Caccia. Un altro argomento importante in vista delle prossime “Regionali”

Volete vincere le prossime Elezioni Regionali? Volete provare ad allargare, almeno un pochino, gli orizzonti? Cosa fa la Schlein, cosa dice Bonaccini, come si muove Renzi con  Boschi e compagnia? Volete uscire dal quadro prevedibile del “lavoro precario” quasi obbligato vista la sordità di mondo industriale e di molto personale politico? Volete provare a cambiare registro e a tentare un argomento che, vi assicuro, interessa, “prende” forse più di molti altri e, soprattutto, muove miliardi di euro di materiali, autorizzazioni, trasporti, tipologie di armi, legami con il mondo dell’agricoltura e della cucina (soprattutto di “alta classe”).

L’ “argomento” è “la caccia”, la mai abbastanza vituperata abitudine  di ritenere uno sport, oltre tutto “di classe”, una vera mattanza fatta di prede grandi e piccole, di volatili di ogni specie, di mammiferi grandi e piccoli, con o senza corna, con o senza denti affilati e pericolosi. Il “casus belli” viene dalla proposta della Giunta Cirio di anticipare di una quindicina di giorni l’apertura della caccia che, di norma, dovrebbe essere un’eccezione e invece è un “premio fedeltà elettorale” elargito ai cacciatori, autorizzati a sparare specie a rischio come la tortora selvatica nonostante i richiami della Commissione europea

Infatti nella quasi totalità delle regioni italiane (e fra queste il nostro Piemonte), dal  2 settembre, sin dalle prime luci dell’alba il canto dei merli sarà bruscamente interrotto dal sordo rumore delle fucilate e dal sibilo dei pallini.
Nonostante la legge n. 157/92, che tutela la fauna selvatica e disciplina la caccia, indichi la terza domenica di settembre come data di apertura generale della stagione venatoria, la cosiddetta preapertura, ovvero l’apertura anticipata della caccia prevista in via eccezionale dalla stessa legge, è ormai diventata la normalità,  un autentico  regalo delle Regioni ai cacciatori.  Che, con i dovuti accordi e le prescrizioni del caso, potrebbe invece diventare un punto fermo della piattaforma elettorale del centro-sinistra nel suo insieme. Conosco bene l’argomento e più volte mi è capitato di sentire esponenti del PD o, comunque, appartenenti a partiti della possibile futura coalizione neoulivista, fare riferimento alla necessità di un riequilibrio fra le specie, dell’importanza della  ricostruzione di catene naturali  che trovino in cima il predatore tradizionale di quel determinato territorio e non più l’ “homo venator” alla ricerca di trofei o di prede ammazzate da esibire. Soprattutto da “esibire”  (visto che per l’ 80 per cento, secondo le stesse associazioni venatorie, le prede non vengono cucinate dai cacciatori stessi.
Di fatto la preapertura rappresenta un grave problema sia per le specie dichiarate cacciabili, sia per quelle protette, se si considera che nel mese di settembre alcune sono ancora in fase di nidificazione e i cieli sono attraversati da migliaia tra falchi, cicogne, ma anche piccoli uccelli come le rondini, che dall’Europa  si spostano in Africa per lo svernamento.
Gli impatti della caccia, inoltre,  sono aggravati dai fenomeni catastrofici che ben conosciamo  come alluvioni, siccità e incendi che si sono susseguiti tra la primavera e l’estate e che ancora stanno flagellando vaste aree del Paese distruggendo interi ecosistemi. Aggiungo che l’apertura della caccia porta inoltre con sé un aumento delle illegalità contro la fauna selvatica, come registrato ogni anno dai centri di recupero animali selvatici (CRAS).
Per queste ragioni anche quest’anno, il WWF (con altre associazioni ben organizzate e scientificamente preparate)  è in prima linea, sia per bloccare i provvedimenti regionali illegittimi grazie al lavoro degli Avvocati del Panda, come è già successo in Campania e in Molise, sia per monitorare il territorio attraverso il prezioso impegno delle sue guardie volontarie.
Ricordo che la tortora selvatica è una delle specie nei confronti delle quali in molte regioni si potranno puntare i fucili sin dal 2 settembre. Questa specie negli ultimi anni ha subito un brusco declino dovuto, non solo alla distruzione degli habitat in cui nidifica, ma proprio alla caccia, legale e illegale. La tortora è infatti una delle specie più ambite dai cacciatori e durante la sua migrazione dall’Africa all’Europa molti esemplari vengono abbattuti.
La logica vorrebbe che fosse vietata la caccia nei confronti di una specie a rischio. In questo caso, invece, la caccia viene addirittura anticipata per evitare che i cacciatori non riescano ad abbattere un numero per loro soddisfacente di questi animali, considerato che la specie inizia la migrazione verso l’Africa già dalla fine di agosto.
Per riuscire ad evitare la sospensione della caccia alla tortora, il Ministero dell’Ambiente, con l’avallo delle Regioni e il giubilo delle associazioni venatorie, ha adottato un cosiddetto Piano di Gestione che prevede l’adozione di una serie di misure di conservazione come la ricostituzione di habitat favorevoli alla nidificazione, la vigilanza e la repressione delle illegalità. Solo a patto che queste azioni vengano compiute, il Piano prevede la possibilità di aprire la caccia secondo il principio del prelievo adattativo: predeterminando il numero massimo di esemplari da abbattere e sospendendo gli abbattimenti non appena questo numero venga raggiunto. Nella pratica, però,  il Piano di Gestione è solo uno strumento finalizzato ad accontentare i cacciatori  considerato che, sia per la tortora, sia per le altre specie nei confronti delle quali è stato adottato, nessun’azione viene eseguita se non quella di consentire gli spari.  Cioè, ritornando alle opportunità di riprendere l’argomento nel “programma” delle prossime Regionali, ci si potrebbe concentrare sull’effettivo rispetto delle clausole autorizzative, verificando che i fondi siano effettivanmente a disposizione delle comunità locali e che si sia avviato un efficiente sistema di controllo sul territorio.

Questa grave consuetudine, più volte segnalata dal WWF Italia e dalle altre associazioni, è stata riconosciuta anche dalla Commissione europea che ha avviato una “Procedura Pilot” nei confronti dell’Italia con il rischio per tutti i cittadini, non solo per i cacciatori, di pagare pesanti sanzioni economiche. È significativo che gli assessorati regionali siano solerti e rapidi nell’accogliere le richieste dei cacciatori, giungendo addirittura ad indire riunioni straordinarie e bloccare i lavori di un intero ente, e rimangano invece inerti quando si tratta di adottare misure per aumentare la tutela di specie ed habitat o per fornire maggiori strumenti agli operatori destinati ai controlli sul territorio. Un argomento in più per chi vorrà ben figurare alle prossime elezioni e un argomento tutt’altro che di nicchia, visto che il commercio delle prede, la compravendita di armi e strumentazioni, il collegamento con i terminal di distribuzione dei prodotti (ristoranti e non solo) portano ad un movimento di denaro valutato dalla Coldiretti, solo per il Piemonte, in circa 450 milioni di euro annui.

Vedremo se la segnalazione avrà un seguito…

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