Filosofia del Socialismo

 

 

Tracciato d’impostazione per il XXI secolo: 4) Liberazione ecologica (II)

pubblicato il 17/07/2020

C’è un ecologismo a base biologica o anche economica (come si è visto). Ma l’elaborazione più filosofica, o etico-spirituale, dell’ecologismo sembra persino più ricca e originale. Ciò ci riporta ai dibattiti sul Sessantotto. Questo ha certo posto le basi per conquiste economico sociali non piccole, specie in paesi come l’Italia, ma nell’insieme è stato l’ennesima rivoluzione democratico-socialista fallita in Occidente. Tuttavia c’è un seme libertario che si era subito manifestato nel Sessantotto, e che ha poi fruttato, sol che si pensi alla morale sociale in materia di libertà della donna, di diritti delle minoranze sessuali e di amore della pace. Su tali terreni, ad esempio in Italia, c’è stato un salto rispetto al mondo anteriore agli anni Sessanta: salto che è stato rilevantissimo, quasi difficile da far capire a chi i vent’anni, dal più al meno, li abbia compiuti dopo. Su questo dato morale collettivo la rivoluzione del Sessantotto non è fallita come sul resto, ma ha sostanzialmente vinto.

Ora a livello di culture politiche e ideali questo “nuovo pensiero in cammino” si è fatto vedere soprattutto nell’ambientalismo. Se ne ha un’anticipazione in La nascita della controcultura, dello storico e sociologo americano Theodore Roszak, che la teorizzava già nel 1969, contro la visione pretesa oggettiva e scientifica del mondo. Ad essa il pensatore opponeva “una dimensione comunitaria che restituisca un ruolo centrale agli aspetti visionari e religiosi dell’esperienza umana”. Lo stesso Roszak avrebbe poi scritto, oltre un ventennio dopo, The voice of Earth (1992). Roszak si faceva teorico di un approccio detto ecopsicologia, ossia ecologia a base psicologica[1], che è strettamente connesso all’ecologia profonda (ecologia il cui principale teorico è un esponente e poeta della Beat Generation, che col filosofo Arne Naess ha scritto il manifesto della tendenza: Gary Snyder).

Da Snyder, nel libro Nel mondo selvaggio (1990), è posta proprio la questione di un ecologismo interiore, in cui ecologia profonda e psicologia del profondo, specie di Hillman) si connettono direttamente, sino a far dire allo stesso Snyder: “Il profondo della mente, l’inconscio, è la nostra wilderness [natura selvaggia] interna (…). L’Io cosciente con la sua agenda di pianificazione occupa un territorio minuscolo, soltanto una celletta vicino al cancello d’ingresso della mente, dove cerca di registrare ciò che entra e esce (e a volte fa piani espansionistici), mentre tutto il resto va per conto proprio. Il corpo è, per così dire, nella mente, ed entrambi sono selvaggi.”[2] Viene teorizzato un vero e proprio ritorno alla vita naturale, in specie tribale libertaria, ma anche comunitaria libertaria in un senso più ampio, e sempre spirituale, tanto che già in Quattro cambiamenti (1969-1974) Snyder scriveva, d’intesa con Naess: questa rivoluzione “sarà vinta non con i fucili, ma conquistando le immagini chiave, i miti, gli archetipi, le escatologie, le estasi, di modo che la vita non sembri valer la pena di essere vissuta se non si è dalla parte dell’energia trasformatrice.”[3]

Ma l’elaborazione più importante, nell’ambito dell’ecologia profonda, è quella del filosofo verde norvegese, pure amico di Snyder, Arne Naess, l’autore di Ecosofia (1976), studioso appassionato della nonviolenza e del pacifismo di Gandhi, ma anche di Spinoza. Egli è stato, con Gary Snyder, il fondatore della “ecologia profonda”. Su ciò, in riferimento al Sé come minimo comun denominatore e lato intersoggettivo empatico della mente umana, Snyder schematicamente scriveva: “Realizzazione del Sé. Più è alto il livello raggiunto da qualcuno nella realizzazione del Sé, più ampia e profonda è l’identificazione con gli altri. Più è alto il livello raggiunto da qualcuno nella realizzazione del Sé, più la possibilità di potenziare tale processo ulteriormente dipende dalla realizzazione del Sé da parte degli altri. La completa realizzazione del Sé per ciascuno dipende da quella di tutti gli altri. Realizzazione del Sé per tutti gli esseri viventi.”[4]

Naess coniugava insieme ecologismo, panteismo spinoziano e teoria-prassi di tipo gandhiano, Fu lui a bilanciare o rettificare l’ecologia “scientifica” con quella che chiamò “ecosofia”, saggezza ecologica, nel quadro dell’ecologia profonda. Il problema della rinascita della coscienza gli pareva decisivo, tanto più in un paese democraticissimo come la Norvegia, in cui ove si fosse affermata la coscienza ecologica nessuno avrebbe potuto impedirne la realizzazione. Perciò nella sua opera fondamentale, Ecosofia, affermava: “La qualità della vita è in gran parte di natura psicologica: è un tentativo di indagare sul modo in cui uomini e donne esperiscono la loro condizione di vita, di scoprire se si sentono minacciati da qualche cosa e da che cosa in particolare, se si sentono insicuri rispetto a qualche eventualità e di quale si tratta, e che tipo di frustrazioni hanno in generale.”

Si capisce che in un’impostazione basata sulla rivoluzione psicologica l’esempio di Gandhi fosse, per Naess, decisivo, tanto da indurlo, sempre ivi, a notare, parlando appunto di Gandhi: “Il suo principale obiettivo era quello di eliminare la miseria materiale e spirituale. È famosa la sua propaganda a favore della tessitura a mano, ma Gandhi appoggiava anche altre forme di artigianato. Per lui l’accentramento e l’urbanizzazione erano mali da combattere. Il primato della grande industria, e qualsiasi tecnologia che approfondisse il divario tra una élite tecnica e i lavoratori espropriati della loro cultura, avrebbe portato a una proletarizzazione delle città, a un aumento della violenza e ad uno scontro tra indù e musulmani.”

Il tutto era connesso, per Naess – pure in Gandhi – ad una visione di religiosità interiore, che lo portava a sostenere: “Il vero yogi vede il Sé eterno in tutti gli esseri viventi e tutti gli esseri nel Sé.” Da ciò traeva la seguente conclusione: “La realizzazione del Sé richiede la realizzazione di tutte le potenzialità. Lo sfruttamento riduce o annienta tali potenzialità. No allo sfruttamento! L’oppressione riduce le potenzialità. No all’oppressione! Tutti hanno uguale diritto alla realizzazione del Sé! La società classista nega l’uguaglianza del diritto alla realizzazione del Sé! No alla divisione in classi! L’autodeterminazione favorisce la realizzazione del Sé. Autodeterminazione!”[5]

Tutto ciò non va certo preso per oro colato, ma indica che un altro paradigma sarebbe stato e sarebbe possibile. E questo è proprio il punto di vista di un allievo della fisica indeterminista e dei quanti di Heinsenberg, l’austriaco-americano Fritjof Capra, che personalmente considero il più importante teorico, a tutto campo, scientifico come ecologico profondo, dell’ecologismo contemporaneo.

Fritjof Capra, come del resto Snyder o Naess, connette l’ecologismo anche alla riscoperta delle filosofie orientali, come taoismo, induismo e buddhismo, Al proposito nel famoso libro in cui in base all’indeterminismo di Heisenberg ha provato a delineare una visione che riprenda tutto il retroterra di cui ho detto (Il Tao della fisica, del 1975), notava: “Il misticismo orientale vede l’universo come una rete inseparabile, le cui interconnessioni sono dinamiche e non statiche. La rete del cosmo è viva: si muove, cresce, cambia in continuazione. Anche la fisica moderna concepisce l’universo come una rete di relazioni, e come una rete intrinsecamente dinamica. Nella teoria quantistica il carattere dinamico della materia è una conseguenza della natura ondulatoria delle particelle subatomiche, e questo stesso concetto è centrale nella teoria della relatività, nella quale l’unificazione del tempo e dello spazio implica che non si possa analizzare la materia separatamente dalla sua attività. Le proprietà delle particelle subatomiche possono cioè essere comprese solo in un contesto dinamico: in termini di movimento, interazione e trasformazione.”[6] A livello dell’infinitamente piccolo come dell’infinitamente grande il mondo emerge come un tutto dinamico, che non è razionale nel senso della scienza oggettiva, ma si comporta come un soggetto che è molteplice e uno al tempo stesso, in base ad un’interazione tra tutti gli elementi vivi dell’uno, o tra tutti gli elementi dell’uno, che sono vivi.

Ciò spinge Capra a cercare gli elementi di un paradigma diverso da quello che è stato elaborato da Galileo nel XVII secolo sino alla fine del XIX secolo, e che è tuttora dominante (benché in crisi almeno da Nietzsche a Wittgenstein, come a suo tempo ha spiegato Cacciari; o dall’empiriocriticismo in poi, contro cui invano Lenin scatenò la sua polemica da materialista oggettivo[7]).

La ricerca del nuovo paradigma scientifico, in certo modo scientifico soggettivo, postulante la nuova fisica è appunto alla base del Tao della fisica di Capra. Ma al tempo stesso Capra cerca la legittimazione del nuovo approccio in un nuovo paradigma, in base alla teoria in proposito di Sorokin, il quale riteneva che lungo la storia del sapiens si siano alternati e alternino diversi modi condivisi generalmente di pensare. Ora saremmo alla fine del paradigma o visione del mondo meccanicistica, iniziata più o meno da Galileo, che metteva fine a un ragionare per essenze che era durato da Aristotele a Leonardo (che in una fase relativamente recente Capra ha studiato a fondo[8]). Ciò accade perché il paradigma dominante sta producendo i guai – ecologici e non – che sono sotto gli occhi di tutti. Perciò Capra, in un’opera che per l’ecologismo, di ogni tendenza – neo-scientifico come spirituale – secondo me potrebbe avere la stessa importanza che il Capitale di Marx ebbe per il socialismo, Il punto di svolta (1982), notava: “La crisi presente, perciò, non è solo una crisi di individui, di governi o di istituti sociali, ma è una transizione di dimensioni planetarie. Come individui, come società, come civiltà e come ecosistema planetario, stiamo raggiungendo il punto di svolta.”[9] Ci si avvierebbe, a piccoli passi, ma irreversibilmente, verso un modello che concilia scientificità e spiritualità, vita sociale e vita comunitaria, istanze dell’Io e del Sé. Egli si studia anche di dimostrare che è così: tramite un libro estremamente accattivante, che è in sostanza una vasta inchiesta culturale, a base di interviste raccontate, basata su conversazioni con personaggi di ambiti diversi che per lui rappresentano orientamenti difformi – ma di alto profilo – dal modello dominante, nei diversi ambiti: dalla fisica all’economia, alla psichiatria e alla spiritualità: Verso una nuova saggezza. Conversazioni con Gregory Bateson, Indira Gandhi. Werner Heisenberg, Krishnamurti, Ronald David Laing, Ernst Schumacher, Alan Watts e altri personaggi straordinari (1988)[10].

Le conclusioni paradigmatiche sono due: una di tipo più teorico ed una sulle conseguenze politiche. Vengono tratte ne Il punto di svolta.

Per il primo aspetto osserva: “Nell’ordine stratificato della natura, la mente degli individui umani è inserita nella mente più vasta dei sistemi sociali ed ecologici, integrata a sua volta nel sistema mentale planetario – la mente di Gaia – la quale deve partecipare a una qualche sorta di mente universale o cosmica. La cornice concettuale del nuovo approccio sistemico non viene limitata in alcun modo associando questa mente cosmica all’idea tradizionale di Dio. Per usare la parola di Jantsch: ‘Dio non è il creatore, ma la mente dell’universo’.”[11] (Su ciò concordo).

Per il secondo aspetto nota: “I partiti democratico e repubblicano negli Stati Uniti, così come la Destra e la Sinistra tradizionali nella maggior parte dei paesi europei, (…) fanno parte tutti della cultura in declino e sono nel pieno di un processo di disintegrazione, I movimenti sociali degli anni sessanta e settanta rappresentano la cultura ascendente, che è pronta oggi al passaggio all’epoca solare. Mentre la trasformazione è in corso, la cultura declinante si rifiuta di mutare, aggrappandosi ancor più tenacemente alle sue idee superate; né le istituzioni sociali dominanti sono disposte a cedere i loro ruoli guida alle nuove forze culturali. Esse continueranno però inevitabilmente a declinare ed a disintegrarsi, mentre la cultura nascente continuerà a propagarsi, sino ad assumere a sua volta il ruolo di guida. All’approssimarsi del punto di svolta, la consapevolezza che attività politiche a breve termine non potranno impedire movimenti evolutivi di questa grandezza ci fornisce la speranza più forte per il futuro.”[12] Si tratta di un’ipotesi condivisibile, ma che, con un misto di gauchisme da ex hippie o “sessantottino” e di americanismo, è segnata pure da un eccesso di ottimismo, che scambia i fermenti di futuro per futuro necessario. Per contro l’ipotesi che la catastrofe della civiltà possa arrivare prima del punto di svolta va tenuta in campo, anche per mantenere, nella storia, il realismo sempre necessario a misurare le forze e possibilità di cambiamento.

Si capisce, a questo punto, perché uno dei primi libri-inchiesta sul movimento dei verdi, o Grünen, nascente in Germania nel 1979 fosse firmato, insieme Carolyne Spretnak, proprio da Capra (1984), subito presentato in italiano dal notevole verde italiano Alex Langer[13]

Il nascente movimento dei Grünen, in lizza dal 1979, nasceva e aveva successo dapprima in Germania per molti motivi. Lì era viva una grande tradizione romantico naturalista da Goethe a Schelling e oltre, che aveva lambito persino talune correnti del nazionalsocialismo. Inoltre la divisione della Germania tra Germania Ovest (liberaldemocratica e capitalistica) e Est (“comunista”), faceva sì che lì le campagne pacifiste e antinucleari fossero molto sentite perché un eventuale conflitto tra sovietici e americani si sarebbe giocato subito in quell’area (per così dire di prima linea). Dapprima il nuovo movimento disse che i Verdi non erano “né di destra né di sinistra, ma avanti”, anche perchè in essi coesistevano due anime: una ex sessantottina, ecologista pacifista e femminista, incarnata da Petra Kelly, ma pure da Carl Amery, e poi soprattutto da Rudolf Bahro; l’altra conservatrice, tendente a incarnare un’identità tedesca anti-americana (che considerava il modello dominante opposto a quello preteso “naturale” che ci sarebbe sempre stato prima degli yankee) , rappresentata dall’ex democristiano Herbert Grül. C’era una specie di contaminazione tra opposti radicalismi, poi saltata nel 1984.

Così Petra Kelly, che più oltre si sarebbe uccisa, all’inizio diceva: “Il femminismo e il potere della non violenza sono per me concetti essenziali della politica verde. Le rivoluzioni guidate dai maschi sono state assai spesso e molto tragicamente meri passaggi di potere in una struttura sostanzialmente inalterata (…). Queste rivoluzioni erano spesso basate sul concetto di morire per una causa; la trasformazione immaginata dal femminismo è basata semmai sul coraggio di vivere per una causa. ‘Pensare globalmente e agire localmente’ è uno dei motti dei Verdi e del movimento femminista in Europa. Femminismo e non violenza sono concetti che devono andare di pari passo …”.[14]

Lo stesso spirito si trova nel libro di Maren Grisebach La filosofia dei Verdi, in cui l’autrice diceva: “Noi abbiamo speranza nell’autodeterminazione e nell’autorealizzazione (espressione di ciò è il principio della democrazia di base), noi desideriamo l’appartenenza alla natura (da qui il principio dell’ecologia); i sentimenti di globalità e di appartenenza sorgono dal superamento della violenza … tra gli uomini e tra questi e la natura (da qui il nostro principio della non violenza); noi vogliamo fare del sogno e del mistero, della fantasia e della meditazione come pure del sentimento della parità di rango tra gli uomini (non dell’uguaglianza, ma della parità di valore), il nostro centro (principio del sociale). Tutte queste speranze potrebbero confluire in un nuovo senso della vita che ci appaghi. Esse potrebbero spingerci d’impulso verso nuove sponde della vita.”[15]

Dapprincipio la strana alleanza tra radicalismo di sinistra e antiamericanismo conservatore, che era pure alla base del non volersi dire né di destra né di sinistra, fece prevalere per alcuni anni una posizione fondamentalista, da taluni avversari considerata considerata neo-corporativa, da Rudolf Bahro e, con un approccio più libertario, da Carl Amery. Il fondamentalismo fu sconfitto al congresso di Amburgo nel1984, da un’ala di realos (realisti, riformisti), prevalsa sui fundis (fondamentalisti, o pretesi tali) grazie all’ex libertario Daniel Cohn Bendit, già protagonista del maggio francese del Sessantotto (poi deputato europeo verde dal 1999), e da Joshka Fischer, poi diventato ministro in Assia e più oltre ministro degli esteri della Germania. Essi imposero una linea più pragmatica e soprattutto aperta alle alleanze, specie con i socialdemocratici, ferma restando la ricerca di una via né marxista o socialista né neocapitalista o moderata, e gli altri ideali di cui si è detto. Tuttavia ai fondamentalisti parve la fine di una politica ambientalista basata sulla testimonianza, redentrice e prefiguratrice di una nuova vita secondo natura. Il leader fondamentalista Bahro, intervistato al momento della sconfitta da “Nuova Ecologia”, diceva: “Il cambiamento riformista è sempre l’ancora di salvataggio per coloro che vogliono evitare un rivolgimento radicale. Io dico invece: guardiamoci allo specchio, riconosciamo che anche noi siamo compartecipi della società della bomba (atomica), della diossina, degli esperimenti sugli animali. Anche noi usiamo un sacco di prodotti chimici, di plastica. Siamo tutti saldamente piantati in questa civiltà. La via d’uscita, quindi, è lo sviluppo di una nuova soggettività. Come successe nei monasteri medievali dove andò formandosi una nuova cultura dell’interiorità. Anche la formula cristiana ‘il mio Regno non è di questa Terra’ è politica. Solo, lo è in modo non convenzionale.” Sottolineava pure l’istanza dell’egemonia posta da Gramsci, per sottolineare che solo una rivoluzione culturale poteva rendere possibile una rivoluzione ecologista[16].

Su un terreno parzialmente simile, ma da posizioni libertarie, si poneva, tra i Grünen, l’elaborazione di Carl Amery – anche lui tra i fondatori – il quale riteneva che gli ecosistemi, nelle civiltà pregresse, fossero stati salvaguardati anche in base a credenze religiose diffuse, o comunque da una qualche idea profondamente sentita relativa alla presenza dello spirito nella natura, sino a notare, in: Natur als Politik (“Natura come politica”, del 1976): “Un rapporto con il mondo ecologicamente corretto, in tutto o in parte, con l’ambiente senza un reticolo interpretativo religioso (in un primo tempo magico, successivamente per metà pagano e per metà cristiano) non è mai esistito. Il mondo dei più vulnerabili, il mondo di piante e animali grandi e piccoli, era circondato, come in un involucro, da quelle potenze di cui si pensava, per delle buone ragioni, di dover avere timore.”[17]

Ma lo stesso geniale studioso di cibernetica, di psichiatria, antropologia, Gregory Bateson, in un’opera capitale come Verso un’ecologia della mente (1972), aveva affermato: “Abbiamo perduto il nocciolo del cristianesimo. Abbiamo perduto Siva, il dio danzante dell’Olimpo induista, la cui danza a livello banale è insieme creazione e distruzione, ma della totalità e bellezza. Abbiamo perduto Abraxas, il dio bello e terribile del giorno e della notte dello gnosticismo. Abbiamo perduto il totemismo, il senso del parallelismo tra l’organizzazione dell’uomo e quella degli animali e delle piante. Abbiamo perduto il Dio che muore. Stiamo cominciando a giocherellare con le idee dell’ecologia, e benché subito le degradiamo a commercio e politica, c’è se non altro ancora un impulso nel cuore degli uomini a unificare e quindi a santificare tutto il mondo naturale di cui siamo parte.”[18]

I Verdi sono dunque diventati “realos”, cioè riformisti. Ma non sembra che il nuovo approccio, di svelamento della spiritualità in noi stessi e in tutta la natura – da ripristinare nei suoi cicli tramite il passaggio sempre maggiore da energie non rinnovabili a energie rinnovabili, proteggendo la calotta di ozono intorno alla terra con emissione sempre minore di anidride carbonica, con difesa delle foreste, dieta sempre meno carnea o vegetariana, automobili elettriche, parchi protetti, ritorno a una vita rurale, bando ai pesticidi, rifiuto delle nuove centrali nucleari e chiusura delle vecchie, accordi internazionali come il protocollo di Kyoto del 1997 e altri, e così via – sia andato perduto: neanche nella coscienza dei verdi riformisti. Anzi, credo che si potrebbe oggi rileggere lo slogan discutibile degli inizi – “Noi non siamo né di destra né di sinistra: siamo avanti” così: “Noi non siamo né rivoluzionari né riformisti: siamo avanti”.

L’ipotesi, che ad esempio era stata alla base del mio libro del 2000 Il mito della nuova terra, che lo spirito rivoluzionario-riformista, prevalentemente repubblicano dal 1789 al 1848, e poi a poco a poco socialista e comunista sino al 1991, stesse diventando “verde”, in un contesto che finalmente metteva al primo posto l’esperienza diretta (il “pensare globalmente e agire localmente”) e la rivoluzione preventiva che scopre e riscopre la spiritualità nella nostra natura e nella natura, è andata molto avanti. Il Verde, anche se in Italia è un virgulto, potrebbe essere erede del Rosso, anche se sarà solo la storia a venire, e non noi a tavolino, a dirci se ciò avverrà in un contesto rosso-verde o verde-rosso, cioè nel quadro di un nuovo socialismo rinnovato tramite l’ambientalismo o tramite un ambientalismo in cui il vecchio socialismo, come già il repubblicanesimo nel socialismo, sia una variabile dipendente.

Colpisce, in tale quadro, la debolezza del “verde” in Italia, di cui nel mio libro avevo pure provato a fare la storia da Alex Langer a Grazia Francescato, per quanto incompleta.[19] In Italia le due culture forti dal 1945 sono state quella cattolico democratica e quella socialista-comunista. Lo spirito stesso del marxismo era più industrialista e “sviluppista” che verde. E i credenti in un Dio “trascendente”, che c’era prima della natura e ci sarà dopo, e che aveva un simile solo nell’uomo, signore del creato, non hanno mai avuto molta cura della natura, nonostante le tardive, seppure molto importanti e interessanti, teorie teologiche relativamente recenti di Moltman e, in campo cattolico, la bella enciclica ispirata allo straordinario “cantico” del suo santo di papa Francesco[20].

Inoltre qui i Verdi sono nati di fatto da due minoranze estreme, l’una radicale e l’altra di “Lotta continua”: e per ciò faticano a trovare un’identità forte, che li induca ad una vision non solo tematica, ma su tutti i problemi e con le necessarie alleanze: multilateralismo tematico e capacità di avere alleati che sono alla base della crescita dei Verdi, ora impetuosa – anche in una fase recente – in Francia e in Germania (che sono poi i paesi con cui ci confrontiamo in tutto – ricordiamocelo bene – almeno dal 1848 o comunque 1870 in poi: tanto che quando – nel contesto liberale e democratico – ci scostiamo troppo da uno di essi e soprattutto da entrambi abbiamo altissime probabilità di fare fesserie). In Italia però l’assenza di un partito verde rilevante è bilanciata da alcune associazioni ambientaliste importantissime e anche con molti aderenti motivati, come Legambiente (innanzitutto) e il WWF.

Il quadro non va considerato con vacuo ottimismo perché gli indizi di nuova cultura (non ridirò più quale) e nuovi movimenti nel mondo, sono sì assolutamente presenti, ma ancora del tutto minoritari, tanto che ad esempio una rivoluzione “verde” o rosso-verde non c’è stata da nessuna parte nel mondo, mentre in campo socialista già nel 1871 c’era stata, sia pure finita in un massacro, la Comune di Parigi. Inoltre nel mondo stiamo assistendo, a mio parere, al fenomeno assolutamente impressionante di una destra con basi di massa di tipo post-fascista, e però erede delle destre anteriori, che in pratica è già al potere in America, in Turchia, in Austria e in Ungheria, oltre che fortissima in Francia e in Italia. Il rischio è che i fermenti di rinascita “dall’altra parte”, come l’ambientalismo, restino torrenti invece di diventare fiumi o mari: e ciò proprio mentre il mondo è sempre più destabilizzato. Tuttavia bisogna seguitare, senza arrendersi alla facile “logica” delle ribollite del passato o, peggio ancora, dell’annullamento di ogni identità alternativa: evitando come la peste lo Scilla e Cariddi da un lato di un onanistico settarismo, di ogni gradazione e colore, sempre in agguato, e dall’altro di un microriformismo o trasformismo “di sinistra” altrettanto letale: due attitudini che, se non vinte, sono sempre indizio di disfatta sicura. Fa parte del tentativo di rispondere a tali aporie anche la ricerca di una nuova identità ideal-politica, che io credo debba essere psicologica e spirituale, autotrasformativa, cooperativistica, ambientalista, liberaldemocratica e molto attenta ai problemi di governabilità dello Stato e del sistema mondiale degli Stati. E così procedo cercando anch’io di portare la mia piccola pietra.

di Franco Livorsi

  1. T. ROSZAK, La nascita di una controcultura. Riflessioni sulla società tecnocratica e sull’opposizione giovanile (1969), Feltrinelli, 1971.
  2. G. SNYDER, Nel mondo selvaggio (1990), RED, Como, 1992, p. 35. Ma si vedano pure le pagine su Snyder nel mio libro Il mito della nuova terra, cit., p. 280 e seguenti.
  3. G. SNYDER, La Grana delle Cose, a cura di A. Cacòpardo, Gruppo Abele, Torino, p, 131, e F. LIVORSI, Il mito della nuova terra, cit., p. 281,
  4. A. NAESS, Ecosofia (1976), RED, Como, 1994. Ma si veda l’analisi su Naess nel mio Il mito della nuova terra, cit., p. 54 e pp. 288-297.
  5. A, NAESS, Ecosofia (1976), RED, Como, 1994. Vedi la mia analisi su Naess, ne Il mito della nuova terra, cit., pp. 288-297
  6. R. DELLA SETA, Capra Fritjof, in: R. DELLA SETA – D. GUASTINI, Dizionario del pensiero ecologico, Carocci, Roma, 2007, pp. 92-95.
  7. M. CACCIARI, Krisis. Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein, Feltrinelli, 1976.Si confronti con: LENIN, Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria (1909), Rinascita, Roma, 1953.
  8. F. CAPRA, La scienza universale. Arte e natura nel genio di Leonardo, Rizzoli, Milano, 2007.
  9. F. CAPRA, Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente (1982), Feltrinelli, Milano, 1984, ma poi 1994. Ma si veda la parte su Fritjof Capra nel mio libro Il mito della nuova terra, cit., pp. 297-318.
  10. F. CAPRA, Verso una nuova saggezza (1988), Feltrinelli, 1988 e poi 1994.
  11. F. CAPRA, Il punto di svolta, cit., p. 247.
  12. Ivi, pp. 345-346.
  13. F. CAPRA – C. SPRETNAK, La politica dei Verdi. Cultura e movimenti per cambiare il futuro dell’Europa e dell’America (1984), Feltrinelli, 1986.
  14. Si veda il testo, e una riflessione sui Verdi in Germania, in: F. LIVORSI, Il mito della nuova terra, cit., pp. 345.358
  15. Il testo di Maren Grisebach è citato in: AA.VV., Ecologia e politica. La questione ambientale nella repubblica Federale di Germania (1970-1990), a cura di Elia bosco, Angeli, Milano, 1992, pp. 45-46.
  16. R. BAHRO, Me ne vado da un partito ormai uguale agli altri, “La nuova ecologia”, a. VII, n. 18, settembre 1985, pp. 19-20 e F. LIVORSI, Il mito della nuova terra, cit,, pp. 351-353, che dà pure conto delle ulteriori posizioni, sempre più neo-religiose, di Bahro.
  17. Citato in: F. LIVORSI, Il mito della nuova terra, cit., p. 354.
  18. L’opera cit. di Bateson in italiano è stata edita da Adelphi a Milano nel 1976: la citazione è a p. 34. L’ho ripresa nel mio Il mito della nuova terra, cit., p. 355.
  19. F. LIVORSI, Il mito della nuova terra, cit., nel cap. “Il dramma dei verdi in italia”, pp. 359-440.
  20. J. MOLTMANN, Dio nella creazione. Dottrina ecologica della creazione (2007), a cura di G. Francesconi et al., Queriniana, Brescia, 2000. Ma infine si veda: Papa FRANCESCO (Jorge Mario Bergoglio), Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune, 18 giugno 2015, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 2015.

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