Le due destre

Nella tradizione occidentale, ci sono – da sempre – due destre. Una conservatrice, l’altra libertaria. La prima, più antica, difende i valori del passato: patria, famiglia, legge ed ordine. Le sue radici sono pre-mercantili e pre-statali. La sua culla, storicamente, è stata la Germania. Che per ben due volte – e due guerre mondiali – ha cercato di farne la levatrice del nuovo/vecchio mondo. La seconda nasce e si nutre degli animal spirits del mercato. E’ proiettata verso l’esterno, oltre i confini nazionali, sposa l’individualismo più sfrenato di contro al bozzolo organicista che l’altra destra vuole conservare. Queste due destre, a volte, si combattono tra di loro, come è quasi sempre accaduto nell’Europa continentale e, ancor più, in Gran Bretagna. Altre volte, convivono nello stesso bacino politico, come è stato, per tutto il novecento, il caso dei repubblicani americani. Quando prevale la convivenza, la chiave di lettura prevalente è quella del moderatismo. Nell’altro caso, la destra viene chiamata reazionaria. A chi appartiene, e dove intende andare la Lega di Matteo Salvini?

Nel rispondere a questa domanda, prevalgono, al momento, due fattori. Il primo è la torsione ideologica molto pronunciata e radicale che il «Capitano» sta dando alla sua immagine. Sovranista, populista e – talora – quasi razzista. Il secondo è la spinta a rompere l’alleanza con Forza Italia. Insieme, questi due fattori inducono molti osservatori a propendere per una interpretazione di rottura della leadership leghista. In cui prevarrebbe, appunto, l’anima reazionaria a scapito di quella moderata e liberista rappresentata dal berlusconismo. In questa chiave, Antonio Polito sancisce impietosamente ieri, sul Corriere, la fine del centrodestra.

Il linguaggio oltranzista riguarda però – fino ad oggi – soprattutto quell’universo simbolico, a effetto e a presa rapida, di cui si alimenta la comunicazione social, su cui stanno molto puntando gli spin doctor del Ministro degli Interni. Non sembra, invece, trovare riscontro nei provvedimenti che riguardano la gestione dell’economia. Le politiche che hanno minor risalto mediatico, ma impattano più a fondo – e più a lungo – nelle tasche degli elettori. Su questo fronte, Salvini ha fatto quadrato nella difesa di due segmenti imprenditoriali chiave: il popolo delle partite iva e le aziende dei lavori pubblici. Prendendo nettamente le distanze dal suo alleato di governo. Con un messaggio elettorale molto chiaro per la galassia degli animal spirits – grandi e piccoli – che, fino a ieri, ha votato a maggioranza per Forza Italia, e che – a livello regionale – già è parcheggiata al Nord sotto i vessilli leghisti. Con l’obiettivo strategico  di conciliare la propaganda verbale reazionaria con il pragmatismo governativo gestionale.

L’incognita di questa scommessa resta il Sud. Qui la Lega ha fatto più fatica a scalzare Forza Italia. Sia per l’aggressività dei Cinquestelle nel contendere l’elettorato di protesta. Sia perché, negli enti locali, i notabili berlusconiani appaiono ancora arroccati a difesa delle risorse pubbliche e degli annessi circuiti clientelari. Per conquistare questi territori, Salvini avrebbe bisogno di una campagna acquisti ad personam. Faticosa, e anche un po’ pericolosa. Caricare sul carroccio leghista anche il carrozzone del clientelismo meridionale rischia, infatti, di compromettere l’immagine di rinnovamento «duro e puro» che ha fatto le fortune di Salvini. Col risultato di ritrovarsi inchiodato al passato della conservazione, sia sovranista che statalista.

Nell’idea di nuova destra che il Capitano, sulla scia di Trump, vorrebbe importare in Europa, lo Stato serve solo a proteggere i confini. Per il resto – flat tax docet – è l’individuo a dover far funzionare – nel bene e nel male – il sistema. Prosciugare – soprattutto al Sud – ciò che resta di Forza Italia, potrebbe nell’immediato – come scrive Polito – farlo «gonfiare di voti e di hubris». Ma, con troppi ingredienti nella pentola, gli potrebbe scoppiare tra le mani.

Da “Il Mattino”.  13 agosto 2018

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