“Lavoro” e pentastellati. Gratta gratta è sempre la solita musica

Nell’articolo precedente ci siamo soffermati sul cursus studiorum del pluri-ministro Di Maio, ora però sorge il dubbio che anche i dirigenti e i funzionari dei vari ministeri a Lui afferenti, poco esperti siano nelle materie dell’assistenza, previdenza e politiche del lavoro e dello sviluppo.

Perché quest’affermazione? Perché l’eclettico ministro Di Maio, insieme ad un “suo” team ,ha preso un aereo e si è recato a Berlino per incontrare il teutonico ministro del lavoro Hubertus Heil. Questa visita è stata organizzata –parole di Di Maio- per “ acquisire le conoscenze che ha la Germania sul piano dei centri di impiego e sul percorso che serve per trovare lavoro a chi prende uno strumento di sostegno al reddito.”

Domanda: ma non bastava leggere un po’ di letteratura sul e nel merito magari semplicemente dal sito della U.E.? Ma non sono forse cose note ai poveri e meno poveri italiani i provvedimenti dell’allora primo ministro Schroeder nel 2005 relativi alle politiche sociali e alle politiche del lavoro in Germania?

L’Hartz IV è infatti il piano di politiche sociali da cui discendono l’Arbeitslosengeld, ossia denaro per la perdita di lavoro, e l’Arbeitslogengeld, come sussidio di disoccupazione. Quest’ultima misura è rivolta a chi perde il lavoro dai 15 ai 65 anni ed il lavoratore deve attenersi, per ottenerla, alle indicazioni di lavoro o di formazione del Jobcenter ( quasi omologo dei nostri centri per l’impiego solo che in Germania funzionano). La cifra ha un tetto massimo di €. 890 e va a scalare in base al reddito del beneficiario. Ci troviamo anche qui nell’ambito dei redditi bassi o bassissimi da lavoro o nella sfera della disoccupazione o della povertà. Per meglio dire sono le misure adottate dagli Stati ( non diverso potrebbe essere il discorso in Gran Bretagna ) per “ contenere” il disagio sociale grave, derivante dai lavori poveri e quindi sostenere attraverso un sistema di sussidi ( altro che reddito di cittadinanza!) i poveri, senza superare la povertà, ma anzi mantenendola come dato sociale non aggredibile né superabile.

Ancor prima che Di Maio” nascesse alla politica “e che Grillo diventasse un profeta rivoluzionario, queste forme parziali di reddito minimo garantito alle categorie più deboli esistevano già anche in Italia seppur in modo diversificato per territorio e categorie ( come già scritto nel precedente articolo).

Il Reddito di Cittadinanza è una tematica anch’essa “d’antan”, a lungo dibattuta e cosa seria perché nella sua versione originale e non penta stellata, è bene chiarirlo una volta per tutte, riconoscerebbe i diritti economici fondamentali dei cittadini. Nacque, infatti, come idea/ proposta quando la rottura del tradizionale legame tra crescita della produzione e dell’occupazione segnò in modo irreversibile le nostre economie avanzate, l’occupazione incominciò ad indebolirsi e la natura del lavoro fu segnata da una profonda trasformazione.

Oggi spesso il salario ( parola obsoleta nel cielo stellato) si è ridotto a puro e semplice elemento di sussistenza e non come strumento emancipativo e sarebbe,invece, opportuno che la dinamica salariale tornasse ad essere una questione sociale e come tale regolata sul piano della redistribuzione del reddito.

Tornando alla proposta nobile ed originaria del reddito di cittadinanza mutuata dalle suggestioni di Philippe Van Parijs e il suo basic income, si prevedeva fra le altre cose che il salario potesse essere diviso in due parti: una dipendente dai tempi di lavoro e dalla dinamica produttiva, l’altra fornita come garanzia di cittadinanza per ogni individuo per affrontare in modo dignitoso i costi economici della riduzione o perdita del lavoro. Si era pensato anche al suo finanziamento concentrando gli altri trasferimenti di reddito quali assegni famigliari, pensioni sociali, indennità di disoccupazione etc..

Tale era il dibattito quando si dibatteva e non si vendevano sottoprodotti della sottocultura sociale e lavorativa.

E si può concludere, dopo questi giorni inquieti, che hanno visto protagonisti non solo i soliti DiMaio ed il ministro della paura Salvini ma anche il keynesiano Tria, che invece di fare i conti con e per i problemi strutturali del bel paese, compresa ahimè la preoccupante inerzia nella creazione di opportunità lavorative, ci si affida ancora una volta alla spesa corrente per di più finanziata in deficit, che consiste come ben si sa in benefici fiscali e trasferimenti monetari e anche qualche botta di clientela.

Ma soprattutto non si mette assolutamente in discussione il dogma neoliberista dell’autoregolazione dl mercato.

Questa è la rivoluzione dei 5 stelle grillini, speriamo che sia ormai chiara al grande pubblico di questa comica  recita.

Margherita Bassini

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