La libertà o è per tutti o non è

Si è parlato molto negli ultimi tempi di libertà in generale. Forse non è proprio del tutto una casualità che ciò sia accaduto in concomitanza con la nascita di un governo neo-fascista. Lo ha fatto a marzo scorso Gustavo Zagrebelsky, ex giudice della Corte Costituzionale, titolando la sua rassegna “Biennale Democrazia”: “Ai confini della libertà”. Più recente è il libro dell’onorevole Ferdinando Adornato e monsignor Rino Fisichella dal titolo denotativo “La libertà che cambia” (Rubbettino) e molto spinto in una direzione astratta e quasi “metafisica”. Recentissima è poi la ristampa di una vecchia pubblicazione del neoministro della cultura Gennaro Sangiuliano -quasi per una specie di riequilibrio verso destra del problema- sulla “libertà anarchica” del noto pensatore conservatore Giuseppe Prezzolini. E per finire: la tredicesima edizione di Taobuk che si svolge a Taormina dal 15 al 19 giugno è dedicata proprio al tema “Le Libertà”, con interventi previsti di premi Nobel e scrittori e scienziati di livello internazionale.

Parlare di libertà in generale non è semplice, e forse non andrebbe nemmeno fatto perché non porta da nessuna parte. E’ un contenitore elastico che puoi riempire di ciò che vuoi. E’ stato riempito perfino da Hitler, da Stalin e, ora, anche da Putin. Anche le “camicie nere “ d’Italia, fasciste e postfasciste, non hanno esitato a tirare dalla loro parte i valori della libertà. Ogni riflessione sulla libertà andrebbe pertanto accompagnata da una visibile delimitazione storico-critica per non rischiare di esporsi a sterili elucubrazioni speculative e fughe “filosofiche”. E’ una parola palesemente laudativa, dai molti significati ed esaminabile da molteplici punti di vista. Ognuno matura una propria, personale idea di libertà che gli deriva o da ciò che ritiene più importante, o dai suoi interessi professionali, o dall’educazione ricevuta, o dalle concrete esperienze di vita. Alcuni si sentono liberi addirittura quando “fuggono dalla libertà” per sottomettersi ad una autorità assoluta. Ma se così fosse, se cioè ogni individuo pensante può avere una sua propria ‘originale’ idea di libertà, allora dovremmo concludere che essa non può essere indagata e che si tratta di una parola incomprensibile che sfugge a qualsiasi inquadramento concettuale. Ci troveremmo insomma, in questo caso, non di fronte ad una idea ampia, larga, ma ad una “idea anarchica”: vale a dire senza alcun centro. In verità, non pochi film di fattura americana hanno sostenuto proprio questa idea di libertà: l’idea di un “viaggiatore esteta” che ha per casa la strada e che non vuole essere “avvelenato dalla civiltà”, che fugge dalla società e dal conformismo sociale e che ritiene che la “felicità non venga dal rapporto tra le persone”. Si tratta di una visione del mondo sostenuta sul piano politico da Margareth Thatcher e resa “luogo comune” dalla sua famosa frase :”La società non esiste, esistono solo gli individui”.  Dunque: un’idea di libertà come isolamento, come solitudine che inevitabilmente non porta da nessuna parte.

A volte, però, perfino una semplice canzonetta (miracoli della musica) può aiutarci a non smarrirci. Penso a quella di un cantautore italiano del passato che si intitola appunto “La Libertà”. Anche lui inizia dicendo che vorrebbe “essere libero come un uomo appena nato/ che ha di fronte solamente la natura/ che cammina dentro un bosco/ con la gioia di inseguire un’avventura/ Sempre libero e vitale fa l’amore come fosse un animale”. Ma capisce poi che questa libertà non esiste -non può esistere- e che se esistesse non sarebbe libertà. Capisce che perfino nel fare l’amore -l’atto apparentemente più libero e naturale- c’è dentro tutta la società, tutta la civiltà ereditata. E così aggiunge subito che “la libertà non è star sopra un albero/ non è neanche il volo di un moscone/ la libertà non è uno spazio libero/ libertà è partecipazione”. Vale a dire costruzione consapevole della comunità, senza la quale appunto non c’è libertà.  Colpisce come l’idea di libertà di questo cantautore sia molto simile a quella di un politico (conferma di una distanza non siderale tra politica ed arte) autorevole, padre costituente, come Piero Calamandrei. Dice infatti Calamandrei : “I diritti di libertà debbono soprattutto concepirsi come la garanzia della partecipazione del singolo alla vita politica della comunità; servono a favorire l’espansione del singolo nella vita pubblica della comunità, l’allargamento del suo egoismo in interessi collettivi sempre più vasti”.

Essendo la costruzione della comunità un impegno continuo, anche la libertà di conseguenza diventa qualcosa in continuo cambiamento ed arricchimento: cambia la società e cambiano i contenuti relativi alla libertà individuale e collettiva. Il divenire storico è parte costitutiva della libertà. Esemplare per cogliere appieno questo aspetto è il famoso discorso del 1819 di Benjamin Constant sulla “Libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni”. Constant mette bene in evidenza come mentre per gli antichi il massimo della libertà “risultava dall’attiva compartecipazione al governo della collettività, che non dal godimento specifico dell’indipendenza individuale”, per i moderni sia invece vero proprio il contrario, per cui “per essere felici gli uomini hanno bisogno soltanto di essere lasciati in una assoluta indipendenza per tutto ciò che concerne le loro occupazioni, le loro intraprese, la loro sfera di attività”. E’ evidente in questa profonda differenza proprio la differente condizione storica. Per gli antichi, l’uomo è un essere “naturalmente” sociale e nasce come articolazione della società la quale essendo appunto “naturale” preesiste al soggetto umano. I moderni, invece, hanno guadagnato l’autonomia del soggetto da una comunità che ora spetta loro organizzare come sistema capace di farli stare insieme senza conculcare la privatezza e l’autonomia di ciascuno. Si tratta del compito enorme di riuscire ad essere individualmente liberi in una dimensione comunitaria della cui costruzione si è tutti compartecipi. Scrive John Locke: “La libertà dell’uomo nella società è quella di non essere sotto altro potere legislativo che quello stabilito dallo Stato per comune consenso”; e gli fa eco J.J. Rousseau quando dice che “l’obbedienza a una legge che noi prescriviamo è libertà”.

E’ il quasi sempre disprezzato Novecento che con le sue “Costituzioni” riempie poi questa idea di libertà dei moderni di contenuti concreti andando oltre, senza perderla, l’idea solo formale e giuridica di libertà. E’ per questo che oggi libertà significa soprattutto capacità di soddisfare bisogni divenuti storicamente essenziali, pena la sua messa in discussione. Oggi perfino i neo-liberali  fanno rilevare che “la libertà di acquistare le cose indispensabili alla vita è di poco valore se poi non ho la possibilità di acquistarle”(Bobbio-Matteucci-Pasquino, “Dizionario di politica”). Solo guadagnando la frontiera avanzata della giustizia sociale e della solidarietà la libertà diventa forte e sicura per tutti.

Dovremmo sempre rammentare che proprio la nostra Costituzione presidia magistralmente la conquista di questo livello più alto di libertà. Grazie ad essa possiamo legittimamente manifestare il nostro orgoglio di cittadini protagonisti di questa conquista di civiltà.

                                                                              Egidio Zacheo

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