Filosofia del Socialismo

Piccolo dialogo con Giuseppe Rinaldi sulla religiosità in Hegel e Marx

Pubblicato 02/01/2020

Il mio articolo del 28 dicembre 2019Karl Marx e la religione come ‘oppio dei popoli’” è stato seguito da un post dell’amico Beppe Rinaldi, post cui è poi seguito uno scambio di mail tra noi. Ripropongo innanzitutto tali testi, a partire dal suo “post” scritto a caldo, saltando solo – nelle mail – qualche breve annotazione più personale, ma comunque citando tra virgolette le cose che ci eravamo dette. Nelle parti “mie” ho fatto pure qualche nota a pie’ di pagina, per rendere più comprensibile il testo anche ai non “addetti ai lavori”.

Parto dal “post” di Beppe Rinaldi:

“Caro Franco,

tu dici se ho capito bene che, dopo la fine del comunismo reale, cioè la fine del progetto di mondanizzazione della religione nella ideologia politica, si tratterebbe di ripercorrere la strada che porta dal mondo, ancora non redento, alla concezione hegeliana della religione, allo scopo di trovare il paradiso. Eravamo così stupidi che abbiamo creduto di abbandonare un falso paradiso allucinato per un paradiso vero, quello in terra, ma non abbiamo capito che il paradiso in terra sarebbe stato un inferno. Così si tratta di tornare a quel paradiso che avevamo gettato. Cioè tornare alla concezione hegeliana della religione.

Se mi permetti di risolvere la questione con una battuta, sarei tentato di dire che il comunismo reale non si è mai spostato dalla concezione hegeliana della religione. Anche Marx, che credeva di avere capovolto Hegel, è sempre stato un hegeliano, forse il più rilevante discepolo di Hegel.

Normalmente si ammette che Marx sia stato hegeliano in tante cose (la dialettica, la totalità, la fine della storia,…) ma non si accetta che sia rimasto hegeliano anche per quel che riguarda la religione.

Hegel ha sempre ritenuto, con la sua nozione dello Spirito, di connettere la dimensione sentimentale (della religione) con la dimensione razionale (della filosofia speculativa). Il risultato è l’impianto cabalistico dello Spirito che riassume tutto dentro di sé e mette in relazione i pezzi sparsi. Marx semplicemente ha sostituito allo Spirito hegeliano la società, ma la sua società è una società assolutamente analoga allo Spirito hegeliano, poiché è governata dalla dialettica del divenire …

La teoria dell’oppio dei popoli appartiene al tentativo di denunciare il fatto che la cultura (e la religione) sono sempre prodotti della classe dominante (come spiegheranno bene Marx e Engels nella Ideologia tedesca). Il fatto è che la società marxengelsiana e poi la società come presentata nella ideologia comunista si comporta esattamente come lo Spirito hegeliano. Al posto dei preti ci sta il Partito comunista. Il paradiso è il sole dell’avvenire.

Per essere breve, la visione della religione di Hegel era una visione totalitaria, tanto che il suo sistema è stato impiantato in termini totalitari. L’unico libero è lo Spirito. Notoriamente i tre pezzi del sistema corrispondono al Padre, Figlio e Spirito. Il totalitarismo è stato trapiantato nel marxismo e nel comunismo, e si è tentato di metterlo in pratica con i risultati di cui si sa.

Tornare a Hegel in termini religiosi non ci troveremmo in paradiso ma in un sistema oppressivo di tipo cabalistico e statolatrico.

Capisco che è difficile pensare la religione in termini non totalitari, ma qualcuno ci ha provato. Mi riferisco a talune filosofie dell’esistenza (anche se il rischio del totalitarismo è sempre dietro l’angolo, come nel caso di Heidegger).  Se vogliamo un “paradiso” non totalitario, l’ultimo cui possiamo appellarci è proprio Hegel.

Scusa la stringatezza e l’apoditticità, ovviamente le mie asserzioni andrebbero argomentate una per una … Spesso nelle nostre conversazioni abbiamo trattato analoghi argomenti e certo sai come la penso. Comunque il tuo contributo mi ha particolarmente interessato perché ho appena finito di leggere l’interessante libro di Magee sull’ermetismo nella filosofia hegeliana, che certo conosci.

Ciao,

Beppe Rinaldi”

Al post ho risposto con la seguente mail:

“Caro Beppe,

(…) non ti risponderò o ti risponderò in pochissime righe, come qui. Infatti il mio cenno al ripercorrere all’indietro, ma sapendo tutto quel che è venuto dopo, il cammino da oggi a Hegel (e Schelling), è un po’ più ricco e complesso della rappresentazione riduttiva sino all’”assurdo”, per usare un aggettivo gentile, che ne fai tu. (…)

Un accenno di due righe, come quello che io ho fatto alla fine del mio articolo per mettere l’acquolina in bocca ai lettori interessati al seguito, non è uno svolgimento (che naturalmente nel tuo sommario giudicare in cui trovo il lato oscuro del Sessantotto, tu dai per scontato). Questo svolgimento verrà, ma a poco a poco. In tanti e tanti altri pezzi. Non si può sempre dire tutto e subito. Sono già sin troppo didattico.

In ogni caso trovo strabiliante che tu sia fermo, contro tutto e tutti, alle povere cose che Popper diceva su Hegel e Marx  nel 1945[1]. Se Hegel interessa me, è soprattutto l’Hegel della filosofia della religione, che col totalitarismo, che per altro c’entra come i cavoli a merenda perché sino al 1917 non era neanche cominciato, ha ben poco a che vedere. E vederlo non solo antiveduto o in embrione, ma già tutto formato, è un procedimento deliberatamente chiuso allo spirito critico (sempre per usare un linguaggio garbato e cordiale). M’interessa molto anche quello [Hegel] della Logica [Scienza della logica[2]], ma su ciò ho ancora molto da lavorare.

Bisognerà aspettare i molti rivoli dello svolgimento, per quel che riguarda me! Fare il cammino all’indietro da noi a Hegel significa proprio tener conto, per Hegel come per Marx o Nietzsche, dei totalitarismi e del loro scacco, e di quel che è vivo in quei giganti del pensiero dopo i totalitarismi e dopo le dure repliche della storia. Vedendo “quel che è vivo e quel che è morto” in essi. Inoltre significa tornare a interrogarsi non già sui criminali soltanto – tipo Stalin, Hitler o Truman quando lanciò la bomba atomica  – ma sulla struttura concettuale da cui tutto partì in Hegel e Marx (“and Company”). Il resto è roba da propaganda da guerra fredda. E fai torto alla tua viva intelligenza a pascertene.

Ad esempio la caratteristica della sinistra hegeliana, di Marx e della Scuola di Francoforte è stata quella di pensare tutta la dialettica dal punto di vista dell’antitesi (e non del tendere alla sintesi persino quando si nega), cioè è stato un vedere la dialettica dal punto di vista dell’annientamento della datità (con orrori conseguiti a tale orgia della negazione del nemico). Come se la teoria hegeliana dello spirito assoluto non fosse stata formulata, o ridicolizzandola. Arte Religione e Filosofia[3] sono la chiave, ben più rilevante dell’oggettività dello Stato e della dimensione polemologica. Anche se io direi: Arte, Filosofia, Psicologia e Religione, ma sarebbe un discorso troppo lungo.

Mi sembra anche cieco, da parte di gente dotata di spirito critico come noi, non voler vedere che in Marx la dimensione centrale non è lo Stato, di cui giunto alla maturità, dalla fine  del 1845, quasi si fotteva, ma la “società civile” e anche la liberazione “della” e a partire “dalla” società civile.

Ma non m’illudo di convincerti perché non c’è nessuno più sordo di chi non vuole stare a sentire. Ciao

Franco”.

Rinaldi rispose:

“Caro Franco,

tenendo conto anche della tua ultima mail, ho capito perfettamente di averti involontariamente contrariato, cosa per cui mi scuso.

Evidentemente ho preso come un comune articolo di filosofia un testo che per te deve essere altra cosa.

Non posso tuttavia accettare quando dici: “Questo svolgimento verrà, ma a poco a poco. In tanti e tanti altri pezzi. Non si può sempre dire tutto e subito.” Ciò fa del tuo articolo un genere letterario sul tipo delle “rivelazioni” o delle opere ermetiche. Avrei dovuto sospettarlo, visto che la tesi è sostenuta nelle ultime tre o quattro righe, in maniera alquanto criptica. (…)

Nel merito, ti faccio solo osservare che è perfettamente lecito usare la categoria di totalitarismo anche all’indietro. Nella storia della filosofia lo si è fatto un sacco di volte, come quando ad esempio si parla dell’illuminismo greco – tanto per stare sui francofortesi. Non comprendo perché si può ben dire “dialettica dell’illuminismo” riferendosi ai greci e non si può dire “totalitarismo hegeliano”. Se non ti piace totalitarismo, potresti sostituire con “olismo”. Che la categoria della totalità fosse precipua del pensiero hegeliano e poi marxiano lo sostenne adeguatamente il giovane Lukács, che a quei tempi era un fervente hegeliano-marxiano.

Per farmi perdonare, ti mando in omaggio copia del libro che ti avevo citato e che ho letto da pochissimo, trovandolo davvero interessante, proprio sulle radici religiose del pensiero hegeliano. Tra l’altro si cita spesso anche Jung. Dovrebbe piacerti. Presumo che tu non lo conosca poiché non lo hai ripreso nella risposta. Se invece lo hai già letto, amen.

Magee è un serio e pignolo studioso della accademia americana. Per me, lo studio di Magee è la prova ulteriore del totalitarismo od “olismo” di Hegel, e del carattere barocco e vacuo del suo sistema, religione compresa; mentre senz’altro per te sarà la prova che Hegel sta meritatamente nella corrente di coloro che, attraverso i tempi, hanno visto la verità eterna, quella che esiste da sempre e che è celata ai più (a me per primo). Che possiamo farci? … viva la differenza!

Contraccambio sinceramente gli auguri di Buon anno,

sperando, in generale, in un anno più “filosofico”.

Ciao,

Beppe”.

Ecco la mia risposta-articolo. Prima di proporla, avverto comunque Rinaldi, o chiunque altro eventuale interlocutore, che intendo scrivere presto diversi altri articoli, su “dio” e il “paradiso da fare” in Marx e anche Hegel, nel caso in cui taluno avesse voglia di tornare a discutere (cosa che – lo si sarà ormai capito – io trovo sempre molto stimolante).

“Caro Beppe,

ho finito di non rispondere al tuo post in coda al post stesso, come mi ero proposto di fare. In fondo il tuo era un normalissimo, accettabilissimo e interessante “post” di tipo dottrinario. Sono io a dovermi scusare, se mi sono sentito “incompreso” (ché di questo si trattava).

Nel merito, però, non capisco come si possa anche solo ipoteticamente pensare quel che tu pensi su Hegel e soprattutto su Marx. La “società civile” come assetto totalitario dominato dal partito comunista … in Marx? Ma la “società civile” – il mondo del lavoro, l’economia – può essere confusa, in Marx, con la forma partito, che semmai attiene alla sfera dello Stato, per altro nel suo pensiero non tanto, o almeno altrettanto, rilevante? – Ma tu credi davvero a una roba così? – E poi quel discorso sulla rivelazione, di cui io sarei portatore o fautore. A volte mi chiedo come fai anche solo a pensare tali cose. Non posso certo lamentarmi per il fatto che tu la pensi come la pensi. Ma io dissento radicalmente.

Non voglio rivelare un bel niente e non ho mai neanche potuto sopportare gli iniziati, gli ermetici, i teosofi e compagnia bella: tipo René Guénon, Madame Helena Blavatsky o altri simili. Mi piacciono invece i mistici buddhisti, induisti e anche cristiani, ma non quella gente cui tu ti riferisci, che dalle visioni trae pretese filosofie o teorie sociali. Leggerò quel che mi hai mandato in allegato[4], con viva curiosità (e presto).

Comunque io ho un altro metodo di lavoro. Certo, se uno ha un intento “da storico” (anche del pensiero) deve conoscere tutto il conoscibile, se possibile nella lingua degli autori di cui si occupi. Ma il mio intento è meditativo, e filosofico “puro”, teoretico piuttosto che storico. Faccio dialogo e autodialogo e vedo quel che viene fuori, per me (avant tout) e per tutti quelli cui possa interessare. Nulla di più e nulla di meno. Ciò posto, per me contano le opere dei filosofi, e quei commenti scientifici che mi aiutino a capire quel che non è immediatamente comprensibile nelle opere stesse (almeno per me). Classici della storiografia su classici del pensiero e per capire questi classici del pensiero, anche in quel che in essi sia ostico: ecco il mio approccio. La cultura è sterminata e già fare questo lavoro essenziale richiede una vita. E ce ne vorrebbero anzi due o tre di vite (e da molti anni per me questo è bellissimo, fonte di gioia oltre che di consapevolezza). Ad esempio recentemente ho riletto, per la terza volta, il grande libro di Karl Löwith Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX [5], che era stato per me fondamentale già nel lontano 1961. Allora, tra i diciannove e i vent’anni, avevo lavorato in un giornale “indipendente” di Ferrara per circa un anno (La “Gazzetta Padana”), e avevo preso in prestito tanti libri della Biblioteca Estense, tra cui questo di Löwith, che mi aveva influenzato moltissimo. Ora sto leggendo, prendendo di nuovo un mare di appunti, l’opera di Jean Hyppolite sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel (che ben conosco)[6], e subito dopo leggerò la sua opera su logica ed esistenza in Hegel[7], in cui commenta la Scienza della logica di Hegel, anzi tutti i testi su ciò di Hegel, e per ciò stesso la sua dialettica, di cui intendo decifrare i mister, ipotizzando che ne valga la penai: poi tornerò a leggere la Scienza della logica di Hegel del 1812, detta la Grande Logica, lasciata interrotta da me a pag. 250 perché diversi passaggi non li capivo. Sono sicuro che dopo aver letto queste due opere di Hyppolite mi sarà più chiara la Scienza della logica e anche l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio di Hegel. Quest’ultima opera l’avevo portata all’orale del concorso di abilitazione all’insegnamento nelle superiori nel ’69, ma la voglio rileggere. Poi passerò a Schelling, da cui mi aspetto molto, da molti indizi: leggendo sia la sua Filosofia della mitologia che la sua tardiva Filosofia della rivelazione, aiutandomi con la Vita di Schelling di Xavier Tilliette[8]. Sul tavolo ho anche le Conversazioni con Goethe di Eckermann, vecchissimo libro del 1837, e non vedo l’ora di leggerlo[9]. L’idea di correre dietro a interpreti magari astrusi o criminalizzanti, che rafforzino i pregiudizi, manco mi sfiora. Leggerò pure quello che mi proponi, e presto, ma come “contorno”. Per me al centro stanno sempre gli scritti dei grandi autori che m’interessino e, nel mare magnum delle interpretazioni, le interpretazioni memorabili. Le altre interpretazioni, se stessi facendo lavoro “scientifico”, le vaglierei (quanto serva).

Non ho nessun Vero rivelato o da rivelare, come nel tuo scientismo sconfinato credi tu (e, lo confesso, un po’ mi spiace). Il discorso si chiarirà, come nei diversi tasselli o capitoli su un tema. In tal caso molto presto. Nessuna “rivelazione”, perché purtroppo nulla mi è stato rivelato, se non da me stesso. Concepisco questi miei ultimi, e prossimi, contributi come momenti di una sorta di Zibaldone filosofico e psicologico, funzionale a progetti più concreti, e anche importanti, su cui qui non mi soffermo. Per me questi articoli che vengo pubblicando qui dal 18 dicembre 2019 sono dei semilavorati; sono sonde e approssimazioni, ma importantissime nel mio lavoro. Esternandole cerco di diminuire un certo solipsismo della mia ricerca da decenni e decenni. Alla fine della mia vita, o meglio “dopo”, questi frammenti potranno essere riordinati, e magari sfrondati, o raccolti nell’ordine che suggerisco sempre nell’ultima nota ai “pezzi”, anche se immagino che nessuno lo farà mai. Tuttavia il provare a socializzare i “semilavorati”, oggi e domani, mi stimola, e mi sembra anche “giusto”.

Le ipotesi che mi muovono, sin da questi primi due “pezzi” del 18 e 28 dicembre 2019, sono sostanzialmente le seguenti.

I) Secondo me siamo nel bel mezzo di una crisi epocale che non ha uguali dal 1789, o addirittura dal 476, in poi. La crisi identitaria è rilevabile, a diversi livelli d’intensità, in tutti gli Stati minimamente importanti del mondo (almeno occidentale, ma sospetto che stia dilagando ovunque). Tutte le narrazioni nate tra Rivoluzione francese e 1945 (e poi durate ancora quaranta o cinquant’anni), salvo l’ecologismo (nato politicamente in Germania nel 1979), sono saltate per aria; e per ricostruire dobbiamo, tutti insieme, fare come fecero Hegel, Marx e anche Tocqueville e … Mazzini, e i loro compagni, tra l’epoca della Rivoluzione francese e soprattutto del crollo di Napoleone (1815) e il 1848: ossia dobbiamo ripensare e rifare “i fondamentali”. Dobbiamo farlo non perché ce lo dica un arcangelo in un orecchio, ma perché ora stiamo vagando in un deserto ormai senza bussola da molti anni, ed è pericoloso per tutti, perché seguitando troppo a lungo ciò potrebbe persino implicare catastrofi di grandi Stati o belliche in pochi decenni; e comunque, già così, tutto ciò è abbastanza disgustoso da vivere. Non credo che si tratti di un punto di arrivo (“liquido”), ma di una condizione epocale. In mancanza di nuove coordinate, ossia di bussola nel deserto, la gente in situazioni del genere attua sempre una sorta di “futurismo del passato”: si rifugia nelle più vecchie coordinate, già date per morte (con ritorno “nevrotico” del rimosso), coordinate “vecchie” ovviamente riadattare a nuovi contesti. In sostanza “la crisi del futuro riattualizza il passato” (dicevano Edgar Morin e Anne Brigitte Kern[10]). Donde i vari Putin (il Mussolini russo), Trump, Johnson, Erdogan, Orban e, last but not least, Salvini (il quale ultimo è preludio a chissà “che”, e “chi”, o a chissà quale metamorfosi di sé stesso, che nemmeno lui potrebbe sospettare). I “ritornanti” – senza una nuova “vision” – saranno invincibili; e non è neanche escluso che dopo il populismo democratico semplicemente di destra non arrivi altro di molto peggio, oggi impensabile.

II) Anche se la crisi epocale, mondiale e in specie italiana, è connessa da un lato a processi economici e tecnologici immani, come quelli della prima rivoluzione industriale e come la crisi del 1929, e dall’altro alla crisi di quasi tutti gli Stati che come sempre dovrebbero “governare” tali processi, e non lo possono perchè o non sanno o non possono rinnovarsi, il tutto non risulta affrontabile con la mentalità e con le fedi del passato. Per quella via sono possibili solo aggiustamenti, che danno un po’ di ossigeno al mezzo morto. Il vero fantasma che si aggirava già dopo il 1870 o dopo il 1898, o – come mi pare palmare “a posteriori” – almeno dopo il 1928-29[11], era il nichilismo: un nichilismo per un secolo – diciamo dal 1929 – mascherato come una bella troia diventata vecchia che tramite chirurgia plastica e profumi vari si presenti come una bella donna di mezza età. Su ciò per me è stato molto importante il libro di Franco Volpi Il nichilismo, ma mi attendo molto anche dalla Storia del nulla di Sergio Givone[12]. Questo nichilismo, in senso pure etimologico, ora è assoluto, tanto che chi non lo sia rischia di passare per fesso. Ogni forza politica e persona, a parte “paletti minimi” – come il non essere apertamente razzisti e non sciogliere i parlamenti, ma votarli – possono dire e fare tutto e il contrario di tutto. Vediamo un’immensa marmellata. I brodini liberaldemocratici con peperoncino progressista, che magari piacciono a te o sono il “meno peggio” pure per me, servono a consolare un poco gli incurabili, che – durando questa riduzione di tutto allo stato “gassoso” – sono destinati a finir male (e in Europa occidentale, tra i grandi paesi, noi italiani siamo sempre “l’avanguardia” dal 1500 in poi).

III) La crisi secondo me è in primo luogo morale e spirituale, e solo una nuova religiosità potrà contribuire in modo forte a risolverla. La faccenda non ha nulla di misteriosofico o mistico. Nel XVIII secolo, dopo la rivoluzione scientifica del XVII, con l’Illuminismo è iniziata la grande crisi del cristianesimo: crisi come sempre “double face” (enorme progresso ed enorme regresso). I saggi illuministi avevano capito che l’estinzione del cristianesimo avrebbe però creato grandi problemi. E anche i preromantici. Da Rousseau a Lessing. Per questo Voltaire diceva che se Dio non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Per questo erano deisti, sin da Newton (Dio “Grande Architetto” dell’universo). Per questo ci furono pure tentativi progressisti di creare una nuova religione. Persino la Massoneria (come dimostra anche uno studio dell’ex marxista di sinistra Gian Mario Cazzaniga) – setta che si pretende erede dei devoti a Iside “muratori” delle piramidi – è nata in Inghilterra nel 1717 ed è stata un tentativo del genere[13] (una nuova religione, poi rimasta ai margini). Montesquieu aveva detto che lo spirito che rende possibile la Repubblica è la virtù civica, come nell’antica Roma o a Ginevra[14]. Ma questa poggia da sempre sulla religiosità (guai a perdere i propri dèi, invece di trasformarli, anche se alla lunga è inevitabile). E infatti l’ultimo tentativo di Robespierre, la sua ultima battaglia, volta a dare una base alla virtù (etico-politica) fu la proposta di fondare una religione del cittadino, in cui Dio faceva un tutt’uno con la Natura, rendendo immortali, dopo la morte, i cittadini virtuosi per cui la legge sia sacra. Ma i rivoluzionari, ormai borghesi rifiniti, ricchi ed edonisti, che avevano vinto, dopo l’aristocrazia e il clero, i parrucconi stranieri con l’aiuto delle masse, gli risero in faccia e lo decapitarono.

Ora Hegel, che tu tratti non solo come “un cane morto” – e non va (diceva Marx nel Poscritto del 1873 al I libro del Capitale allora riedito[15]) – voleva sostanzialmente ripensare – da una posizione di conservatorismo illuminato – l’idea del nuovo dio post-cristiano già emersa nel deismo, nella massoneria e in Robespierre. E lo faceva con una profondità da nuovo Platone, inattingibile a tutti gli altri, e infatti tale che ha fatto scrivere migliaia di libri sino ai giorni nostri. Anche Hegel era un reinventore di Dio, ma immanente nell’uomo, e sotto l’uomo. Il Tom del mio articolo del 18 dicembre basato sulla citazione dal mio romanzo Kali Yuga[16] che commenta il “Padre nostro”, è in sostanza religioso alla Hegel “da sinistra” (come propendo a essere io). Hegel in sostanza – e a suo tempo lo spiegherò meglio – immanentizzava Sant’Agostino[17], ma per soddisfare l’istanza etico-religiosa che c’era già dal deismo illuminista sino a Robespierre. Il “Deus”, e anzi la “Veritas”, “in interiore homine”, di Agostino (De vera religione), diventa l’uomo. Egli non è più solo il luogo di “abitazione” di Dio come per Agostino, ma Dio alla prima radice e anzi tout court radice della nostra mente, in cui siamo l’infinito ed eterno e, in esso, tutti fratelli e cittadini. (L’intersoggettività è già in noi, cifra rivelativa del vero già per l’illuminista Kant, che pure non infinitizzava ancora la mente). Quel polo interiore – purché lo vogliamo e sappiamo vedere – dà un senso eterno e solidale alla nostra vita, che ne è costantemente attratta come il ferro dalla calamita, e il reale dal razionale). Il ritrovare Dio come nostra mente è necessario perché sin dalla fisica meccanicistica di Galileo, e persino sin dalle teorie politiche da Machiavelli in poi, il divino non può più essere posto, se non tramite un antropomorfismo ormai assurdo, come l’inventore della vita e della stessa politica, ma o si ritrova in esso o è in-credibile, o sempre più in-credibile. La nuova via tra l’altro rende la vita “tutta sacra”, oppure tutta arbitraria se l’Assoluto non sta neppure lì “dentro”, come arché, inizio, radice.

IV) Quando e perché è stato “spento” il tentativo di reinventare Dio e l’etica pubblica perseguito dal deismo sino a Hegel, persino nella sua forma non trascendente, ma immanentistica? E con quali conseguenze? E c’è rimedio?

Queste domande sono la base del mio interrogarmi filosofico nella mia quantomeno operosa vecchiaia. Il “quando” per me è iniziato più o meno con lo scacco dei giacobini e l’avvento del Termidoro. Bada che non sto ripetendo l’apologia dei giacobini di un importante testo teatral-televisivo di Federico Zardi del 1955, o anche di Mathiez (pur alzandomi in piedi sull’attenti al sentire tali nomi)[18]. So bene che quella giacobina era una dittatura, che tra l’altro aprì pure la breccia da cui poi passò il generale Bonaparte (ex giacobino), come Stato e rivoluzione di Lenin apre “suo malgrado” alla dittatura totalitaria di Stalin (anche se non era inevitabile né un decorso né l’altro, se non a posteriori, cioè solo come la bronchite se usciamo senza cappello e cappotto quando nevica). Sto solo dicendo che i saggi illuministi quasi sempre sapevano che non c’è Repubblica senza virtù né virtù senza religiosità, e che dato il carattere ormai scientificamente, filosoficamente e miticamente incredibile del cristianesimo si doveva mettere qualcosa di umano-divino al suo posto perché altrimenti il regno dei debosciati e degli assassini borghesi (e non), sarebbe arrivato. Hegel fa l’ultimo e più grandioso tentativo di riportare Dio nell’uomo, come sua prima radice, e di vedere il Regno di Dio intersoggettivo (pure kantiano) preformato in noi, come eterno nel tempo e viceversa, considerando per ciò sacra l’etica pubblica. Tu hai ragione a connettere Marx a Hegel (e con me sfondi una porta aperta), ma l’idea che la “società civile” apologizzata da Marx contenga già i preti rossi dello stalinismo è il controcanto delle assurdità ultraconservatrici o reazionarie di Luciano Pellicani[19]. E mi spiace che le pensi anche tu.

Ma perchè il tentativo di Hegel fallì? – Perché per battere la Reazione e il duro conservatorismo, tedesco ed europeo (ossia il muro marcio della Restaurazione), si doveva desacralizzare lo Stato, e scegliere la via ateistica sembrava la via più efficace, anche se essa liquidava l’idealismo. (Questo ho tra l’altro sostenuto nel mio articolo del 28 dicembre 2019).

Era già capitato da destra quando Robespierre fu decapitato e il dio denaro poté dispiegarsi in tutta la sua potenza, col Termidoro; e su scala europea era accaduto col positivismo specie dopo il 1848. La liquidazione della religiosità toglie la terra sotto i piedi alla destra, che santifica l’autorità pubblica; e il toglierle la terra sotto i piedi può andarci bene. Ma per soprammercato trasforma la sinistra in un fermento o corrente del capitalismo vittorioso (la integra, facendone persino qualcosa che gli è spesso, non sempre, molto utile).

Ora l’ipotesi che faccio io è appunto che seguendo quella via, ateistica e materialistica, e nichilistica più o meno imbellettata, i nostri cari rivoluzionari e riformisti (comunisti e socialdemocratici, uniti nel materialismo borghese, privato e di stato), da allora ai giorni nostri abbiano scacciato i demoni con l’aiuto di Belzebù principe dei demoni o, detto più laicamente, abbiano gettato via il bambino dell’apertura all’infinito e all’eterno “in interiore homine”, e “in interiore Natura”, con l’acqua sporca del duro conservatorismo o della reazione. Il “Dio è morto” di Nietzsche è il culmine e nuovo inizio dell’anticristianesimo, ateo e materialista (anche se Nietzsche comprese più di tutti che ciò avrebbe portato immani sciagure e provò poi a reintrodurre la fede nell’eternità tramite l’improbabile via dell’eterno ritorno).[20] Ad esempio io penso che stiamo distruggendo la Natura perché nel nostro materialismo ormai “normale”, persino tra i credenti alla camomilla residui, consideriamo la natura “senza Spirito”, ossia un mucchio di spazzatura, con cui tutto è permesso.

I rivoluzionari che non percepivano più dio nella mente dell’uomo in quanto tale (o/e nella Natura) considerarono poi sempre l’avversario come un nemico da far furi senza problemi, ma in ciò non furono da meno i conservatori e riformisti (tutti materialisti, sotterraneamente ormai nichilisti in senso etimologico), “liberali” e “democratici”, borghesi, il cui progresso passa tramite la distruzione di intere culture e genti arcaiche o resistenti ad esso, sino ai giorni nostri, e su genocidi, atomici o altro, non certo inferiori a quelli del totalitarismo di sinistra (anche se una rappresentazione del nemico degna di Tex Willer in lotta con Mefisto, pretesa liberale e democratica, ce lo vuole far dimenticare). Da ciò traggo l’idea che il nuovo pensiero, in sostanza post-nichilistico, debba riprendere necessariamente il bambino che era stato gettato via con l’acqua sporca del parto nel 1794 o nel 1841/1848 e persino col marxismo, e pure col riformismo, e col Sessantotto, per non dire del mondo in cui nessuno crede più in niente, salvo che in vaghe chiacchiere, per fortuna democratiche. Infatti oggi siamo al nichilismo allo stato puro, cioè visibile a occhio nudo in quel che oggi è senso comune e buon senso di tutte le parti in lotta, che sono fatte di poveri “diavoli” senz’anima (meglio perderli che trovarli) anche se è inevitabile averci un poco a che fare, perché bisogna pur vivere nel mondo, per sé e per gli altri.

C’era un’altra linea progressista che fosse o sia del genere che mi auguro io?

Ma certo. Ad esempio c’era Mazzini, su cui anni fa volevo fare un libro, e su cui raccolsi pure moltissimo materiale, ma poi non l’usai. C’era Mazzini, che è un pensatore politico, morale e religioso interessantissimo (nonostante taluni tratti di oratoria appassionata e talora retorica, identici a quelli che c’erano ancora nei discorsi di Sandro Pertini). E c’era, nel nostro secolo XX, Gandhi[21]. E c’erano Bergson, Teilhard de Chardin, Mounier e tanti altri tipi riformatori idealisti e spiritualisti.

E in Italia abbiamo avuto gente come Guido Calogero e Aldo Capitini, fondamentali per Giustizia e Libertà e il Partito d’Azione (ma Mazzini lo è stato anche lui per il liberalsocalismo). Tu dirai che non erano hegeliani. E invece questi italiani erano tutti idealisti, come del resto i liberali Benedetto Croce e Guido De Ruggiero[22]. Questi furono tutti idealisti in senso forte, caro mio. Giù giù tale linea per me arriva sino all’ecologismo di Fritjof Capra, di cui ho molto parlato nel mio libro del 2000 Il mito della nuova terra. Cultura, idee e problemi dell’ambientalismo[23].

Non c’è proprio nessun esoterismo da riprendere. Ma c’è da approfondire molto. E l’idealismo di Hegel è un buon punto di riflessione (forse con Schelling, che potrebbe essere altrettanto importante, ma su di lui debbo approfondire): non per tornare indietro, ma per andare avanti.

Ma cosa non ha funzionato quando, più o meno dal 1841 in poi, si è voluto superare Hegel?

Già ho detto della religiosità, che secondo l’idealismo hegeliano, ma tanto più schellinghiano e, alla fine, fichtiano, è per l’essere umano il tesoro di eternità già qui e ora, e qualsiasi cosa accada, per cui un uomo ha un valore IN-FI_NI_TO, e il nucleo del “Regno di Dio”, o meglio dell’Uomo in Dio e di Dio nell’uomo, anche da realizzare più o meno del tutto “di fuori”, ce l’ha già in se stesso, dal genio all’ultimo fesso, e neanche “il diavolo” glielo potrebbe togliere se lo sapesse.

Ora da Feuerbach e Marx in poi, più o meno dal 1841, questo tesoro d’infinità non solo non è più cercato oltre l’umano, nel trascendente (e va bene), ma è negato pure nella mente e nella natura (e va male). E da allora emerge pure la dialettica senza Spirito Assoluto (senza Arte Religione e Filosofia a monte del concretarsi di ciò, nello spazio e tempo, in tesi antitesi sintesi); emerge, più o meno dal 1841, la nuova dialettica, post-hegeliana, tutta incentrata sul Negativo, sul no, sull’antitesi, sulla guerra, e spesso sul proposito di annientamento del preteso male (annientamento da cui poi non viene neanche il preteso bene); è una dialettica “rinnovata” che dimentica un punto chiave in Hegel: che siccome l’armonia comprende i contrari, come l’eterno incorpora il tempo, e “Dio” o “l’uomo in dio”, ogni “logica” che non sia di annientamento dell’opposto, ma di ricerca della ricomposizione degli opposti”, si precipita nella barbarie. Come se o la guerra continua o la rivoluzione continua fossero la condizione normale. Per me, per contro, tutta la dialettica dell’armonia degli opposti, è da ripristinare. La vita umano-divina che ci è propria vale nel suo farsi, che deve sempre veder prevalere – persino nella lotta, se assolutamente indispensabile anche a morte – istanze permanenti di riconciliazione e di ricomposizione.

Tutto ciò implica certo categorie come la totalità, decisive per Hegel come per Marx, ma che non sottendono affatto il totalitarismo, bensì semplicemente la nostra compresenza nell’uno-tutto o, come diceva Capitini, nell’Uno-Tutti, cui ineriamo (per cui siamo sì alberi “nella” foresta, e Hegel spesso, ma non sempre, ha fatto male a negarlo o minimizzarlo), ma siamo pure alberi “della” foresta: elementi di un tutto correlato nelle parti “diverse” che lo compongono.Tutto qui.

Ecco quello su cui lavoro e medito. Di tale lavoro questi articoli sono solo frammenti, ma “per me”, o “in me”, importanti. In testa ho altro, se “il Non So Chi” mi darà qualche anno, ma queste elaborazioni sparse e incompiute – che dannunzianamente si potrebbero pure dire, nel mio piccolissimo ambito, “faville del maglio”[24] – in me e per me qualcosa contano. E spero anche per il mio prossimo.

Franco

  1. Riferimento a: K. POPPER, Miseria dello storicismo (1944/1945), Feltrinelli, Milano, 1985; La società aperta e i suoi nemici (1945), Armando, Roma, 1981. In tali opere Platone, Hegel e Marx sono considerati come fautori della società chiusa, intesa come un tutto organico e dominato da dogmi creduti o imposti da una casta pretesa illuminata, come sarebbe da sempre tipico di ogni totalitarismo. Popper scriveva sotto la forte impressione delle tragedie della seconda guerra mondiale.
  2. L’opera di G. W. F. HEGEL in questione, del 1812, a cura di A. Moni, comparve in italiano nel 1924-1925 e poi rivista nella traduzione e con Introduzione di C. Cesa, sempre presso Laterza, Roma-Bari, 1968, e Biblioteca Universale Laterza, 1978, in tre volumi.
  3. Hegel riteneva che lo Spirito assoluto, cioè l’infinità della mente allo stato puro, come comprensione diretta dell’infinità, e autocontemplazione della stessa, culmine di un lungo percorso, e però anche fonte originaria che cala nel reale, si esprima nell’Arte, nella Religione e nella Filosofia, ossia in un’attività totalmente intima della mente stessa. La sinistra hegeliana, come poi la Scuola di Francoforte nel Novecento, nega proprio questa dimensione d’infinità ed eternità primordiale e finale, che sta al di là dei contrari, e delle sintesi sempre temporanee, che pure alimenta. Su ciò il riferimento va naturalmente all’opus di HEGEL Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817, 1827 e infine 1830), a cura di B. Croce, Bari, Larerza, 1907.
  4. G. MAGEE, Hegel and the Hermetic Tradition, Cornell University Press, Ithaca (New York), 2001,
  5. L’opera comparve in tedesco nel 1949 e fu subito tradotta da Einaudi nel 1949. Suppongo che la copia da me studiata nel 1961 sia ancora là, con qualche “traccia”. Ho ora riletto l’opera nell’edizione del 1994.
  6. G. W. F. HEGEL, Fenomenologia dello Spirito (1807), a cura di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze, 1933, due volumi. L’op. cit. di J. HYPPOLITE è: Genesi e struttura della Fenomenologia dello Spirito di Hegel (1946), Introduzione di V. Cicero e tr. di G. A. De Toni, Bompiani, 2005.
  7. J. HYPPOLITE, Logica ed esistenza. Saggio sulla logica di Hegel (1953), Bompiani, 2017.
  8. F. W. J. SCHELLING, Filosofia della mitologia (1842), Mursia, Milano, 1999; Sui principi sommi. Filosofia della rivelazione (1841/1842), Bompiani, Milano, 2016. Ma si veda l’op. cit. di X. TILLIETTE, Bompiani, 2012.
  9. J. P. ECKERMANN, Conversazioni con Goethe negli ultimi anni della sua vita (1837), a cura di E. Ganni, Einaudi, Torino, 2008.
  10. E. MORIN – A. B. KERN, Terra-Patria (1993), Cortina, Milano, 1994.
  11. Allora in URSS la dittatura “robespierrista” fondata da Lenin divenne capitalismo burocratico “totalitario”, e in Germania fu “incubato” il nazismo. Il “ritorno del rimosso”, ma innovato in senso totalitario, in Russia, paese di antico dispotismo, fu l’hitlerismo, e in Germania, proseguendo in senso nuovo la politica guglielmina, l’hitlerismo. Ma entrambi erano già figli del vuoto di soluzioni armoniche innovative, ossia metamorfosi nichilistiche della propria “Idea”.
  12. F. VOLPI, Il nichilismo. Laterza, 2009. Ma si veda pure: S. GIVONE, Storia del nulla, ivi, 2006.
  13. S. HUTIN, Esoterismo, spiritismo e massoneria, Mondadori, Milano, 1994 (nell’ambito della Storia delle religioni a cura di C. Puech); G. M. CAZZANIGA, La catena d’unione. Contributi per una storia della massoneria, ETS, Milano, 2016.
  14. MONTESQUIEU, Spirito delle leggi (1748), a cura di S. Cotta, UTET, Torino, 2005, due volumi.
  15. Si veda: K. MARX, Il Capitale, I (1867, ma nell’ed. 1873), a cura di D. Cantimori, Editori Riuniti, Roma, 1962.
  16. F. LIVORSI, Kali Yuga. Il crepuscolo del nostro mondo, Moretti & Vitali, Bergamo, 2004; Piccola riflessione “eretica” su Gesù Cristo, Città Futura on-line”, 18 dicembre 2019.
  17. A. AGOSTINO , La vera religione (387/396), a c. di M. Vannini, Mursia, Milano, 1987, specie al cap. 39. Lì consiglia il credente di non voler uscire da sé stesso, ma di tornare in se stesso perché “in interiore homine” abita la Verità, cioè Dio, Ma Dio lì resta trascendente: “abita” nell’interiorità, non è l’interiorità, il pensiero. Invece per Hegel Dio è non già trascendente, ma immanente: è la mente umana alla prima radice, a tutti comune. Su ciò è fondamentale: Lezioni di Filosofia della religione, a cura di R. Garaventa e S. Achella, Guida, Napoli, 2001, due voll., da confrontare con: Lezioni sulla filosofia della religione, ed. a cura di G. Lasson e in it. di E. Oberti e G. Borruso, Laterza, 1983, tre voll.
  18. F. ZARDI, I giacobini (dramma teatrale del 1955, presto reso celebre dalla TV), Feltrinelli, Milano, 1958; A, MATHIEZ, La Rivoluzione francese, Einaudi, 1960 e Maximilien Robespierre, Erre Emme, Roma, 1989.
  19. L. PELLICANI, Secolarizzazione e rivoluzione: Marx e la morte di Dio, Istituto Suor Orsola Benincasa, Napoli, 1993; Marxismo e leninismo, Il Mulino, Bologna, 1971; Che cos’è il leninismo, SugarCo, Milano, 1978. Ho molto apprezzato, anche da comunista migliorista, la proposta di riforma dello Stato di Craxi, ma penso che il cosiddetto Vangelo socialista uscito sull’”Espresso” nel 1978, firmato da Craxi ma ispirato e in parte, piccola o grande, scritto da Pellicani sia stato uno dei grandi errori politici del leader, che esasperava i rapporti con i comunisti ed oltre a tutto criminalizzava tout court un marxismo che da Turati a Saragat e da Rodolfo Morandi a Nenni era stato tanto a lungo la cultura dei socialisti italiani.
  20. Il riferimento primario va a: F. NIETZSCHE, La gaia scienza (1882 e infine 1887), in “Opere complete” a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano, 1965, specie al libro III, par. 124-125, su cui dovrò certo tornare qui.
  21. GANDHI, Teoria e pratica della non-violenza, a cura di G. Pontara, Einaudi, 1973.G. MAZZINI, Scritti politici, a cura di T. Grandi e A. Comba, UTET, Torino, 1972; Scritti scelti, a cura di G. Santonastaso, 1941 e Morano, Napoli, 1974.
  22. Per l’idealismo liberale si vedano: B. CROCE, Ciò che è vivo e ciò che è morto nella filosofia di Hegel, Laterza, Bari, 1907; G. DE RUGGIERO, Storia del liberalismo europeo, Laterza, 1925. Ma si veda, poi, per il legame tra idealismo, Mazzini e il liberalsocialismo: N. ROSSELLI, Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), 1926 e poi Einaudi, 1967; Saggi sul Risorgimento, Einaudi, 1980. Per il legame tra idealismo attuale, nuova religiosità e liberalsocialismo: A. CAPITINI, Elementi di un’esperienza religiosa, Laterza, 1937; Saggio sul soggetto della storia, La Nuova Italia, Firenze, 1947; Il potere di tutti, con Introduzione di N. Bobbio, Guerra, Perugia, 1999; e, ancor più: G. CALOGERO, Difesa del liberalsocialismo con documenti inediti, Atletica, Roma, 1945; La democrazia al bivio e la terza via, Partito d’Azione, Roma, 1945; Filosofia del dialogo, Comunità, Milano, 1968.
  23. Giuffré, Milano, 2000.
  24. G. D’ANNUNZIO, Le faville del maglio (1924 e 1939), e a cura di A. Andreoli, Mondadori, Milano, 1995.

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