentario Venanzio Revolt. I miei primi 80 anni di cinema di Dividi-Evangelisti-Greco, dove l’intervista che Steve Della Casa conduce con Ventavoli si svolge, non a caso, presso la sede del glorioso circolo di canottaggio “Cerea” sul Po, nel 2017 aveva del resto già fornito una sciolta ed esauriente idea del personaggio, della sua vita e del suo molteplice ed eclettico contributo.

Non può esserci allora conclusione migliore delle parole con le quali Nanni Moretti ha salutato nel suo intervento l’assegnazione del premio: «Se tutti in Italia avessero la memoria di Lorenzo Ventavoli non sarebbe questo un paese tramortito da un’amnesia collettiva che ci impedisce di ricordare la nostra storia e le nostre radici. Se tutti gli sportivi fossero tenaci e costanti come Ventavoli alle Olimpiadi vinceremmo più medaglie d’oro della Cina e degli Stati Uniti. Se tutti i cittadini fossero come il cittadino Ventavoli il nostro sarebbe un paese migliore e le persone avrebbero coscienza dei loro doveri ma anche dei loro diritti. Se tutti gli esercenti cinematografici fossero come Ventavoli, beh, il cinema sarebbe un luogo non contro il pubblico ma per il pubblico e non ci sarebbe crisi del cinema e crisi delle sale.Se tutti avessero la cultura di Ventavoli non ci sarebbe in Italia il trionfo compiaciuto dell’ignoranza. Lunga vita e tanti premi a Lorenzo Ventavoli».

[*] «Il primo fu Giordano Bruno, e già il nome è un buon biglietto da visita. Ventavoli, appunto, il cognome, da Monsummano provincia di Pistoia, figlio di un muratore socialista eletto deputato nel 1919. Arriva a Torino a 16 anni, nel 1922, per sfuggire alle squadracce fasciste del suo paese. Nel gennaio del 1931 si sposa e, con i soldi della suocera, trentamila lire, nell’ottobre dello  stesso anno acquista la licenza del cinema Diana, una piccola sala di periferia in corso Regina angolo via Livorno. Per qualche tempo rimane ancora impiegato nella fabbrica di automobili Itala e poi passa alla carrozzeria Ghia, ma ormai ha dato inizio all’avventura di esercente cinematografico. A far la cassiera, lamoglie Vincenzina, in dolce attesa. Dolce, si fa per dire: “Mia madre raccontava che nel 1932, incinta, mi sentiva sempre agitare nella pancia quando sedeva alla cassa. Un giorno fui particolarmente turbolento, tirai un calcio talmente forte che chiusi il cassetto. Forse era un’anticipazione della mia attenzione alla prudenza contabile…”. Così testimonia Lorenzo, diventato dopo sessant’anni di carriera, il gran vecchio del cinema torinese, coetanteo dell’impresa di famiglia che oggi festeggia gli ottant’anni. Lo fa in una chiacchierata con il figlio Bruno, giornalista de “La Stampa”, diventato un libretto di settanta pagine, Con il cinema abbiamo cantato tutta la vita ovvero Due generazioni di esercenti a Torino. La frase con cui, ormai segnato dalla malattia, sentendo la morte vicina, il vecchio Giordano Bruno ha salutato i duecento amici e conoscenti venuti da tutta Italia a rendergli omaggio: Con il cinema ho cantato tutta la vita.» (Gian Luca Favetto, La famiglia Cinema, «la Repubblica», 10 maggio 2011).

Nuccio Lodato

                                         (in diversa forma in «Diari di Cineclub», 79, gennaio 2020)

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