Israele non è solo Netanyahu.

Non sono mai riuscito ad entrare in Israele e non ho mai avuto la possibilità di vedere/toccare direttamente la condizione vera di vita di israeliani di ogni provenienza e tipo, di arabi residenti o “lavoratori periodici”, nemmeno delle particolari situazioni economiche e sociali che vive giornalmente ogni micro/macro comunità. Ci sono andato vicino più volte…prima negli anni Ottanta dello scorso secolo, poi poco prima della mannaia Covid. Prima al ponte sul Litani, una fiumara calabra più che un fiume, al confine con il Libano, poi al ponte Allenby sulla strada per Amman e infine al monte Haarman (Hermon) dalla parte siriana. L’ultimo passaggio grazie alla spedizione del 2018 a Qamislo e Qobane. Niente da fare…passaporto in regola, certificazione dell’Ordine dei Giornalisti della Subalpina, pass vari del ministero degli Esteri…”nisba” … Non era possibile passare se non attendendo lunghi controlli (di almeno sei ore), che avrebbero coinvolto ambasciate, consolati, commissariati di polizia vari eccetera. Un “vulnus” che, prima o poi, colmerò con una visita agli amici sinceri dell’associazione “+972” (1) a cui devo l’opportunità di avere questo materiale di assoluta importanza.

Si tratta di una intervista a Menachem Klein, professore di scienze politiche all’Università Bar Ilan (2), già consigliere della delegazione israeliana nei negoziati con l’OLP nel 2000 e uno dei leader dell’Iniziativa di Ginevra.  Molto critico verso Netanyahu, i suoi ultimi governi e, soprattutto, nei confronti nell’ultima “compagine emergenziale” che vede, comunque, sempre lui al timone. Parole dure, nette, frutto dell’esperienza e della convivenza giornaliera con la percezione dell’esistenza di decine di idee di Israele che, in modo particolare nelle grandi città, convivono e cercano di convincersi reciprocamente.

C’è chi come il prof. Klein, incarna la tradizione ebraica moderna attenta al sociale, ben conscia del male assoluto dell’Olocausto e della necessità di un inserimento del mondo ebraico (religioso e laico) nella normalità dei fatti del mondo, poi – a scalare – ci sono i gruppi che rappresentano più strettamente gli interessi economici mondiali, ancora parzialmente condizionati dalla potenza finanziaria e commerciale di molte famiglie e gruppi di origine ebraica. infine tutti coloro i quali vorrebbero fare di Israele uno Stato confessionale (con uno stretto legame con l’osservanza religiosa e le regole costituzionali a venire (3)) o uno Stato moderno con poteri forti collegati ad una oligarchia militare o pseudomilitare, meno interessata all’aspetto religioso ma molto attenta al “peso relativo” da conquistare e mantenere al pari delle grandi potenze mondiali. Questione nucleare compresa. Un quadro con chiaro-scuri continui, dove spesso prevalgono più le provenienze familiari di padri e nonni, lingue comprese, che il faticoso esercizio dell’ascolto, della comprensione e della costruzione di un sentire comune. Si avverte nettamente questa tristezza di fondo nelle parole di Menachem Klein che vorrebbe un altro Israele e vede, invece, prevalere chiusura e, a volte, odio.

……

.dom. Professore nel suo articolo “Il gabinetto di guerra israeliano non ha imparato nulla dai suoi fallimenti”(4) risulta che i leaders che hanno supervisionato la politica israeliana a Gaza per 15 anni non sono ora in grado di abbandonare le idee errate crollate il 7 ottobre. Ci può chiarire il concetto?

Nel 1991, i neoconservatori americani – molti dei quali sarebbero entrati a far parte dell’amministrazione di George W. Bush due decenni dopo – erano insoddisfatti del fatto che la Guerra del Golfo si fosse conclusa semplicemente con la liberazione del Kuwait dall’occupazione irachena. Ciò che realmente volevano era rovesciare il presidente Saddam Hussein e il suo partito Ba’ath, sostenendo che era necessario instaurare in Iraq un regime democratico e favorevole all’Occidente. Questa “agenda incompiuta” ha giocato un ruolo importante nella decisione di invadere l’Iraq nel 2003 nel quadro della c.d. “Guerra al terrorismo”. Gli Stati Uniti hanno schiacciato l’establishment  Ba’ath, ma così facendo hanno distrutto il Paese. Il tentativo di costruire una coalizione interpartitica in Iraq è fallito. La superpotenza globale si è piegata. Sembra che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden abbia cercato di instillare questa amara esperienza nell’establishment israeliano durante la sua recente visita a Tel Aviv la scorsa settimana. Biden ha abbracciato Israele con calore e sincera ammirazione, chiedendogli però di pensare/agire in modo ragionevole. È stato l’incontro di un presidente più anziano, esperto e preoccupato con un Paese traumatizzato e, soprattutto, a contatto diretto con  la sua leadership frenetica. E sebbene i presidenti  si siano abbracciati pubblicamente, nella sala riunioni del “gabinetto di guerra”, ha posto ai leader israeliani domande difficili e complesse riguardo a ciò che gli israeliani cercano di ottenere con l’ultima guerra nella Striscia di Gaza.

.dom. Quindi , secondo Lei, cosa dobbiamo aspettarci…?

Le dichiarazioni del primo ministro Benjamin Netanyahu, del ministro della Difesa Yoav Gallant e del capo di stato maggiore dell’IDF Herzi Halevi su una guerra che “richiederà mesi”, “cambierà il Medio Oriente per sempre” e “distruggerà Hamas” non dovrebbero essere interpretate come vuota retorica da leader esposti nella loro nudità, ma piuttosto come un preciso “piano d’azione”. Il loro piano mira a “ripristinare la deterrenza”, cercando anche di salvare il loro prestigio personale e di rinviare il loro licenziamento dall’incarico, che molti in Israele chiedono – ora più che mai – alla luce dei colossali fallimenti che hanno permesso l’assalto mortale di Hamas nello scorso 7 ottobre.

.dom. E come potrebbe essere questo “piano d’azione”?

Anche se lo desiderasse, la leadership israeliana non può realizzare la deportazione di massa della popolazione palestinese di Gaza in Egitto (in parte perché il Cairo stesso ha categoricamente respinto l’idea), né può annientare i due milioni di palestinesi della Striscia.  Tuttavia, il gabinetto di guerra è composto da politici e generali responsabili della formulazione e della gestione delle politiche fallimentari di Israele nei confronti dei palestinesi negli ultimi 15 anni. E anche se il loro approccio “è crollato” il 7 ottobre, e nonostante gli avvertimenti di Biden, sembra che non proporranno alcun nuovo percorso.

.dom. E in dettaglio cosa succederà per Gaza a fine operazioni?

Fino al 7 ottobre, la politica di Israele si basava sull’idea di creare un unico regime tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, governato dalla supremazia ebraico-israeliana, separando i palestinesi in diversi gruppi. Sempre guidate da questo principio, le autorità israeliane cercheranno probabilmente di indebolire l’establishment di Hamas , cercando di uccidere molti membri del movimento, poiché – secondo Netanyahu – sono “nazisti”. Israele potrebbe scegliere di farlo suddividendo la Striscia di Gaza; invece di una grande prigione, nella quale Israele ha tenuto due milioni di palestinesi dal 2007, costruirà diverse celle più piccole. Utilizzando la sua tecnologia e i suoi sistemi di sorveglianza, potrebbe quindi identificare gli agenti di Hamas attraverso informazioni biometriche, fotografie, informazioni provenienti da collaboratori e interrogatori di prigionieri. Inizialmente, Israele cercherà di attuare questa politica nel nord della Striscia di Gaza. Nella fascia meridionale, dove l’esercito ha ordinato ai residenti del nord di muoversi, Israele potrebbe prendere di mira i membri di Hamas in modo più specifico. A quanto pare il governo spera che gli ostaggi israeliani siano trattenuti nel nord e di riuscire a raggiungerne la maggior parte vivi. Questa parte del piano sembra, però più un augurio che altro. Oltre al massiccio trasferimento forzato di popolazione, Israele dovrà andare di casa in casa nel nord di Gaza, imponendo il coprifuoco in alcune aree. Questo sarà probabilmente il suo metodo per trovare membri di Hamas con perdite minime per le forze israeliane. Anche se il confronto con Hezbollah in Libano rimane limitato al confine settentrionale di Israele, questo tipo di intervento a Gaza richiederà sicuramente mesi.

È probabile che si sviluppi una guerra di logoramento nella Striscia settentrionale, e non è chiaro se gli israeliani evacuati dalla regione di confine di Gaza saranno in grado di tornare alle loro case. Alla fine Israele dovrebbe assumere la gestione del nord di Gaza. La striscia meridionale, a quanto pare Israele spera, sarà gestita da un organismo internazionale composto da membri del Qatar, dell’Egitto, delle Nazioni Unite e di altre agenzie umanitarie internazionali.  Ci si può aspettare che il governo nazional-religioso di Israele spinga per l’istituzione  degli insediamenti nel nord della Striscia di Gaza, apparentemente per “ragioni di sicurezza”, cioè di controllo. Ma ogni giorno che Israele imporrà quest’ordine, genererà resistenza. Questo è ciò che abbiamo visto in Libano. Nei primi giorni dell’invasione israeliana del 1982, alcuni residenti libanesi accolsero l’esercito con chicchi di riso. Non ci sarà tale accoglienza a Gaza; i residenti palestinesi assediati non hanno nemmeno riso da spendere.

.dom. Quindi, secondo Lei, si tratta di una illusione, oltretutto fuorviante e pericolosa…

Si prevede che l’invasione di terra israeliana sarà condotta con grande forza, con un gran numero di soldati e carri armati in cerca di vendetta su un piccolo campo di battaglia. Le forze armate di Hamas non avranno nulla da perdere, ma altri elementi potrebbero unirsi alla resistenza contro Israele. Non sarà né facile né veloce. Con l’aumento del numero delle vittime israeliane e palestinesi, aumenteranno le critiche pubbliche nel Paese e, di conseguenza, si allargheranno le divisioni politiche interne.Ma una netta divisione interna è rappresentata dallo spazio vitale di Netanyahu e dei suoi simili. Il primo ministro e i suoi seguaci intensificheranno il loro incitamento e, con il pretesto di uno stato di emergenza, potrebbero minare ulteriormente la debole democrazia che esiste oggi. Ne stiamo già vedendo segni nei media e nel mondo accademico, nonché nella persecuzione dei cittadini palestinesi di Israele. E con l’aumento del numero delle vittime civili palestinesi, aumenteranno anche le critiche internazionali, così come aumenteranno le pressioni sui capi di stato occidentali affinché fermino Israele.

Le detenzioni “preventive” in Cisgiordania di decine di palestinesi che Israele definisce membri di Hamas indicano che Israele teme la resistenza anche in Cisgiordania.  D’altra parte i coloni armati si stanno già scontrando con i palestinesi e questi scontri potrebbero solo intensificarsi. L’Autorità Palestinese è debole, poco organizzata  e illegittima agli occhi dei suoi residenti; le possibilità che accetti o sia in grado di governare parte o tutta la Striscia di Gaza sotto gli auspici israeliani sono nulle.

Israele potrebbe anche non accettare una presenza simbolica dell’Autorità Palestinese a Gaza, poiché ciò minerebbe la politica di separazione che Israele porta avanti da decenni. In alternativa, Israele potrebbe cercare collaboratori palestinesi locali, simili alle “Leghe dei villaggi” che Israele cercò di istituire in Cisgiordania negli anni ’70 per contrastare l’OLP.

.dom. Nel suo articolo fa una affermazione forte: “Basta con i signori della guerra. C’è un altro modo”.  Ma questo “altro modo” esiste?

Ma questi sforzi non sono durati e, in ogni caso, c’è una grande differenza tra i villaggi della Cisgiordania, solo alcuni dei quali sono abitati da rifugiati, e la Striscia di Gaza, i cui residenti sono rifugiati del 1948 (o i loro discendenti). Ricordiamoci che Hamas non ha nulla a che fare con l’Isis, come Israele cerca di dipingerlo. Hamas è un movimento nazional-religioso che resiste attivamente all’occupazione e sostiene il ritorno dei rifugiati del 1948. Hamas non è solo un’istituzione autoritaria; rappresenta un’identità e una causa.

L’ipotesi che la maggior parte dei residenti di Gaza voglia solo tranquillità e benessere, e che accetteranno un regime imposto da Israele sotto forma di autonomia limitata, è un’illusione. Il gabinetto di guerra e i suoi portavoce non sono in grado di liberarsi dalla politica errata che li ha guidati fino al 7 ottobre, e cercheranno quindi di ripristinarla. Farebbero bene a imparare dagli errori dell’America.

di Menachem Klein 26 ottobre 2023 (5)

….

Poco da aggiungere. Oltre ad un evidente problema di fondamentalismo islamico venato di estremismi di vario  tipo (quasi post brigatista dei Fratelli Musulmani, di Hamas, degli Hezbollah filo iraniani, degli Huthi yemeniti e di cento altre formazioni nate dalla fine del colonialismo in qua nell’enorme area di influenza religiosa islamica, c’una “questione Israele” troppo spesso dimenticata. Israele ha bisogno di attenzione, non è un monumento ai caduti della Shoah, si basa soprattutto su quello ma deve andare avanti. Il passaggio dai numeri di israeliani che votavano per partiti democratici e socialisti ai tempi di Golda Meyr eLevy Schol non ci sono più . Prima rasentavano la maggioranza assoluta. ora sono ridotti al cinquesei per cento dei votanti. L’astensionismo è a livelli italici e la disaffezione dalla politica pure. Sperare che le cose si aggiustino da sole….come dimostrato dagli avvenimenti degli ultimi vent’anni, non solo è sbagliato, ma pericoloso per tutti, noi compresi.  Ricordiamocelo.

.1.

+972 Magazine was started in 2010 by a group of longtime Israeli and Palestinian journalists who, following the 2008-2009 Gaza War, felt that the English-language conversation on Israel-Palestine wasn’t accurately reflecting the reality on the ground. So, with their own money, they built their own platform.

The site began as an all-volunteer blogger collective, but quickly grew into a professionally edited hub of reporting and analysis that helped shift the discourse on Israel-Palestine, puts the occupation front-and-center, highlights various grassroots political and social struggles, and elevates voices and perspectives that simply aren’t being heard anywhere else.

We built a unique brand of journalism in Israel-Palestine, with our original group of writers combining credibility with their personal commitment to many of the causes they were writing about. Our reporting has turned local struggles against the occupation into international news, moved previously taboo conversations onto mainstream opinion pages, and our writers and experts are constantly called upon to provide analysis on current events.

Today, +972 Magazine is run by a full-time team of editors who publish work from a growing group of reporters and analysts. Since August 2011, +972 Magazine has been published by a registered non-profit called “972 – Advancement of Citizen Journalism,” which was founded by a collective of Israeli and Palestinian journalists. Since 2014, the same non-profit has, together with Just Vision, also co-published the Hebrew-language site Local Call (or Sikha Mekomit).

.2. https://www.biu.ac.il/en   Sito della Bar Ilan University. Israel.

.3. https://scholarship.law.slu.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2226&context=lj     Sulle motivazioni di una assenza, di fatto, di una carta costituzionale: “...Because of constant threats to Israel’s security, Israel adopted Emergency Regulations and considered itself in a state of emergency, conditions that
complicated the drafting and adoption of a formal Constitution. In addition, the religious community viewed the Torah, or Jewish law, as paramount and thus the notion of a supreme law embodied by the Constitution threatened to offend this segment of the population. “

.4. Titolo orginale “Israel’s war cabinet has learned nothing from its failures . The leaders who oversaw Israel’s Gaza policy for 15 years are incapable of abandoning the erroneous ideas that collapsed on October  7”.  Una versione di questo articolo è stata pubblicata per la prima volta in ebraico su Local Call. Consultabile   su   www.mekomit.co.il

.5. Menachem Klein è professore di scienze politiche all’Università Bar Ilan. È stato consigliere della delegazione israeliana nei negoziati con l’OLP nel 2000 ed è stato uno dei leader dell’Iniziativa di Ginevra. Il suo nuovo libro, Arafat and Abbas: Portraits of Leadership in a State Postponed, è stato appena pubblicato da Hurst London e Oxford University Press New York.

 

1 Commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*