Una lezione di democrazia e libertà di Alexander Höbel

 

Alexander Höbel è dottore di ricerca presso l’Università “Federico II” di Napoli e Coordinatore del Comitato Scientifico Marx XXI, si occupa di storia del movimento operaio e comunista e ha pubblicato vari saggi sul PCI negli anni ’50 e ’60 sulle riviste “Studi storici” e “Scritture di storia”. Recentemente ha partecipato a volumi collettanei sull’antifascismo napoletano e su Luciano Lama. Collabora con la Fondazione Istituto Gramsci, la Fondazione Di Vittorio e l’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia. Abbiamo avuto la fortuna di averlo come relatore lo scorso 25 aprile come autore di una analisi approfondita di cosa è stata e di cosa ha rappresentato la resistenza italiana.  Una lezione per tutte/tutti.

Intervento alla cerimonia del 25 Aprile 2023 ad Alessandria Alexander Höbel

Cittadine, cittadini, autorità civili e militari, associazioni tutte,
è un grande onore per me intervenire in questa importante manifestazione che intende ricordare il 25 Aprile 1945, ma soprattutto riflettere su quel passaggio storico e sulla sua attualità. E di farlo nella città di Carla Nespolo, che ho avuto la fortuna di
conoscere già la prima volta che venni qui ad Alessandria e che ho poi avuto modo di apprezzare in tante occasioni e in particolare come instancabile presidente nazionale dell’Anpi.
1. Con la Liberazione dell’aprile 1945 si chiudeva una lotta più che ventennale, iniziata già nel primo dopoguerra, allorché il movimento fascista aveva fatto la sua comparsa sulla scena per contrastare il movimento operaio e socialista, all’offensiva
con le lotte del Biennio rosso, ma anche quella democrazia di massa che si era  affermata col suffragio universale maschile, il sistema proporzionale e la crescita dei partiti popolari, e che era sfociata nelle elezioni del 1919, le quali avevano dato la maggioranza dei seggi ai due primi partiti di massa del nostro paese, il Partito socialista e il Partito popolare. Lo squadrismo fascista sorge dunque contro la democrazia oltre che contro il socialismo, in ogni caso contro i lavoratori e le masse
popolari. E fin dall’inizio il movimento operaio cerca di respingere la sua offensiva, rispetto alla quale però si rivela impreparato. Tuttavia, lottano gli Arditi del popolo (a Parma, Sarzana, Viterbo, Civitavecchia respingono i fascisti); lottano le quadre di difesa organizzate dal neonato Partito comunista, qui in Piemonte guidate dal giovane Luigi Longo; lottano e cercano di difendersi tante leghe contadine, tante Camere del lavoro, tante Case del popolo.
Ma il sostegno e l’acquiescenza degli apparati dello Stato monarchico favoriscono il prevalere dei fascisti. La marcia su Roma non viene dispersa; anzi, a Mussolini viene affidato l’incarico di formare il governo, e tanti uomini politici liberali e cattolici gli danno credito, lo sostengono contro il “pericolo rosso”, votano la fiducia al governo o addirittura entrano a farne parte. Diversi di loro non arretreranno nemmeno di fronte al delitto Matteotti e alle leggi eccezionali; altri si ritrarranno, ma ormai era troppo tardi.
C’è però anche un’altra faccia della medaglia. Accanto alla storia del regime fascista si svolge anche la storia dell’antifascismo: dell’antifascismo organizzato, che dopo le leggi eccezionali, nelle condizioni della clandestinità, rimane per vari anni solo quello
del Partito comunista, l’unico che non smantella le sue strutture e tiene in piedi una rete clandestina per quanto esile di nuclei, cellule, sezioni e federazioni, svolgendo intanto anche il lavoro politico legale nelle organizzazioni di massa del regime, dai sindacati ai dopolavoro. Anche le strutture dell’Azione cattolica costituiscono per una certa fase una sacca di resistenza. Né mancano gruppi e singoli esponenti socialisti, anarchici, repubblicani. Poi, nei primi anni ’30, alla presenza organizzata dei
comunisti si affianca quella di Giustizia e Libertà e del Centro interno socialista diretto da Rodolfo Morandi. Ma soprattutto, durante tutto il ventennio, prende forma un dissenso diffuso, un antifascismo popolare, che si esprime in mille modi: col rifiuto della tessera o della partecipazione alle adunate, con battute e motti di spirito, con la critica in pubblico, con la scritta murale o la frase sussurrata. E anche queste espressioni di dissenso sono colpite, spesso col carcere o col confino: luoghi che intanto si affollano di antifascisti che anche lì si organizzano, studiano, progettano la nuova Italia.
E quando, come Antonio Gramsci aveva previsto, i fascisti portano il Paese alla catastrofe, ossia a una guerra criminale e insensata al fianco della barbarie hitleriana, questo grande patrimonio di energie umane e politiche torna alla luce. Il primo atto sono gli scioperi del marzo 1943, di cui da poco è trascorso l’80° anniversario nel silenzio e nell’indifferenza dei nostri organi d’informazione: scioperi con i quali la classe operaia riprende la parola e mette in grande difficoltà il regime, accelerandone
la caduta che avviene quattro mesi dopo. E poi, dopo il 25 luglio e l’8 settembre 1943, quando ormai l’alleanza coi tedeschi è rotta, i primi scontri armati a Roma, a Porta san Paolo e in altre zone della città – l’inizio della Resistenza italiana – a cui seguono, alla fine del mese, la rivolta di Matera e le Quattro giornate di Napoli.
All’inizio di quell’anno la vittoria sovietica a Stalingrado aveva dimostrato che le armate hitleriane non erano invincibili. Lo sbarco in Sicilia degli Angloamericani dà ora al Mezzogiorno la possibilità di liberarsi.
Al Nord, intanto, sorgono le prime formazioni partigiane, in parte in modo spontaneo, in parte – e soprattutto – per l’opera di organizzazione che comunisti, socialisti e azionisti portano avanti: nascono le Brigate Garibaldi, le Brigate Matteotti, le Brigate di Giustizia e Libertà, cui si aggiungono le formazioni cattoliche, quelle autonome, badogliane e monarchiche. La Resistenza partigiana – sui monti e nelle valli, ma anche con l’iniziativa dei Gap e delle Sap in varie città – diventa un movimento popolare, nel quale l’azione di avanguardie organizzate si salda con una
partecipazione e un sostegno di massa ben più vasti. Attualmente i nominativi censiti nell’Archivio per il servizio riconoscimento qualifiche e per le ricompense ai partigiani sono oltre 700.000 1 . Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, e 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della Donna 2 . Determinante rimase anche il ruolo della classe operaia, come dimostra lo sciopero del marzo 1944, il più grande sciopero generale avvenuto nell’Europa occupata dai nazisti.
La vostra regione fu in prima fila nella lotta. La banca dati realizzata dagli Istituti storici della Resistenza del Piemonte riporta oltre 108.000 nominativi tra partigiani combattenti, patrioti, e benemeriti che hanno svolto attività durante la lotta di Liberazione in Piemonte  . Una partecipazione di massa, dunque, con momenti eroici ed episodi tragici come la strage della Benedicta, la più grande strage di partigiani
della Resistenza italiana (4) . Pagine che non possono essere dimenticate, rimosse o banalizzate, e che faranno parte per sempre della memoria collettiva.

2. Nella lotta di liberazione possiamo dunque individuare alcuni elementi centrali che l’hanno resa così forte e incisiva, e infine vittoriosa: innanzitutto, la lotta alla passività e all’attendismo, ossia la lotta all’indifferenza, alla delega, all’idea che l’impegno non ci riguarda: al contrario, l’affermarsi di una partecipazione attiva alle vicende storiche e alla vita politica e sociale della comunità, anche nelle circostanze più drammatiche; in secondo luogo, l’unità: pur essendoci grandi differenze politiche e ideologiche tra le varie forze combattenti, si riuscì a far convergere gli sforzi in una
direzione unitaria, e la nascita del Comando unificato del Corpo volontari della libertà – col generale Cadorna, il già citato dirigente comunista Luigi Longo e il dirigente azionista Ferruccio Parri – costituì un passaggio chiave di tale percorso; infine, il senso di solidarietà, cooperazione, azione collettiva: il contrario dell’individualismo oggi imperante, quel senso di appartenenza a una più vasta comunità umana che rese possibili tanti sforzi e atti di coraggio, tanti sacrifici che non è retorico definire eroici.
Oggi, da più parti, e – quel che è più grave – anche da parte di alte cariche dello Stato si cerca di svilire, banalizzare, persino attaccare quell’impegno collettivo che porta il nome di Resistenza antifascista, partendo da alcune delle sue pagine più drammatiche
ma non per questo meno gloriose, come l’azione di via Rasella che – come ha ricordato il presidente nazionale dell’Anpi Pagliarulo – fu pubblicamente elogiata dai comandi angloamericani e fu la più importante azione di guerra realizzata in una capitale europea. Né a essere colpita fu, come pure è stato detto, una banda musicale di altoatesini” composta da “semipensionati”: si trattava invece
del terzo battaglione del Polizei-Regiment Bozen, dunque un reparto militare della polizia nazista istituito nell’Alto Adige occupato. A quell’azione di guerra seguì la strage delle Fosse Ardeatine, la cui responsabilità rimarrà per sempre sulle spalle
dei comandi tedeschi e di Hitler in persona. Del resto, le azioni partigiane erano spesso seguite da durissime rappresaglie, ma se seguissimo il ragionamento di chi pone al primo posto la necessità di evitare tali rappresaglie, sarebbe l’intera Resistenza a essere messa in discussione e sotto accusa; ed è proprio questo tentativo
che va respinto nel modo più chiaro e più netto.
Allo stesso modo va respinto il tentativo di mettere in discussione il carattere antifascista della Costituzione repubblicana. Già in sede di Assemblea Costituente, da parte ad esempio del liberale Lucifero si tentò di far passare l’idea di una Costituzione non antifascista, ma semplicemente “afascista”. Ma forti e chiare furono le risposte di due costituenti del calibro di Palmiro Togliatti e Aldo Moro (5) .

Ma la Costituzione repubblicana è antifascista non solo perché pone una pregiudiziale di fondo, vietando la ricostituzione “sotto qualsiasi forma” del partito fascista, ma anche e soprattutto per i suoi contenuti. L’antifascismo, infatti – e questo certamente sfugge a molti – non ha solo un significato di negazione del fascismo, di ripudio di un’ideologia e di un regime nefasti, ma ha anche una valenza positiva, costruttiva, propositiva. Costituisce cioè un insieme di valori che sono quelli propri della tradizione illuministica e rivoluzionaria – libertà, eguaglianza e fraternità –, dunque le idee liberali più avanzate, arricchite dalle idee di giustizia sociale e democrazia sostanziale tipiche del movimento operaio, socialista e comunista, e dalla centralità della persona caratteristica del personalismo cristiano. Ma soprattutto, le culture
politiche costitutive dell’antifascismo, pur nelle loro differenze, convergevano in un progetto di società di tipo democratico-sociale, fondata cioè su una democrazia di massa, partecipata e diffusa, nella quale alla centralità di un Parlamento che doveva essere “specchio del paese” e ai partiti politici come “democrazia che si organizza” si affiancava un ruolo importante delle autonomie locali. Quanto ai rapporti economici e sociali, accanto alla proprietà privata, che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale”, la Costituzione prevede altre due forme di proprietà, quella dello Stato e di altri enti pubblici e quella di “comunità di lavoratori ed utenti”, ai quali “la legge può riservare originariamente o trasferire […] determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. È un progetto di società in cui alla centralità dei grandi interessi privati si sostituisce la centralità del
lavoro; un progetto che all’art. 3 definisce “compito della Repubblica” quello di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”; un progetto che riconosce “la funzione sociale della cooperazione”, “il diritto dei lavoratori a collaborare […] alla gestione delle aziende”, la progressività della tassazione. Si tratta, insomma, di un modello di democrazia
sociale molto avanzato, che ha posto le basi di tutte le riforme di carattere progressivo che sono state realizzate nel corso dei decenni, e che tuttavia è ancora in larga misura inattuato.
Infine, com’è noto, la nostra Costituzione sancisce il ripudio della guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, e dunque vincola i governi e i rappresentanti del popolo alla ricerca di vie pacifiche, diplomatiche, delle crisi e dei conflitti che possono aprirsi nello scenario internazionale, affidandosi dunque non alle armi da guerra, ma alle armi della diplomazia, così com’è stato nella migliore tradizione repubblicana.
Tutto questo e molte altre cose costituiscono la sostanza positiva dell’antifascismo, ed è questo il terreno comune su cui le forze che avevano combattuto il nazifascismo si sono incontrate e hanno poi cercato di procedere, sia pure con rotture traumatiche, momenti di stasi e anche di regresso. È questa, forse, la sostanza politica più estranea e più invisa a chi oggi vorrebbe depotenziare e magari modificare la nostra Costituzione, che invece continua a rappresentare una straordinaria leva per il cambiamento e il progresso sociale e politico.
Rilanciare la Costituzione, la lotta per la sua attuazione, significa dunque far fruttare ancora i semi gettati con la lotta di Liberazione del 1943-45, farli vivere nel presente e proiettarli verso il futuro. È questo il contributo migliore che si possa dare allo
sviluppo e alla crescita del Paese – che non è un fatto solo economico o demografico –, alla tutela della sua identità, intesa come la parte migliore della sua storia
travagliata, allo sviluppo di relazioni internazionali fondate sulla solidarietà, la pace e la cooperazione.
Anche oggi, come durante la Seconda guerra mondiale, l’umanità ha di fronte a sé problemi e rischi globali terribili. Solo recuperando lo spirito della Grande alleanza antifascista che invertì il segno di quella stagione, sarà possibile essere all’altezza di tali sfide e dare loro risposte ed esiti positivi e non catastrofici, evitando l’escalation verso il peggio. Sarà questo il modo migliore per rendere omaggio ai tanti caduti, agli eroi di quella lotta partigiana alla quale ci inchiniamo ancora oggi, ritrovando in essa
il momento più alto della nostra storia.
Viva il 25 Aprile!
Viva la Resistenza partigiana!
Viva la Costituzione antifascista!

 

…………..

1 https://partigianiditalia.cultura.gov.it/archivio/.
2 https://www.anpi.it/donne-e-uomini-della-resistenza.
3 http://intranet.istoreto.it/partigianato/default.asp.

4 https://web.benedicta.org/.
5 https://www.anpi.it/patria-indipendente/media/uploads/patria/2003/2/06-08%20.%20Cecchini.pdf.

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