Alla canna del gas

Lo si diceva per chi era in difficoltà, per chi dopo fallimenti politici ed economici, si appoggiava a chiunque pur di sopravvivere e, in caso contrario, si attaccava “alla canna del gas”… per farla finita. Il “gas” come  un giustiziere a posteriori, di errori più o meno gravi, di nefandezze di ogni genere e tipo. Quasi un lavacro religioso che, a fronte dell’annichilimento, tutto perdona e tutto cancella. Bene. Ora la “canna del gas” è diventata altro, è diventata alta politica con interessi e amicizie di ieri che vengono interrotte senza nemmeno una mail, con protagonisti antichi (come la NATO e la Russia di Putin) e nuovi, in cerca di pubblicità e promozione. E’ un po’ quello che sta succedendo da circa un anno con il gas di provenienza russa. Fino a fine 2020 era operativo un “contratto di transito” attraverso l’Europa centrale con il grosso delle tubature di trasferimento in Ukraina. Prebende miliardarie per l’affitto dei passaggi, controlli, verifiche e revisioni legate più alle contingenze politiche che all’effettivo servizio prestato. A partire dal 2017 GazProm russa e tutti gli altri  che hanno costruito le loro fortune su idrocarburi e gas in particolare, hanno dovuto fare i conti con una nuova realtà, più subita che cercata: la crisi delle province ukraine di confine con la Russia. In ballo le solite questioni già viste cento volte (specie nella crisi ex-yugoslava degli anni Novanta): rapporto fra centro (Kyev) e periferie, grado di autonomia delle stesse, organizzazione dei servizi per i cittadini, di Sanità, Istruzione, Informazione, Cultura, finanziamenti alle Imprese (nuove o rinnovate dalle precedenti ex-sovietiche)  e alle nuove start – up. In alcune di queste province la maggioranza della popolazione non si sente ukraina e, chiaramente, ha nostalgia per la situazione precedente in cui il confine fra le due repubbliche sovietiche (quella russa e quella ukraina) era solo sulla carta. Famiglie miste, nessun particolare problema di spostamento per studio, affari o semplice turismo fra le due grandi realtà geografiche e, di fatto, una condizione di pace e tranquillità che mai ci si sarebbe sognati di interrompere. E, invece, il crollo dell’Unione Sovietica, la trasformazione prima in Comunità degli Stati Indipendenti e poi in Stati autonomi tout cour  ha fatto il resto. L’autonomia ukraina da Mosca, all’inizio, era caldeggiata soprattutto da una minoranza revanscista antisocialista che, piano piano , ha preso piede nella società del grande Stato dell’Europa Orientale, fino a impregnare del termine “autonomia” tutti i programmi dei vari nuovi partiti ukraini.  Una realtà complessa, quella di Kyev, che  vede nella Polonia di stampo walesiano e nei vicini Ungheresi (insieme alla stessa Unione Europea) poli di attrazione a cui fare riferimento. Interrompendo così una millenaria tradizione di collaborazione e di intrecci, difficili da dipanare, con la risorta nazione russa. In questo cambio di prospettiva si è inserita l’Alleanza Atlantica  e non solo. Fra i “piccoli nuovi protagonisti”  ve ne sono alcuni con ambizioni esplicite, come Turchia, Azerbaijan e la stessa Israele…. Ma andiamo per ordine.

E’ corretto ricordare che il presidente della repubblica di Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, ha incontrato il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, il 3 febbraio 2022, ufficialmente con l’intento di svolgere il ruolo di mediatore nella crisi in corso tra Kiev, Mosca e NATO. Una presenza sicuramente ingombrante, motivata però dalle centinaia di miliardi di scambi commerciali della Turchia erdoganiana sia con Russia che con Ukraina.  Passo che è andato ad aggiungersi a interessanti  movimenti strategici, tutti da analizzare, se proprio ci si vuol formare una competenza in materia…. Da ricordare, ad esempio, le cinque ore di incontro tra il presidente russo Putin e il “tisserand” francese Macron, il contemporaneo volo del nuovo premier tedesco  Scholz dal presidente  Biden. Un turbinio di incontri, di comunicati, di smentite, di rilanci che fanno gioco alla pressione della Nato sui confini russi e che, alla fine, spingono Putin a partecipare alle cerimonie olimpiche di Xi Jinping.  Ovviamente  con una funzione ben diversa dalla semplice empatia sportiva. In tutta questa buriana è particolarmente attiva la  Turchia, anche se (o , forse, proprio per quello…) in  crisi economica e con inflazione a due cifre abbondanti. Il governo turco, da una decina d’anni granitico come mai, pure in conseguenza delle progressive epurazioni di cui è stato oggetto, è protagonista a tutto campo, ben organizzato sia dal punto di vista della proposta tecnico.-militare che sotto il profilo diplomatico. Altrettanto importanteil fatto che il governo turco abbia preso posizione schierandosi dalla parte di quello ukraino quasi sin dall’inizio del conflitto, nel lontano 2004. Istanbul è particolarmente attiva nel sostenere  i tentativi di autonomia della popolazione tatara che si trova in Crimea e dopo dieci anni di scontri è passata sotto il controllo di Mosca. E’ abbastanza nota la tesi della sistematica discriminazione che la popolazione tatara subisce dagli abitanti russi presenti in zona. Popolazione tatara che, manco a dirlo, trova nella sua propria lingua (turcofona), nelle tradizioni, nella religione musulmana, più di un elemento comune alla repubblica erede di Ataturk. Ma non è finita qui. A conferma della “piega” tutta economica che è all’origine delle tensioni attuali. Attriti che stanno portando noi occidentali, e soprattutto noi italiani, letteralmente “alla canna del gas”.  Questa alleanza nei fatti a sud e a nord del Mar Nero ha portatao ad un percorso comune di avvicinamento all’ Unione Europea, a comportamenti simili nei confronti degli organismi dell’Onu, dell’Osce, la Blackseafor (1) e l’Operazione Black Sea Harmony (2) sono alcune realtà molto importanti in cui Kiev e Ankara si trovano alleate. Senz’altro un’eventuale guerra tra Russia e Ucraina danneggerebbe fortemente la Turchia prima di tutto in termini economici poi a livello politico: il paese è soffocato da una profonda crisi economica in corso dal 2018 e il rapporto commerciale che ha costruito il governo centrale con Mosca in questi ultimi dieci anni è enorme. Come già accennato i soli scambi con il vicino russo ammontano a 104 miliardi di dollari in media annui, mentre quelli con l’Ukraina superano di poco i 10 miliardi (2020). Ma la situazione è in continua evoluzione in tutta l’area.

Si è visto con che velocità, lo scorso autunno, sono stati ripristinati i rapporti politici, economici e militari con gli Emirati Arabi, lo Stato che era stato accusato da Ankara di essere uno dei promotori del fallito golpe turco del 2016. Fatto da mettere in relazione con la ricerca di gasdotti alernativi a quello gestito da GasProm, con attraversamento problematico dell’Ukraina e non solo. Sono giorni, infatti,  che il governo di Ankara dedica spazio e tempo alla diplomazia per capire se il gas azero (3), qatariota (4) o addirittura quello israeliano può essere portato in Turchia e rivenduto ai paesi europei.

Sempre della serie…”ah…se l’avessi saputo”… nel mese di gennaio, Kadri Simson, Commissaria europea per l’Energia, aveva annunciato che la Commissione stava sondando anche Baku per valutare l’opzione del gas azero. Si tratta del famoso Corridoio meridionale del gas (conosciuto come Tap Tanap) che attraversa tutto il territorio della Turchia per concludere il suo flusso in Salento. Una seconda opzione sarebbe il gas israeliano. Infatti nella sua visita in Albania il presidente della repubblica di Turchia Erdoğan (sempre lui)   aveva parlato di quest’opzione, rilasciando quest’affermazione:  “Non si può portare il gas israeliano senza coinvolgere la Turchia”. Lo stesso tema è stato riproposto dallo stesso presidente anche al rientro in Turchia dopo la visita in Ukraina: “Nel mese di marzo (2022) il presidente israeliano Herzog sarà in Turchia, parleremo dell’idea di portare il gas israeliano in Turchia. Dopo averne usato per la nostra necessità nazionale siamo disposti a rivenderlo all’Europa”.  E’ un po’ più chiara, ora, la situazione? Si sono capite le reali poste in gioco che si stanno confrontando sul tavolo ukraino? La conseguenza, per noi, è una penuria di gas con conseguente aumento dei prezzi. Ma in realtà il confronto è su chi dovrà fornire quello stesso gas nei prossimi trenta-quarant’anni. Dei problemi nostri, delle nostre  reazioni (alla “canna del gas” o, se in condizioni di farlo, le semplici “spallucce”) non incala nulla a nessuno. Anche questo un risultato di come, realmente, conti poco la nostra cara Europa.

.1.- Lo scopo originale di BLACKSEAFOR era “promuovere in modo cooperativo la sicurezza e la stabilità nell’area marittima del Mar Nero e oltre, rafforzare l’amicizia e le relazioni di buon vicinato tra gli Stati regionali e aumentare l’interoperabilità tra le forze navali di quegli Stati”.[Il BLACKSEAFOR ha condotto diverse esercitazioni navali congiunte sin dalla sua formazione, tuttavia è stato sospeso più volte.  La guerra russo-georgiana del 2008 ha portato la Georgia a sospendere il suo coinvolgimento nelle esercitazioni del Mar Nero e la Russia a rifiutarsi di prendere parte alle esercitazioni che coinvolgono la Georgia.  Il partenariato è stato effettivamente sospeso nel 2014 a seguito di disordini in Ucraina. Nel 2015, dopo che un aereo russo è stato abbattuto dalle forze turche, la Russia ha sospeso la sua adesione a BLACKSEAFOR.

.2. Black Sea Harmony è un’operazione navale avviata dalla Turchia nel marzo 2004 in conformità con le risoluzioni 1373, 1540 e 1566 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite volte a scoraggiare il terrorismo e le minacce asimmetriche nel Mar Nero. È simile all’operazione Active Endeavour nel Mediterraneo guidata dalla NATO e mira anche a garantire la sicurezza dello Stretto di Turchia. Sebbene originariamente fosse un’operazione nazionale, Black Sea Harmony è diventata multinazionale con la partecipazione di altri stati costieri del Mar Nero. La Turchia ha esteso gli inviti a ciascuno stato litorale ad aderire all’armonia del Mar Nero. La sede permanente dell’Operazione Black Sea Harmony si trova a Eregli, sulla costa turca del Mar Nero. Una volta che l’operazione divenne multinazionale, altri Stati litoranei poterono inviare Ufficiali di collegamento a Eregli.

Nel 2006 la Russia ha aderito ufficialmente all’iniziativa Black Sea Harmony per affrontare le nuove sfide alla sicurezza nella regione. Il 17 gennaio 2007 è stato firmato ad Ankara un protocollo sullo scambio di informazioni sulla partecipazione dell’Ucraina. Ufficialmente ancora valido oggi.

.3. Azeri-Chirag-Gunashli “ACG”  è un complesso di giacimenti petroliferi nel Mar Caspio, a circa 120 chilometri (75 miglia) dalla costa dell’Azerbaigian. Consiste di giacimenti petroliferi Azeri e Chirag e nella parte più profonda del giacimento petrolifero di Gunashli. Una superficie complessiva stimata di sviluppo è 432,4 chilometri quadrati (167,0 miglia quadrati). È sviluppato dalla società operativa internazionale dell’Azerbaigian, un consorzio di compagnie petrolifere internazionali, e gestito dalla BP per conto del consorzio. I giacimenti ACG hanno stimato riserve recuperabili di circa 5-6 miliardi di barili (da 790 a 950 milioni di metri cubi) di petrolio. A partire dalla fine del 2005, il tasso di produzione di otto pozzi pre-perforati alla piattaforma era di circa 240.000 barili al giorno (38.000 m³ / d).

.4. L’industria del petrolio in Qatar ha un peso relativamente modesto rispetto a quella del gas, pur rappresentando una fonte significativa di entrate per il Paese. I forti investimenti effettuati negli ultimi anni in questo settore hanno portato la produzione di petrolio del Qatar a oltre 1,46 milioni di barili al giorno (dato del 2019). Le riserve petrolifere del Qatar ammontano a circa 26 miliardi di barili (2% circa delle riserve mondiali). L’area totale di prospezione petrolifera, onshore e offshore, è divisa in 18 blocchi e copre una superficie di 46.840 km2 (circa 4 volte l’intera superficie emersa del Qatar).Il Qatar dispone di due raffinerie localizzate a Umm Said (80.000 barili/giorno) e Ras Laffan (146.000 b/g). Il Paese è il terzo produttore mondiale di gas naturale (dopo USA, Russia e Iran) e il primo esportatore di gas naturale liquefatto (GNL). Il giacimento North Dome Gas Field è considerato il terzo al mondo (dopo Russia e Iran) per riserve di gas naturale accertate, pari a 896.000 miliardi di piedi cubi di gas naturale equivalenti a 24.500 miliardi di metri cubi (14% circa delle riserve globali).
Il giacimento è ubicato nel bacino del Fars Arch, che si estende a nord oltre i confini marittimi con l’Iran, risulta contiguo al grande giacimento iraniano di gas di South Pars. Il Qatar produce circa 177,2 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno (di cui 123 miliardi di cu.m. vengono esportati). Il Qatar esporta circa l’85% del GTL (60% verso l’Asia e 30% verso l’Europa). 

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