L’ennesima guerra in Europa

La Russia ha deciso poche ore fa di por fine ad estenuanti trattative con gli USA per definire lo status della nazione Ucraina e per avere garanzie che la Nato non si estenderà ancora inglobando a pieno titolo anche Kiev. Non è chiaro, almeno a chi scrive, se l’attacco sferrato dalle forze militari di Putin è stato deciso a fronte di garanzie nulle e insignificanti da parte di Biden e della sua amministrazione americana, sta di fatto che un attacco tanto annunciato a mezzo stampa pare aver colto l’Alleanza Atlantica realmente impreparata e incapace di rispondere con pari efficacia. Non che si auspichi un crescendo e un allargamento della guerra, ma ciò che accade non si può ancora giudicare pienamente perché la vicenda si dipana sotto i nostri occhi senza aver posto ancora un punto fermo. Per questo ritengo molte opinioni espresse sui social o sui giornali affrettate e premature. Dire che la storia dopo l’89, ovvero il continuo estendersi, per volontà USA, della Nato ad est in Europa, sia giunta al termine mi sembra giudizio affrettato; come del resto ho sentito commenti francamente strampalati del tipo ‘ Le democrazie non si amano così tanto come le dittature’, come se questo fosse il dato che fa vincere le dittature su democrazie fragili e imbelli, e infine l’agitarsi di molti per il fascismo presunto di Putin, o perché adesso c’è la guerra in Europa e la Russia l’ha scatenata, come se non si dovesse tener conto delle guerre già scoppiate nel continente e mai veramente superate, come in Jugoslavia e come la guerra fra le forze ucraine e le forze ribelli nel Donbass.

Le guerre sono brutte, tutte, ma per essere credibili nel pathos bisogna avere sensibilità sempre, per i morti di tutte le nazionalità e mobilitarsi sempre, e se siamo pacifisti, essere in grado di nuotare in senso contrario alla corrente prevalente anche a costo di pagare prezzi personali non indifferenti. Non mi pare, e questo a me sembra il punto decisivo, che questa sia una guerra fra dittature da un lato e democrazie dall’altra, visto che non  possiamo essere dimentichi di Erdogan, della Arabia Saudita, e infine, di Trump.

Non mi pare, inoltre, che si possa dire che questa guerra si ponga fra un fronte che difende il diritto internazionale delle nazioni e dall’altra lo schieramento di coloro che pensano che in fatto di politica internazionale viga la pura ‘legge del più forte’. Quando Putin anni fa giustificò l’invasione della Crimea, che fu un atto di forza contro l’integrità di una altra nazione, citò gli atti di forza compiuti dalla Nato nel riconoscere unilateralmente il Kosovo e poi nello spezzare l’unità territoriale serba, e tutto ciò per non dire nulla della Siria e dell’Irak, potremmo aggiungere noi. Che io sappia non vi furono da parte Occidentale risposte convincenti alle affermazioni dello Zar di Mosca.

Non credo, peraltro, che facciano fare grandi passi avanti al ragionamento posizioni filo russe non critiche su ciò che avviene in quel paese, grande e pieno di contraddizioni. Certamente c’è un Occidente che vorrebbe restaurare i sistemi da impero dei bei tempi andati e temono sfugga loro di mano il controllo del mondo, ma sull’altro versante non esiste un campo antimperialista compatto, ma semmai una serie di paesi un tempo colonie, che vogliono emergere oggi, anche legittimamente, ma con colori politici e visioni del mondo diverse e contrastanti.

Resta la priorità del che fare per un movimento pacifista e di sinistra, che se non individua ragioni forti si divide e afferma solo la sua impotenza. Il primo punto da porre all’ordine del giorno, è il ripristino di un ordine legale internazionale, che non sia la mera traduzione dei rapporti di forza fra le nazioni. La seconda è la vera autonomia dell’Europa come soggetto terzo negli equilibri del mondo, autonomo dal mondo anglosassone, capace di far vincere le idee del progresso civile e sociale, (vedi questione lavoro e stato sociale), e di riconoscere che il rapporto fra paesi sviluppati e in via di sviluppo non accetta più prevaricazioni da vecchio impero.

Infine due questioni che sono legate alle considerazioni di cui sopra; la prima è relativa al declino dell’Europa, che non è un declino dell’importanza dello spazio europeo. Voglio dire che lo spazio europeo è importante ma è gestito da forze ‘esterne’ ad esso, ovvero gli USA e il Regno Unito, la Russia piuttosto che la Cina, mentre le grandi nazioni europee, anche quelle che si danno più arie nei consessi internazionali, non hanno inciso nella nuova crisi sul terreno continentale. Il declino europeo è questa incapacità degli europei di fare essi stessi la propria storia e di non farsela fare dagli altri. Dovremmo avere, per riconquistare un destino, più umiltà e più consapevolezza dei limiti da colmare.

Infine, ultimo punto, ma non per importanza, anzi, è la questione della definizione della democrazia. Troppo comodamente definiamo dittature i paesi fuori dal nostro mondo, di cui però non facciamo sforzi per capirne dinamiche sociali, direzione strategica e storia. E ancor più comodamente definiamo democrazia tutti gli stati dove ogni tanto si vota e che si dimostrano amici dello schieramento delle democrazie Occidentali, come da definizione dell’ultimo presidente degli Stati Uniti. Eppure le questioni non sono così semplici; il caso americano e il bonapartismo strisciante in Europa presente da più di quarant’anni, ci inducono a interrogarci di nuovo su cosa è la democrazia, sulla sua estensione e sui suoi confini, sul rapporto che essa ha con la libertà, con la economia, con le etnie, con la libertà economica e con le classi sociali. Questi sono temi troppo scabrosi, difficili? Una sinistra pigra e accomodante non farà fare a un movimento per la pace molta strada, e si adagerà sul facile slogan, sull’idea preconfezionata, per farsi riassorbire, infine, sul clima di guerra che già in parte si respira.

Alessandria 25-02-2022                                                      Filippo Orlando

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