Come il Pd può recuperare i voti persi

Giustamente, nell’intervista di ieri al Mattino, il segretario Pd ha indicato i delusi dei Cinquestelle di sinistra come il target cui rivolgersi per cercare di rimontare il disastro attuale. Peccato, però, che – almeno stando ai sondaggi – di delusi non se ne vedano molti. Per due ragioni che vanno tenute ben presenti se si vuole evitare di coltivare facili illusioni.

La prima l’ha spiegata bene Angelo Panebianco sul Corriere, ricordando che – purtroppo – non sempre gli elettori premiano il buongoverno e – tantomeno – puniscono i partiti che non hanno mantenuto le promesse. Basta pensare alla sconfitta, in America, dei democratici dopo che Obama era riuscito a far ripartire il paese dalla crisi micidiale del 2008. O, per stare a casa nostra, al fatto che Lega e Cinquestelle siano stati votati soprattutto per la disaffezione nei confronti dei partiti da tanti anni al governo. Certo, anche per via di molte promesse mirabolanti che oggi risultano difficili da mantenere. Ma qui si inserisce la seconda ragione per cui è improbabile che, sui tempi brevi, ci sarà un collasso gialloverde. Siamo poi certi che gli elettori siano veramente al corrente dei fatti, che siano in grado di valutare con la dovuta cognizione di causa se le cose buttano in meglio o in peggio?

Questa è, da sempre, la domanda più scomoda al cuore di ogni regime democratico. Alla fine dell’Ottocento, i partiti conservatori si opposero all’allargamento del suffragio proprio sostenendo che si sarebbe messo il destino della nazione nelle mani di incompetenti. E, purtroppo, caterve di sondaggi confermano, con dovizia di dati, che il livello di informazione sui problemi resta, per moltissimi votanti, basso. Per contrastare questo circolo vizioso, i democratici hanno avuto solo un’arma che, fino a qualche anno fa, hanno speso bene e si è rivelata formidabile: diffondere e organizzare la cultura, gestendo al meglio tutti i circuiti di comunicazione di massa. All’osso, i grandi partiti del passato sono stati soprattutto questo. Delle straordinarie agenzie di acculturazione delle masse. Nel corso dell’ultimo ventennio, questo ruolo è andato in crisi. Fino a scomparire del tutto.

Oggi i vecchi partiti non producono più – e tanto meno diffondono – cultura. Questo ruolo di intermediazione culturale è diventato il territorio dei media, prima cartacei e televisivi, poi sempre più nell’infosfera. Ci piaccia o meno, l’informazione – falsa o di qualità – viaggia su Internet. Ed è sul controllo della socializzazione politica in rete che si sono costruite le fortune dei Cinquestelle negli ultimi dieci anni e, più recentemente e rapidamente, di Salvini.

Con questo dato, culturale e organizzativo, il Pd continua a rifiutarsi di confrontarsi. Pensando di risolvere il suo drammatico gap di dialogo con la società con qualche operazione simbolica, come la segreteria che si riunisce in qualche periferia degradata. O, peggio, con il richiamo – retorico – alle radici popolari perdute, senza avere la minima idea di come fare per recuperarle. Il recupero, infatti, non passa attraverso la solita diatriba ideologica – un po’ più a destra o un po’ più a sinistra – e tantomeno attraverso quella sorta di pauperismo di ritorno che – ahinoi – sembra essere tornato di moda in certa stampa radicaleggiante. Con la carrellata degli umili che, a vario titolo, si danno da fare per aiutare il prossimo.

Da almeno cinquant’anni i partiti – tutti i partiti – sono trasversali nei loro riferimenti sociali. Si chiamano – secondo la celebre definizione di Kirchheimer – partiti pigliatutto. E, infatti, qualunque indagine sociologica ci mostra uno spaccato pluriclasse. Anch nei cosiddetti partiti di destra. Ciò che oggi fa la differenza, tra i partiti vincenti e perdenti, è la capacità di intercettare elettorati sempre più volatili e disinformati attraverso un uso strategico e professionale dei massmedia. A cominciare dalla Rete, che è ormai, per ciascuno di noi, il micro e macrocosmo nel quale consumiamo il lavoro e le passioni. Fino ad oggi, su questo canale, il Pd è stato clamorosamente assente. E continua ad esserlo, occupato nella lotta fratricida delle correnti per accaparrarsi il congresso.

Fa – ancora timidamente – eccezione il post che Nicola Zingaretti ha lanciato qualche giorno fa. Mettendo al centro della discussione proprio l’organizzazione e la Rete. E la lotta al famigerato correntismo. È presto per sapere se si tratta dell’apertura di un nuovo fronte. Certo, però, quanto ai voti grillini da conquistare, il governatore del Lazio può già contare – alle ultime elezioni – su qualche centinaio di migliaia di transfughi cinquestelle a suo favore. Per la remuntada del Pd, uno spiraglio su cui puntare. E un cuneo da provare ad allargare.

(“Il Mattino”, 30 luglio 2018)

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*