Tracciato d’impostazione per il XXI secolo: 1) Idealismo “religioso” (II)
Pubblicato il 10/05/2020
II
La ricerca di una “vita beata”, sintesi di virtù e felicità per ciascuno e per tutti, era stata viva già in Immanuel Kant, a livello di vita morale. Tale ricerca è poi proseguita, su un diverso terreno – non più primariamente morale, ma sociale e politico – in Marx e nel marxismo, in pratica dal 1848 ai giorni nostri. Avrebbe dovuto portarci a realizzare, via via, una società senza classi e senza Stato, per balzi o a passo di lumaca a seconda delle circostanze storiche. La trasformazione sociale e politica avrebbe dovuto avvenire nel quadro dello Stato liberale oppure tramite un nuovo Stato dei lavoratori. Lo Stato dei lavoratori è stato fatto, a partire dalla Russia, dal 1917 in poi, ma è poi stato dominato quasi perpetuamente, in modo definitivo dal 1926, da una burocrazia autoritaria “al posto dei lavoratori”, sinché tra il 1989 e il 1991 quel sistema, senza poter reggere neppure una piccola democratizzazione, è imploso da Berlino a Vladivostock. Quanto allo Stato liberaldemocratico, diretto o incalzato dal movimento socialista democratico e da partiti “alleati”, esso ha sì portato nuovi diritti sociali e civili per la grande maggioranza delle persone, ma senza che i tratti di profonda disuguaglianza tra gli uomini, di concorrenza selvaggia e spesso di lotta tra gli Stati, e di inquinamento folle del pianeta, venissero meno. Tanto da ingenerare periodicamente nuove catastrofi, che in un mondo globalizzato sono molto tristi e che potrebbero pure assumere la forma di conflitti nucleari.
Sia come sia, è un fatto che a centosettant’anni dal 1848, il capitalismo privatistico domina incontrastato, in modo ritenuto ormai quasi “naturale”, a livello planetario (in taluni casi, come in Cina, all’ombra della bandiera rossa).
Da ciò traggo due conseguenze. La prima è che la via del rendere intersoggettiva – davvero “uno per tutti e tutti per uno”, libera e solidale – la nostra vita cambiando i rapporti sociali e di potere, dopo centosettant’anni può dirsi fallita. La seconda è che solo una profonda trasformazione delle coscienze può cambiare il mondo. In pratica solo la rivoluzione spirituale e morale sembra poter rendere possibile quella sociale e politica, in vista di una società fondata sulla cooperazione, solidale ed ecologica. Lo sapevano e spiegavano bene, inascoltati, già i repubblicani di Mazzini, poi travolti dalla storia. La rivoluzione morale, nelle convinzioni e nei comportamenti politici, condiziona in modo decisivo quella politica e sociale. Pare che tale convinzione, relativa al primato della dimensione morale e spirituale nel “fare la storia”, sia ben lungi dall’essere interiorizzata dalla gran parte delle forze sociali, politiche e persino culturali che sono oggi in campo. Su tale terreno si è anzi avanzato come i gamberi, con le conseguenze evidenti, tanto più in Italia. Direi con una sola eccezione significativa a livello macrostorico, incarnata dall’ambientalismo. Pare che i Verdi siano i soli ad aver compreso ciò, sin dall’inizio, in tutte le loro componenti – “fondamentaliste” (fundis) come realiste (realos), rivoluzionarie come riformiste – sin da quando nel 1979 nacquero come movimento politico autonomo in Germania, poi espansosi nel mondo (anche se in modo minimo in Italia, per ragioni che qui non starò a “riconsiderare”). Essi hanno compreso e teorizzato che la natura è vita vivente che ci accomuna e non un mucchio di spazzatura, e che solo nella misura in cui lo comprenderemo, come esseri umani, potremo salvarci. E infatti l’ambientalismo potrebbero essere – in un nuovo socialismo “verde”, o al posto del socialismo (il che sarà deciso solo dalla storia) – il nuovo “sol dell’avvenire” (diciamo pure un sole dell’avvenire “che ride”). Ma il porre alla base del mutamento sociale il mutamento radicale della coscienza ha implicazioni idealistiche e religiose, nella considerazione dell’uomo come della natura. Lungi dall’essere solo un altro modo di coniugare la vecchia questione sociale, l’ambientalismo implica la scoperta di qualcosa di valore infinito in noi e in tutta la vita intorno a noi (vita che è parte di noi stessi)[1].
A scanso di equivoci va però precisato che trovato l’infinito alla prima radice di noi stessi e del cosmo vivente, non possiamo acquietarci in una sorta di ottimismo metafisico a priori, come se tutto fosse risolto. Infatti, anche dopo aver ritrovato il” tesoro nel campo”, o la “perla nel mare”, come avrebbe detto il Cristo[2], dovremo trarne le conseguenze: scoprire l’infinità immanente in noi e nella vita come un valore forte nella nostra esistenza concreta; e non è affatto scontato che lo vogliamo, o che lo possiamo, o lo sappiamo fare in modo significativo. Ma grazie all’infinità immanente “a monte” – se la riconosciamo, se la conosciamo, e se non ce la scordiamo; o nella misura in cui la riconosciamo, conosciamo e non scordiamo – potremmo pure non soccombere, né come singoli né come “molti” o “tutti”, nella lotta per la vita. Potremo pure trovare qualcosa che ha a che fare con lo svelamento, e il connesso “buon uso”, dell’infinito contratto nella nostra mente come luce che non si spegne, o almeno che non è necessariamente “spenta”, ma che “può” illuminare il nostro singolare e collettivo lungo erramento sulle strade del mondo. Mi riferisco anche alla dimensione “a tutti comune”, perché l’infinito immanente, se c’è, ci accomuna necessariamente tutti: ci affratella, come i neuroni a specchio recentemente scoperti da Giacomo Rizzolati dell’Università di Parma. L’approccio che propongo, quasi come fondamento d’essere dell’empatia, è, in sostanza, neo-religioso.
Seconda avvertenza: religiosità, laicamente intesa, nella varietà delle sue possibili forme
Ma nessuno non dorma: ogni amico laicista stia “sereno”. Non voglio mandare la gente a messa, se non ne abbia voglia, e neanche da qualche guru. E non intendo neppure mettere in discussione il principio cavourriano e liberale “Libera Chiesa in libero Stato”, per cui la religione è bene che resti fuori dai confini dello Stato, come negli Stati Uniti: viva ed operante – semmai – nella società civile, come voleva già “un certo” Gesù Cristo, e tutto il cristianesimo sino all’editto di Costantino del 313, o forse sino al 1000, sino a Gregorio VII e ai tanti secoli successivi di contesa della chiesa romana per il primato rispetto allo Stato[3].
Inoltre mi piace ricordare agli amici laicisti irriducibili che ci sono pure religioni atee, come il buddhismo, specie nella sua versione originaria indiana, in cui è decisivo il concetto di Anatman. Dio nell’induismo è identificato con l’Anima del Mondo (Atman), di cui le singole anime dei viventi (jiva) sarebbero punti spirituali specifici coeterni, come quelli di una retta (Dio), che corrono di vita in vita, sinché non vincano la maja, “l’illusione” della vita materiale. E per ciò l’Anatman, teorizzato dal buddhismo dal VI secolo a.C., vuol dire Non-Dio, e anche negazione dell’eternità di un’anima individuale. Il buddhismo crede sì che ci sia, tra i perenni aggregati persistenti del reale, pure la coscienza, che andrebbe in ciascuno di noi di vita in vita, sino alla liberazione finale dall’attrazione verso la materia, cioè dal vano desiderare (Nirvana); ma per il buddhismo la coscienza, in sé, per quanto sottesa alla vita, non è neanche personale. Muta parecchio persino in una vita. Il carattere individuale della coscienza è anzi considerato – già in una vita – la prima e ultima illusione da dissolvere (l’Io illusorio, il Sé, che sarebbe solo un miraggio, che tanto spesso, se non addirittura sempre, ci rovinerebbe la vita, caricata di vane aspettative). Data la coscienza perenne, rinasceremmo migliaia e anzi milioni di volte, ma in aggregati sempre diversi, anche se misteriosamente in ogni vita raccoglieremmo quel che abbiamo seminato nella precedente, ricominciando di lì. Questo era vero soprattutto nel buddhismo originario, del cosiddetto “piccolo veicolo” (Hinajana”), mentre successivamente è nato un buddhismo più contaminato con dèi e anima personale, come quello tibetano, detto del “grande veicolo” (Mahajana”). Ma questa è un’altra storia, che per altro muta, ma non cancella, la disposizione originaria. Ad esempio persino gli dèi sono sempre considerati, anche nel buddhismo tibetano (Mahajana) costruzioni di una mente infinita che è in noi, che o “li fa” o “li sussume” tramite la coscienza umana purificata, autocosciente.[4]
Varie forme della religiosità
Ciò posto parlando di religiosità io intendo dire, innanzitutto, che la dimensione dell’infinito e dell’eterno è a priori nell’essere umano. Questo per me è il lascito positivo dell’idealismo romantico di Fichte Schelling e Hegel, già trattato (anche con buona pace di diverse tendenze neoidealistiche o storicistiche del XX secolo, che hanno pensato di mantenere la dialettica senza l’Assoluto a monte). Tra XIX e XX secolo è però emersa una forma di evoluzionismo neospiritualista, da Bergson a Teilhard de Chardin, che non contraddiceva certo l’idealismo hegeliano, come ebbe a notare Croce.[5]
Inoltre l’idea dell’infinità in noi è stata molto rafforzata da alcune tendenze importanti della psicologia, da quella filosofica di William James a quella analitica di Jung e degli junghiani. La psicologia analitica ci ha dimostrato che l’archetipo del divino, lì detto Sé – l’uno-tutto della nostra psiche, l’infinito personalizzato – è presente in noi, e nei sogni di chiunque, anche nel più primitivo o analfabeta, in cui si manifesta una mitologia arcaica che viene da molto lontano e va lontano: sia essa una mitologia archetipica di tipo monoteista, culminante nel Sé come l’Uno contratto nella mente di tutti i singoli, quantomeno come istanza, come in Jung, o una mitologia politeistica come in Hillman (per cui ogni archetipo in noi si personalizza, tanto che ogni dio greco-mediterraneo potrebbe essere considerato la personificazione di un archetipo, di cui ci darebbe già i tratti psicologici di fondo)[6]. Questa presenza quantomeno psichica, o psicoide, dell’infinito o divino in noi si rileverebbe nei “grandi sogni” e visioni, anche dei più rozzi, e, con particolare evidenza, nei folli, che su ciò insegnarono molte cose a Jung, grande psichiatra prima ancora che grande psicoanalista.
Questo non dimostra ancora la realtà in sé e per sé dell’infinito in noi, neanche per Jung, anche se ne è un buon indizio. Com’è pure un buon indizio tutto quello che si chiama paranormale, di cui si sono molto occupati non solo Jung e compagni, ma pure, e ancor più, Bergson e William James (per non dire di inquietanti romanzi di suo fratello Henry).[7] Tutti i fenomeni sincronistici hanno tale tratto. Su ciò Jung, il suo amico premio Nobel della fisica Wolfang Pauli, Marie-Louise von Franz e altri hanno scritto tante cose interessantissime[8].
A me sembra un fatto che gli storici antichi, che non avevano le nostre autocensure, abbiano tutti quanti o quasi, da Erodoto a Tito Livio o Plutarco, raccontato innumerevoli casi del genere[9]. Si potrebbe anche farne uno studio approfondito. Anche se è molto probabile che le apparizioni o premonizioni servissero pure a colorire la narrazione, vedere in tutto ciò mera invenzione è impossibile. Ogni storico ha trovato cose del genere nei suoi personaggi, persino in quelli psicologicamente lontani anni luce dall’ammettere cose del genere[10]. Le mettiamo da parte come dettagli insignificanti, ma “c’erano” stati.
È assolutamente vero che di tali fenomeni sincronistici o paranormali non si ha vera scienza, in parte a dispetto di Bergson, James, Jung e altri. Oggi lo spiritismo è ben opinabile, e lo era anche al tempo in cui Jung iniziò il lavoro intellettuale, nella sua tesi di laurea e primo libro, sui “cosiddetti fenomeni occulti”, cui credeva, ma che in quel suo primo lavoro rapportava all’isteria.[11] È vero che tali fenomeni non sono mai risultati riproducibili in laboratorio. Ma questo non dimostra affatto che non esistano, ma che non si danno mai a comando: si danno quando si danno. Non conosco neanche una persona che non abbia avuto almeno una fuggevole esperienza del genere nella vita. In essa accadono tante cose strane, che poi rimuoviamo. Sull’esistenza della dimensione paranormale, dopo tanti studi etnoculturali sul nostro sud, che certo agli amici dello spirito dionisiaco piacerebbero molto se si prendessero la briga di studiarli, Ernesto De Martino era assolutamente convinto. Ne era convinto persino più di Mircea Eliade, che pure era persuaso che nell’ànthropos ci fosse un senso dell’eterno a priori, che si riscontra più o meno tale e quale in tutte le religioni, tempi e climi.[12]
Ci sono poi innumerevoli esperienze dei mistici, dei santi e dei meditanti. In proposito ci sono centinaia di opere e testimonianze assolutamente interessanti, legate soprattutto all’induismo e al buddhismo, ma anche a tante testimonianze toccanti di mistici cristiani.
Nel grande mare relativo a tali ambiti, ad esempio tutte le cose che ha spiegato Mircea Eliade sono importanti. Sono pure molto interessanti tutte le cose che ha vissuto, spiegato e raccontato, specie in ambito shivaita, Alain Daniélou.[13] Spesso questi autori in certe fasi della loro vita sono stati dei reazionari, ma siccome si tratta di faccende remote; e siccome negli stessi periodi altri sono stati stalinisti, spesso con pesanti responsabilità; e siccome, qui, m’interessa la fenomenologia dei fenomeni religiosi, posso mettere il dato “tra parentesi”, pur riconoscendo che i loro biografi, en historiques, non potrebbero certo fare a meno di investigare anche su tali aspetti, in termini di storia politica rilevanti.
In ambito buddhista sono di straordinario interesse le cose che spiega, su un Tibet ancora semifeudale in cui lei s’immerse in modo antelucano, Alexandra David Neel. Io ho trovato toccanti alcuni libri di Govinda, un tedesco diventato monaco buddhista in Tibet. Ma anche moltissime delle cose che spiega l’assai intelligente, simpatico, coinvolgente e profondo Dalai Lama, specie sulla meditazione[14]. Il punto chiave è la comprensione del fatto che ci sono ormai tesori di testimonianze, ma anche di descrizione dettagliata delle tecniche di meditazione, e dei suoi effetti, che sono assolutamente credibili.[15] Non si può dubitare del fatto che chiunque prenda tutto ciò sul serio, e vi s’immerga a fondo, viva quei fenomeni “visionari”. Anche questa, per chi non la faccia, non è una prova, ma è certo un altro buon indizio.
Sembra che tutto il discorso del Buddha, compendiato nella quadruplice verità e ottuplice sentiero, sin dal VI secolo a.C., si riduca – si fa per dire – all’etica del “non fare il male” (non provocare sofferenza ad alcuna creatura), “fare il bene” (essere compassionevoli, che lì però vuol dire essere empatici, con gli esseri umani e più in generale viventi) e “meditare”, ossia praticare con e nella mente – quanto di più idealistico ci sia – in modo da ottenere il distacco dalle passioni egoiche e dall’Ego, la cui dissoluzione porterebbe all’illuminazione, ossia ad una coscienza pura[16], che gode di se stessa, incontaminata, beata (ossia al nirvana). La meditazione è un dato centrale. C’è un discorso del “canone buddhista” che mi ha molto colpito, Sull’ascesi, in cui Buddha si confrontava con la figura equivalente a quella del nostro evangelico san Tommaso, che per credere nella crocifissione del risorto aveva dovuto mettere il dito nei buchi delle mani bucate del Cristo tornato momentaneamente tra i discepoli (come ha dipinto bene Caravaggio). Il monaco inquieto non voleva credere nella liberazione mentale. Buddha gli diceva “Vieni a vedere!”, spiegandogli attraverso quali passaggi meditativi avrebbe potuto pervenire a tanta gnosi[17]. Emerge una sorta di empirismo mistico.
Ha un tale tratto pure l’esperienza psichedelica, che ha una lunga tradizione, anche se dovrebbe essere vista o provata con estrema cautela perché il margine tra quel che Platone chiamava “divina follia”[18] e la follia, se la mente non sia solida, è piuttosto sottile. Comunque ci sono studi e testimonianze dello scopritore dello LSD, ma pure di Huxley e della beat generation del Sessantotto e oltre, e ulteriori, di grande interesse. Chi le ha compiute non solo ne è uscito persuaso della realtà dell’anima, ma delle vite anteriori. Questo era quanto si sperimentava, molto probabilmente, nei misteri dionisiaci, orfici e isiaci riservati agli iniziati. In proposito sono molto interessanti e coinvolgenti anche i libri-testimonianza dell’antropologo Castaneda, con lo sciamano messicano don Juan, anche prendendoli con beneficio d’inventario. Anche ciò da un lato è ancor più opinabile degli stati meditativi; dall’altro è interessante.[19] Di nuovo si tratta di un vero possibile, indiziario.
Ho anche letto taluni grandi mistici. Intanto l’antico Plotino, che sulla psiche profonda ha innumerevoli pagine bellissime, superiori per me persino a Platone. Ma penso a taluni grandi mistici cristiani, soprattutto come Giovanni della Croce, Maria Teresa d’Avila e Edith Stein (la suora ex assistente di Husserl uccisa ad Auschwitz).[20] Naturalmente nulla può essere preso alla lettera. Comunque ci sono esperienze mistiche in tutte le religioni, dagli sciamani (su cui c’è un grande libro di Eliade) agli ebrei e cristiani, per non dire degli induisti, buddhisti e taoisti[21]. Ma anche qui, perché non vedervi indizi di realtà al di là dello spazio e del tempo? Negarle, non è una “fuga dalla realtà”? Non è un chiudere gli occhi al fenomeno?
(Segue)
di Franco Livorsi
- Chi per me ha compreso tali cose meglio di tutti a mio parere è Fritjf CAPRA. Non a caso, proprio con l’approccio che io pure caldeggio, scrisse sui Verdi, con CAROLYNE SPRETNAK, un libro antelucano: La politica dei Verdi. Cultura e movimenti per cambiare il futuro dell’Europa e dell’America (1982), Feltrinelli, Milano, 1986. Il libro fu proposto e prefato, in Italia, da Alexander Langer in Italia. Ritengo che il libro di F. CAPRA Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente (1982), Feltrinelli, 1982, resterà come un classico dell’ambientalismo, filosofico e sociale. Rinvio pure a: F. LIVORSI, Il mito della nuova terra. Cultura, idee e problemi dell’ambientalismo, Giuffré, Milano, 2000. ↑
- MATTEO, 13: 44-45. ↑
- Naturalmente mi riferisco al famoso episodio evangelico del “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, che è molto importante, anche perché condiziona poi tutto l’atteggiamento proto-cristiano, ben netto nelle lettere dell’apostolo Paolo, verso la pubblica autorità, che va obbedita comunque, per volontà di Dio, e poi tutta l’Ortodossia. La vita religiosa non è opposta, ma differenziata dall’ambito politico, anche se poi in Occidente, dal 313, e soprattutto dall’Alto Medioevo in poi, la chiesa di Roma rimuoverà spesso questo punto decisivo, o rivendicando il primato politico o sostenendo i re in modo attivo in cambio di privilegi di potere, vuoi a difesa della “vera” fede contro i suoi “eretici” e vuoi nel campo educativo. Ortodossi e ben oltre i protestanti sono stati spesso supini alla volontà dello Stato, vuoi in base al detto di Gesù e vuoi prendendo alla lettera la connessa indicazione di San Paolo per cui “ogni autorità viene da Dio”, ma senza pretendere di sottomettere lo Stato alla Chiesa, il cui ambito sarebbe la vita spirituale extrapolitica, sin come sfera coscienziale individuale primaria e sia, e soprattutto, in vista della vita eterna. ↑
- Nell’immensa bibliografia in materia, indico soprattutto: H. ZIMMER, Filosofie e religioni dell’India (1951), Mondadori, 2001, bellissimo e illuminante; J. HOPE – B. VAN LOON, Buddha (1994), Feltrinelli, Milano, 1995 (esaustivo per un primo approccio); M. OMODEO SALÉ, Venticinque secoli di buddhismo, Aldo Martello, Milano, 1957; C. HUMPHREYS, Il buddhismo (1951), Astrolabio, 1964; DALAI LAMA, La via della liberazione. Gli insegnamenti fondamentali del buddhismo tibetano (1994), Il Saggiatore, 2005. ↑
- H. BERGSON, L’evoluzione creatrice (1907), a cura di P. Polidori, Cortina, Milano, 2002; Le due fonti della morale e della religione (1932), Comunità, Milano, 1947. Ma si veda pure: P. TEILHARD DE CHARDIN, Comment je crois, Éditions du Seuil, Paris, 1969, pp. 120-124, per il nesso col bergsonismo; Il fenomeno umano (1938/1940), a cura di F. Mantovani, Queriniana, Brescia, 1995. Si veda anche: G. VIGORELLI, Il gesuita proibito. Vita e opere di P. Teilhard de Chardin, Il Saggiatore, 1963. Si veda pure: F. LIVORSI, Il gesuita “proibito” e il gesuita “rimosso”. Riflessioni su un libro di Teilhard de Chardin, “Città Futura on-line”, 11 marzo 2010 (si trattava di “Il fenomeno umano”). ↑
- W. JAMES, Le varie forme dell’esperienza religiosa. Uno studio sulla natura umana (1902), a cura di G. Filoramo, Morcelliana, Brescia, 1998. Il testo fondamentale per la comprensione di C. G. JUNG in proposito è il grosso vol. 11 delle “Opere”, Psicologia e religione”, Bollati Boringhieri, Torino, 1979. Per J. HILLMAN rinvio alla vasta raccolta di suoi scritti, scelti da lui: Fuochi blu (1989), Adelphi, Milano, 1996, ad Anima. Anatomia di una nozione personificata (1985), ivi, 1989 e a: Figure del mito, con Introduzione di A, Bottini (2007), Adelphi, 2014. Ma si vedano pure i seguenti miei scritti: Psiche e storia. Junghismo e mondo contemporaneo, Vallecchi, Firenze, 1991; Politica nell’anima. Etica, politica, psicoanalisi, Moretti & Vitali, 2007. E inoltre si vedano ancora i miei articoli: Archetipi e storia in Hillman, “Klaros. Quaderni di psicologia analitica”; XVII, n. 1, 2004, pp. 5-48; “Fuochi blu”. Note e riflessioni sul “meglio” di James Hillman, “Città Futura on-line”, 28 ottobre 2012. ↑
- Si veda: H. JAMES, Il giro di vite (1898), tr. di F. Cialente, Einaudi, Torino, 2014. ↑
- Jung e Pauli. Il carteggio originale: l’incontro tra Psiche e Materia (2015), a cura di A. Sparzani con A. Panepucci, Moretti %& Vitali, Bergamo, 2016. Si confronti con: S. TAGLIAGAMBE – A. MALINCONICO, Jung e Pauli. Un confronto su materia e psiche, Cortina, Milano, 2011. Ma si veda pure: M.-L. von FRANZ, L’esperienza del tempo. Il dio arcano che presiede alla vita (1978), RED, Como, 1995; Psiche e materia (1988), Bollati Boringhieri, 1992; Divinazione e sincronicità. Psicologia delle coincidenze significative (1980), Tlon, Città di Castello, 2019. Rinvio pure a: F. LIVORSI, La questione del tempo oltre il tempo filosofia e nella psicologia analitica. Note e riflessioni, in: “Sincronicità e coincidenze significative”, a cura di C. Widmann, Edizioni Magi, Roma, 2016, pp. 87-118. ↑
- Risulta in modo continuo in: ERODOTO, Storie (V secolo a.C.), a cura di A. Colonna e F. Bevilacqua, UTET, Torino, 2014: TITO LIVIO, Storia di Roma dalla sua fondazione (Ab Urbe condita) (27 a,C. – 17 d.C. circa), a cura di M. Mariotti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2003, 13 voll.; PLUTARCO, Vite parallele (96/120 circa), Introduzione traduzione e note di C. Carena, Oscar Mondadori, Milano, 1981, tre voll. ↑
- Filippo Turati, il 14 gennaio 1925, in una fase successiva al delitto Matteotti del 1924 e in cui non immaginava affatto il regime a partito unico sorto nel 1926, sogna il suo vecchio amico fraterno e compagno di tante battaglie, specie dal 1892 al 1912, Leonida Bissolati, morto nel 1920. Ne scrive alla sua compagna Anna Kuliscioff: “Stanotte conversai a lungo con Leonida, che teme un regime fascista per altri vent’anni, ma anche al mondo di là dev’esserci nebbia.” Ho citato la lettera nel mio libro: Turati. Cinquant’anni di socialismo in Italia, Rizzoli, Milano, 1984, p. 420. ↑
- C. G. Jung, Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti (1902), in: “Opere”, I, Bollati Boringhieri, 1970, pp. 15-98. ↑
- Su ciò si vedano in particolare i seguenti memorabili lavori di MIRCEA ELIADE, Il mito dell’eterno ritorno. (Archetipi e ripetizione) (1949), Borla, Roma, 1968; Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi (1974). Mediterranee, Roma, 1988, che è la maggiore e più documentata opera sull’argomento; Il sacro e il profano (1957), Bollati Boringhieri, 1984. Il fatto che tali fenomeni persuadessero Ernesto De Martino persino più di Mircea Eliade, si può vedere dal loro confronto su “Storia delle religioni e parapsicologia” del settembre 1956, riportato in appendice a: P. ANGELINI, L’uomo sul tetto. Mircea Eliade e la “storia delle religioni”, Bollati Boringhieri, Torino, 2001, pp. 116-139. ↑
- Si veda la sua autobiografia: A. DANIÉLOU, La via del labirinto. Ricordi d’Oriente e d’Occidente (1981), Casadeilibri, Milano, 2004. Si confronti almeno col suo: Miti e dèi dell’India (1975), BUR, 2002. ↑
- Si vedano: A. DAVID-NEEL, Mistici e maghi del Tibet, Astrolabio, Roma, 1965; Lama ANAGARIKA GOVINDA, La via delle nuvole bianche. Un buddhista in Tibet (1966), Ubaldini, Roma, 1981; I fondamenti del misticismo tibetano (1960), Astrolabio – Ubaldini, 1972. Ma è prezioso, sulle diverse forme di meditazione: DALAI LAMA, Il dono del Dharma. La saggezza del perdono, Il senso dell’esistenza, La pace dello spirito, Risposte sul senso della vita (1992/2004), a cura di G. Pecunia e Ma Nand Tea Pecunia, RadiciBUR, BUR, 2007. Ma si veda pure, per l’esemplare chiarezza: J. GOLDSTEIN, L’esperienza della meditazione (1976), Laterza, 1984. ↑
- Oltre al libro del Dalai Lama citato alla nota precedente, io ho trovato formidabile, tra i molti da me letti su tali temi: I. K. TAIMNI, La scienza dello Yoga. Commento agli yogasutra di Patanjali (1961), Ubaldini, 1970. ↑
- Su ciò rinvio in modo particolare a: CHOGYAL NAMKHAI NORBU – ADRIAN CLEMENTE, La suprema sorgente. Kunje Gyalpo, il tantra fondamentale dello dzogchen, Ubaldini, Roma, 2010, un testo del XVIII secolo classico come opus di una corrente del buddhismo tibetano (quella Dzogchen). Norbu è stato il maestro del mio antico carissimo amico Fabrizio Uderzo, già importante collaboratore di “Città Futura on-line”, che oggi sta male, e cui va il mio caro saluto. Fabrizio UDERZO ha compiuto esperienze mistiche fondamentali, che in parte ha raccontato, sotto pseudonimo, in: KHENEBISH, Pacchetti d’amore. Essere nella leggerezza dell’essere, Fontana Editore, Borgo Valsugana (Trento), 2018. ↑
- Si tratta del testo Sāmaňňa phala sutta (Sul frutto dell’ascesi), in: Canone Buddhista. Discorsi lunghi, a cura di E. Frola, UTET, Torino, 1976, pp. 56-99. ↑
- Platone, Fedro, a cura di M. Tondelli, con un saggio introduttivo di L. Robin, Mondadori, Milano, 1998. ↑
- Pur non avendo mai fatto esperienze del genere, per un principio di precauzione che raccomando, ho visto diversi testi fondamentali in proposito: innanzitutto quel che racconta il chimico svizzero scopritore del principale allucinogeno: A. HOFMANN, LSD. Il mio bambino difficile. Riflessioni su droghe sacre, misticismo e scienza, Feltrinelli, Milano, 2015. Poi un libro che ipotizza che i fenomeni che accadevano nei misteri riservati agli antichi iniziati ai culti orfici, dionisiaci e isiaci fossero del genere: R. GORDON – A. HOFMANN – C. A. P. RUCK, Alla scoperta dei Misteri Eleusini (1978), Libri Urra, Milano, 1996. Quindi la descrizione di molte esperienze anche inquietanti del genere: S. GROF, Quando accade l’impossibile. Avventure in realtà non ordinarie (2006), Feltrinelli, 2016. Ora si può vedere la vasta indagine di M. POLLAN, Come cambiare la tua mente (2014), Adelphi, 2020. Tra i molti libri dell’antropologo, diciamo pure visionario, Carlos CASTANEDA, quello che mi è parso più interessante è: A scuola dallo stregone. Una via yaqui alla conoscenza (1968), Astrolabio, 1970. ↑
- GIOVANNI DELLA CROCE, “Opere”, Versione del Padre Fedinando di Santa Maria O. C. D., Postulazione generale dei carmelitani scalzi, Roma, 1985. (Si vedano in particolare: Salita sul monte Carmelo, pp. 5-396; Notte oscura dello spirito, pp. 399-488); Santa TERESA d’AVILA, Vita (1562), Introduzione traduzione e note di I. A. Chiusano, BUR, 1983. Con Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, in termini di testi, siamo nella Spagna dell’ultimo trentennio del XVI secolo. EDITH STEIN, Sui sentieri della verità. Antologia, a cura del Carmelo di Milano, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 1991. ↑
-
Si vedano in particolare: M. ELIADE, Yoga, Saggio sulle origini della mistica indiana (1936), Lindau, Torino, 2009; Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi (1974), cit.; Tecniche dello Yoga (1948). Bollati Boringhieri, 1984. ↑
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