Paoletta, «Miri» e «Lia» sugli scudi. Vs l’effetto Salvini, per lo ius soli universale

Coda inattesa per i mondiali di volley femminile conclusi sabato, col valore sportivo assoluto della prestazione delle nostre pallavoliste sconfitte solo due volte (di cui la seconda purtroppo determinante…) dalla Serbia in tredici partite consecutive. La polemica “social” e mediatica sull’incredibile foto promozionale che l’acqua minerale sponsorizzante ha diffuso facendo sparire –coperta proprio dalla bottiglia del pregiato prodotto- niente meno che la n. 1 agonistica di quella vittoria: malafede o improntitudine scalognata che sia cambia poco. Coda che presta incredibilmente il fianco a una minima ripresa di discorso “politico” in chiave antirazzista sull’argomento.

Non capisco niente di pallavolo: nella pratica scolastica di palestra ero negato, come nelle altre discipline sportive pur praticate con velleitario entusiasmo. Ma ho cominciato ad apprezzarlo da telespettatore, grazie anche alla fortissima “telegenicità” del campo di gioco e del suo svolgimento. Inferiore forse solo a quella del tennis e, se li introducessero finalmente sui canali nazionali almeno di RaiSport, del pallone elastico e del tamburello (ma non pretendiamo troppo!). Senza però il suo rischio incombente di monotonia tic-tac, che le ormai immancabili grida orgastiche delle tenniste non sono sufficienti, da sole, a scongiurare. Anzi, qui più la palla “vola” più il gioco si fa bello.

La distanza, in Africa, tra Abju, neocapitale della Nigeria e Yamoussoukro, omologa della Costa d’Avorio, divenute tali in sostituzione delle più storiche e popolose Lagos e Abjidean, è di 1900 km circa. Superiore di 450 a quella che, da noi, separa Conegliano Veneto (Treviso) da Palermo, località rispettivamente di nascita delle “oriunde” nigeriane Paola Egonu e ivoriana Miriam Sylla.

Eppure i milioni di spettatori che si sono via via appassionati alla progressione inarrestabile della nazionale, passando via via dai canali Raisport alle maratone in diretta di RaiDue con gli impeccabili commenti di Consuelo Mangifesta, hanno dovuto prendere atto della decisiva vivacità e della classe inobliabile delle due atlete “di colore”, e sono stati costretti –comunque avessero sciaguratamente votato il 4 marzo!- ad entusiasmarvisi. E’ infastti aritmetico-percentuale considerare che tra quegli entusiasti debba per forza di cose risiedere un’assai cospicua presenza anche di elettori della Lega (che i sondaggi, se centrati, ci darebbero addirittura raddoppiati dal 4 marzo ad ora: e Trento e Bolzano paiono confermare). Se si potesse avere ancora un minimo di fiducia nella razionalità e nel buon senso, sarebbe elementare a questo punto osservare –inutilmente- che qualcosa non quadra. Del resto anche l’”opposto” che ci è stata fatale, l’altrettanto doverosamente mitizzabile Tijana Boskovic, è una bosniaca naturalizzata serba, a sua volta, comunque le sia andata, venuta alla luce, per sua fortuna a ostilità da pochissimo concluse, in una famiglia tragica testimone coinvolta di sanguinose e difficilmente comprensibili contrapposizioni.

In queste settimane indimenticabili, dopo l’inattesa delusione del corrispondente settore maschile, vanamente imperniato sul formidabile Ivan Zaytszev (russo nativo di Spoleto…) le ragazze allenate genialmente in pochissimi mesi da Mazzanti, abbiamo imparato a conoscerle tutte, con caratteristiche tecniche, personalità individuale, e via via vita e miracoli. Il “muro umano” ventiduenne Danesi; la serissima e altrettanto determinata Bosetti, figlia e sorella d’arte, la chiaroscurata e umorale Chirichella, veterana e capitana a 24 anni, e la sua impagabile conterranea “libero” Moki De Gennaro; Carlottina Cambi –nomen omen- pazientemente impiegabile in sostituzione quando ci vuole proprio un… cambio di battuta micidiale, e persino la “piccolissima” libera di scorta Beatrice Parrocchiale (che si chiama proprio così…), per non dire di Serena Ortolani, la consorte dell’impagabile neo d.t., che non scende quasi più in campo ma fa la chioccia in panchina.

Ma non è stato questo l’aspetto saliente dell’incredibile mondiale (quasi) azzurro. Il tratto umanamente e politicamente determinante è risultato che la nazionale “azzurra” sia arrivata fino al clou facendo soprattutto leva sulle incredibili sventole della “opposta” Egonu detta Paoletta, sulle schiacciate implacabili da sinistra dell’entusiasta ed entusiasmante Sylla, che le compagne di squadra chiamano “Miri”, impeccabilmente riforniti dai palleggi  tanto efficaci quanto poco vistosi di Ofelia Malinov, per tutte le colleghe “Lia”, nativa di Bergamo ma figlia d’arte, come Zaytsev, di una coppia cosmopolita di giocatori anch’essi extracomunitari. Per la precisione: bulgari; ma è difficile tuttora per molti italiani riconoscerli come comunitari…

Intendiamoci bene: se Minniti non avesse avuto la peraltro non trascendentale intuizione di cosa covava (meglio ancora: di cosa veniva risvegliandosi) nelle viscere profonde dell’elettorato italiano, e se Gentiloni si fosse per ipotesi intestardito nel far passare ad ogni costo lo ius soli con un colpo di coda di fine legislatura –analogo a quello infelicemente praticato a suo tempo dallo stesso centro-sinistra sulla revisione costituzionale- il risultato del 4 marzo per il Pd e la sinistra sarebbe stato ancora più catastrofico di quello effettivamente registrato. E’ quel che si dice un bel problema.

Ciò non toglie che determinati principi siano irrinunciabili: a cominciare da quello, forse un tempo istintivo, in virtù del  quale se la persona che ti ritrovi vicina appare bisognosa di aiuto tu lo aiuti: «normale», come ha detto nella sua splendida apparizione a Che tempo che fa il veramente straordinario sindaco di Riace Domenico Lucano, riuscendo per una ventina di minuti a tornare a rendere digeribile persino Fazio [che stupenda coppia di neo-senatori a (lunga) vita sarebbero lui ed Ilaria Cucchi, anche alla faccia di Grillo che vorrebbe togliere al Presidente della Repubblica il potere, assegnatogli dalla Costituzione, di nominarne…]. E da quello, forse ancora più fondamentale e irrinunciabile, che si potrebbe genericamente denominare dello ius soli “universale”, in virtù del quale ogni nativo del pianeta Terra dovrebbe acquisire, con l’atto stesso dell’essere venuto al mondo, il diritto di percorrere –insediamenti, ripensamenti e spostamenti inclusi- in lungo e in largo il suo pianeta come gli pare. Dovrebbe insomma esserci posto per tutti ovunque, non solo per chi si è accomodato prima, alla faccia di tutte le possibile geopolitiche e antropogeografie. Ma certo una cosa è dirlo e un’altra è farlo.

«Non sono il tipo che urla al razzismo per qualsiasi cosa: credo si stato solo un errore in buona fede», ha alleggerito sull’acqua minerale, anziché… schiacciare da par sua, Myriam Fatime Sylla, che peraltro all’epoca della foto di gruppo utilizzata non era in squadra. E tuttavia sia consentito di augurarsi vivamente che, nella loro vita privata, lei come Paola Egonu, Ofelia Malinov (ma anche Sylvia Nwakalor, che in Giappone c’era ma non ha quasi calcato il campo tra le magnifiche quattordici di Mazzanti, pur se sostenuta dall’entusiasmo della stampa lecchese –in partibus infidelium…- come Sylla), avvalendosi delle opportunità offerte dal “libero mercato”, scelgano di bere un’altra delle tante acque minerali in esso disponibili.

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