Come un pesciolino rosso. La democrazia nella rete

“La storia avanza necessariamente di calamità in calamità, e ciononostante ogni nuova epoca sarà pessima almeno quanto la precedente”.

George Orwell, Come un pesciolino rosso in una vasca di lucci, elèuthera editrice, Milano 2018.

Due recenti articoli meritano un commento: “Rifondare la democrazia nella società digitale” di Luciano Violante (sul Corriere della Sera del 26 ottobre) e “L’inciviltà diffusa (E nessuno se ne occupa)” di Ernesto Galli della Loggia, sempre su quello stesso quotidiano del 3 novembre scorso. Apparentemente trattano di argomenti alquanto differenti, ma come cercherò di argomentare, affrontano un tema che ha molte sfaccettature e parecchi punti in comune, a partire dai riflessi della rete sulla democrazia e sulla stessa convivenza civile (o incivile che dir si voglia).

Luciano Violante, già magistrato, accademico, politico, nonché presidente della Commissione parlamentare antimafia e della Camera dei deputati, argomenta in nove tesi le enormi differenze esistenti tra la società analogica e quella digitale, soffermandosi sul fatto che mentre la prima è fondata sul “principio di rappresentanza, i corpi intermedi, la trasparenza dei metodi di formazione delle classi politiche dirigenti, il controllo del loro operato e la loro sostituibilità”, la seconda è caratterizzata invece “dalla disintermediazione, dal superamento della rappresentanza (e) dalla decisione politica diretta”. Da ciò consegue, innanzitutto, che mentre nella “società analogica il leader politico è quello che prende più voti”, in quella digitale è colui “che ha più followers”. Caratterizzano inoltre il “mondo della società digitale il ridimensionamento della rappresentanza attraverso la riduzione del numero dei parlamentari, il referendum propositivo concorrenziale con la legislazione di fonte parlamentare, le consultazioni in rete, (…) l’attacco alle élites della politica e della conoscenza, il vanto della disinformazione”.

Violante sottolinea poi come i nuovi mediatori, che nella società digitale sono occulti, riescano ad orientare “la nostra vita quotidiana in misura maggiore rispetto ai mediatori tradizionali”, poiché per essi “non ci sono né regole né contropoteri”. Egli conclude la sua analisi rammentandoci la necessità di dar vita a “nuove culture politiche, consapevoli del cambiamento, per garantire democrazia, diritti e fiducia nella società digitale”, ponendosi infine alcuni interrogativi: “c’è spazio per la rappresentanza nella società digitale? Come mettere credibilmente in guardia dalle manipolazioni dell’opinione pubblica? Quali sono i limiti della democrazia deliberativa? Come rendere pubblici, controllabili e scalabili i nuovi mediatori? In conclusione: come rifondiamo la democrazia per evitarne il tramonto?” Interrogativi inquietanti.

Ernesto Galli della Loggia, storico, accademico ed editorialista del Corriere della Sera, se possibile, nel suo articolo è ancora più inquietante, oltre ad essere pervaso di un profondo pessimismo. Egli ci elenca un numero impressionante di “segnali negativi” che caratterizzano, nell’inerzia e l’indifferenza del legislatore, l’attuale stato della convivenza civile, dominato “dal mancato rispetto verso gli altri”. Come scrive Galli della Loggia, “Capita ogni giorno di dover sottostare a comportamenti offensivi, aggressivi, illegali, talora violenti, di nostri concittadini.” E aggiunge: “siamo circondati da persone che sui mezzi pubblici, sui treni, si abbandonano a comportamenti incivili e arroganti, (…) automobilisti e motociclisti che soprattutto la sera passano ai semafori con il rosso (…e) se qualcuno osa protestare non ci pensano un secondo ad aggredirlo minacciando di passare alle vie di fatto. (…) Non appena si capisca che non si rischia nulla”. E conclude la sua analisi sottolineando come “un legislatore intelligente avrebbe da tempo pensato a un sistema sanzionatorio specifico, diverso e più efficace rispetto a quello generale vigente per le violazioni della legge più gravi”. Analisi impeccabile, forse solo un po’ carente, per via della sua genericità, nel momento della policy.

Qualcuno si chiederà: cosa c’entra tutto questo con la rete e la democrazia? Apparentemente nulla. Non fosse che per il dilagare della diseducazione civica sui social a causa del fatto che, grazie ad un malinteso concetto di “riservatezza” (privacy), sulla rete vige l’anonimato, che garantisce “l’impunità”. Mi chiedo: perché mai quando chi si esprime sulla carta stampata si firma con nome e cognome, mentre a chi insulta e minaccia in rete è consentito di nascondersi dietro un nomignolo (nickname)? Oggi, quando si accenna all’educazione (civica), si pensa quasi esclusivamente al mal funzionamento della scuola, dimenticando che fino a non molto tempo fa i pilastri dell’educazione erano, nell’ordine, quattro: la famiglia, la formazione scolastica, l’associazionismo e il contesto culturale. Ora, per quieto vivere la famiglia e la scuola, basta chiedere ad un insegnante della scuola media in merito ai suoi rapporti con i genitori degli alunni, hanno smesso di punire i comportamenti diseducati (fino all’assurdo di assistere alla punizione di un insegnante reo di aver punito un alunno); l’associazionismo è ormai quasi esclusivamente sportivo, soprattutto calcistico, un ambiente nel quale è sufficiente assistere al comportamento di molti genitori durante una partita tra squadre di “cuccioli” per rendersi conto quanto sia diffuso l’incitamento (diseducativo) a sopraffare l’avversario, e a insultare l’arbitro. Per quanto attiene infine al contesto culturale, ci si è già soffermato ampiamente Galli della Loggia, limitandomi a sottolineare il comportamento di quei politici che lanciano in rete insulti razzisti e quegli altri lasciano intendere (talvolta dicendolo anche apertamente) di considerare dei “fessi” coloro che pagano le tasse.

L’età mi fa rimpiangere i tempi della società analogica quando, per aspirare a diventare un “rappresentante” del popolo, dovevi esserti fatto apprezzare per le tue capacità (non di venditore di panini allo stadio) facendo la gavetta, prima nella federazione giovanile di un partito, poi nei consigli di quartiere ed infine di consigliere comunale, provinciale, e/o regionale, per essere scelto a rappresentare gli elettori in Parlamento. Per contro, nella società digitale puoi diventare un parlamentare sulla base di pochi click (una fatica che ti dico!) su una piattaforma informatica che magari risponde non si sa bene a quali interessi economici, solo perché “piaci” (hai tanti like), senza alcun obbligo di rappresentare se non te stesso. Poi, se disponi di qualcuno che gestisce per te un algoritmo in grado di suggerirti ciò che devi dire per “piacere”, aumentando in tal modo consenso e voti, puoi persino diventare ministro. Attenzione, però, perché “l’inciviltà diffusa” attraverso la Rete favorisce il declino della democrazia facendola precipitare nella rete. Come un pesciolino rosso.

di Bruno Soro

Alessandria, 15 novembre 2019

 

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