Riflessioni minime su problemi internazionali massimi

Premessa necessaria. Il mondo è in una situazione così grave che esprimere la propria opinione, per chi pensi di avere qualcosa da dire, è persino doveroso, mentre il pericoloso conflitto tra Russia e Ucraina seguita e, intanto, a due passi da casa nostra, a Israele ed a Gaza, da settimane dura un massacro degli innocenti, prima israeliani e ora palestinesi, senza precedenti.

Il conflitto russo-ucraino – come ho già avuto modo di dire, ma credo di dover ribadire – è connesso innanzitutto all’aggressione criminale dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, ma è pure avvenuto dopo che la “nuova” Russia da anni si era sentita sempre più accerchiata militarmente da Occidente da una NATO sempre più estesa ai paesi già d’influenza russa, e privata di vaste aree già parte integrante della Russia da secoli, magari in parte loro malgrado, come la stessa Ucraina, ma in particolare come le zone russofone del Donbass. L’aggressore resta l’orso russo, ma questo ha agito da Stato-potenza troppo indebolito dalla concorrenza, vedendo troppi alleati, magari a forza, dal 1945 al 1991, entrare non solo nell’Unione Europea, ma nell’alleanza euro-americana della NATO, che non è mai stata un innocuo Club come si cerca di far credere ai bambini. È vero che gli ex alleati hanno voluto così, o perché uno preferisce sempre stare con i parenti ricchi che con quelli poveri, oppure perché, come una volta disse pure Berlinguer, si sentivano più protetti sotto lo scudo della NATO rispetto all’orso russo. Tuttavia, per un mondo libero e pacifico, sarebbe stato meglio che tutta l’area tra Germania e Russia dopo il 1991 fosse stata neutralizzata. Tuttavia non si può fare la storia dei se e dei ma. Ma se ci sono nel mondo sempre più focolai di guerra, tali cose hanno avuto il loro peso. E lavorare per il compromesso, quale serve non solo agli ucraini, ma agli europei tutti, per spegnere i focolai, sarebbe saggio, se la storia fosse razionale, mentre non lo è. Non sentite che venti gelidi di morte soffiano sul mondo?

Quanto all’altro scenario di guerra, a noi più prossimo, si può notare quanto segue. L’orrenda strage di migliaia di ebrei pacifici da parte di Hamas del 7 ottobre va condannata senza se e senza ma, e comportava per forza una risposta armata, in sé molto dolorosa, da parte di Israele. Ma non si può ignorare che quel folle e “odioso odio”, e sterminio degli innocenti israeliani, è giunto dopo decenni di oppressione del popolo palestinese, chiuso più o meno a forza nella “sua” Cisgiordania, sempre più punteggiata da sempre nuovi insediamenti “illegali” di centinaia di migliaia di israeliani, favoriti e incoraggiati dal governo Netanyahu. Comunque, ora, l’orrenda strage di israeliani è già stata seguita dalla distruzione di una parte cospicua di Gaza, con diecimila morti civili, tra cui donne e bambini. Questi livelli di barbarie avrebbero dovuto essere evitati, ma a questo punto una risposta implacabile all’orrore del 7 ottobre c’è stata e fermarsi e trattare sarebbe giusto e indispensabile. Per non trattare con Hamas, si può pure attendere, durante una tregua “lunga”, che i palestinesi si eleggano nuovi rappresentanti; ma tanto negare loro autorità sul loro territorio quanto pretendere di tirar fuori dalla naftalina un’autorità palestinese da anni scaduta e screditata, come vogliono fare gli americani, non ha senso.

Comunque questa ulteriore e più grave guerra israelo-palestinese va fermata, anche perché seguitare la grande strage di civili innocenti non solo è orrendo, ma contiene il maggior rischio di guerra mondiale dal 1945 in qua, con straordinarie somiglianze con quel che accadde nel mondo nell’estate 1914, come ha notato l’ex ministro degli esteri tedesco, nonché leader storico dei Verdi di quel paese, Joska Fischer, in un’intervista dei giorni scorsi. Se l’Iran dovesse intervenire, l’Apocalisse diverrebbe inevitabile. Non credo che accadrà, ma il pericolo non è remoto. Potrebbe benissimo verificarsi, e scherzare con un fuoco del genere è insensato.

Purtroppo per chi si senta portatore di un libero pensiero, su tali cose è difficile persino parlare. Il rischio – forte sempre – di essere etichettati malamente, si fa in tal caso altissimo. E tuttavia è possibile provare a fare alcune considerazioni minime (correndo “il rischio” di essere fraintesi, però evitando di tacere nell’ora del massimo pericolo per la pace nel mondo). Provo a ragionare per piccoli blocchi tematici.

Punto primo. La casa brucia. Evitiamo l’idiozia dell’accanirci per determinare “chi ha cominciato” dividendoci in piazze contrapposte invece di indossare, come quando un paese è in fiamme, la divisa del pompiere, o la funzione del pompiere, che spegne gli incendi perché prova pena per lo sterminio degli innocenti, ma anche perché sa che questi incendi potrebbero presto propagarsi sino a casa sua. Oltre a tutto lo stabilire “chi aveva cominciato per primo”, ed è “quindi” più responsabile, è sempre arduo in riferimento a tutte le guerre minimamente importanti della storia, come ben sa “chi se ne intende”.

Punto secondo. Israele va salvaguardato, ma pure il popolo palestinese ha diritto ad una vita libera e dignitosa, e ad uno Stato.

Che cosa comporta il girare la testa dall’altra parte (o per essere con Israele sino alla morte, o con i palestinesi più o meno altrettanto)?

Diventare la tifoseria filoisraeliana come filopalestinese è persino dannoso per tutti. Vuol dire – anche senza proporselo affatto – soffiare sul fuoco della guerra continua. Io vedo due conseguenze ovvie nella prosecuzione di queste guerre: far crescere la conflittualità invece di diminuirla, aumentando il rischio, nell’incancrenirsi della situazione, di una terza guerra mondiale; e la ripresa dell’antisemitismo vero e proprio in tutto il mondo musulmano, che conta due miliardi e settecento milioni di persone (il 25% del genere umano), ed è pure tra noi, e ha quindi un’influenza anche negli Stati occidentali, che non è da poco. Non basta condannare le recrudescenze dell’orrido antisemitismo (anche se va fatto), ma occorre togliere i motivi di accanimento contro gli ebrei alimentati dagli eccessi dello Stato “ebraico”: connettere i due piani è forzato, ma è troppo facile da farsi per non essere messo in conto. Se poi scoppiasse, magari dopo l’intervento dell’Iran, una terza guerra mondiale, a un certo punto nucleare, chi si ricorderebbe più della shoah o della salvaguardia di Israele?

Punto terzo. La soluzione ragionevole del conflitto israelo-palestinese resta quella dei due Stati contigui, uno ormai grande e forte, e straordinariamente evoluto, Israele, e l’altro palestinese. Ma non so se si verificherà. Dodici anni di governo della destra di Netanyahu in Israele, con il via libera a centinaia di migliaia di coloni ebrei di insediarsi in terra palestinese, hanno incancrenito la situazione. Hanno reso difficile pure la soluzione del far vivere due popoli sotto lo stesso Stato, che avrebbe richiesto e richiederebbe tanti atti di buon vicinato, di reciproco riconoscimento, di intesa cordiale, di assistenza vera, che non ci sono stati. Eppure tutte e due queste strade (due Stati, o almeno “intesa cordiale”), s’imporrebbero, ma oggi sono assai difficili. Ma il meglio resta il fare uno Stato palestinese accanto a quello ebraico.

Punto quarto. Che pensare dei contendenti? Anzi, che pensare pure degli altri contendenti (russo-ucraini) di cui in questi giorni si parla necessariamente meno?

Mi sembra giusto seguitare a considerare Israele come un paese democratico. Che anche i paesi democratici possano essere guerrafondai è storia vecchia come il mondo. Certo lo Stato d’Israele, con spinta al ritorno alla “terra promessa” da Dio ad Abramo e Mosè ben prima della shoah, è nato con forti motivazioni di tipo nazionalistico religioso (sionistiche), comuni a ebrei di ben differenti correnti politiche. La Shoah ha reso un dovere pressoché mondiale l’accettare che Israele nascesse come Stato. Ma la forzata situazione – che ha costretto Israele ad essere sempre una fortezza assediata da nemici già autoctoni, e d’altra fortissima identità religiosa, musulmana, tutto intorno – ha esasperato un’aggressività – difensiva come offensiva – alla lunga nociva, non solo da parte di arabi e palestinesi, ma anche da parte di Israele: aggressività culminata nei governi dell’ultimo periodo storico, a dir poco etnocentrici, di Benjamin Netanyahu. Tuttavia Israele è un Paese in cui si vota liberamente, si fa ricerca liberamente, si scrivono libri e fanno giornali liberamente, si discute e ci si riunisce liberamente: in un mondo in cui tutt’attorno di democrazia ce n’è ben poca, o quasi niente. Tuttavia i palestinesi hanno i loro innegabili diritti all’uguaglianza e all’autogoverno, che, conculcati, e troppo a lungo conculcati, hanno portato in prima linea i più faziosi tra loro, e a quanto pare meno corrotti, e più “in mezzo al popolo”, che ovviamente essendo anche terroristi efferati non ci piacciono affatto (Hamas), ma sono preferiti dalla loro gente; e l’idea dello scegliersi i rappresentanti palestinesi su misura non è tanto saggia. Certo dopo le stragi di migliaia di innocenti da parte di Hamas qualche dolorosa operazione ritorsiva anche sanguinosa, di giorni, era nel conto, ma ogni ricerca di una soluzione definitiva va contro un popolo ed è insensata.

Quanto all’altro fronte del mondo, va detto che il regime di Putin è certo semifascista e Putin stesso è una specie di Mussolini russo, ma l’idea del rifare un potente Stato russo comprendente i russofoni, più o meno come l’URSS ma senza i popoli uniti a forza da Stalin grazie alla vittoria nella seconda guerra mondiale del 1945, ha dalla sua la Storia di quattro o cinque secoli. L’Ucraina vuole essere nazione e ogni giorno, da anni, lo dimostra col sangue (e quindi è “giusto” che lo sia, resti e definitivamente “diventi”), ma i russi hanno diritto a non avere la NATO ai confini. Per molto meno quando Kruscev, leader dell’URSS, provò a installare missili a Cuba, Kennedy, nell’ottobre 1962, mosse la terza flotta, rischiando la terza guerra mondiale. Anche lì, è ovvio che la soluzione della guerra russo-ucraina passi necessariamente per un compromesso, che lascerà l’amaro in bocca a entrambe le parti in lotta. Certamente la Crimea resterà russa. E nel Donbass andranno forse fatti referendum internazionalmente controllati, oppure una sorta di Svizzera, che s’interporrà tra la Russia e un’Ucraina magari nella NATO. Dirlo qui, da parte mia, come proposta, farebbe giustamente ridere. Comunque i contendenti andranno necessariamente a un compromesso, che farà un poco soffrire, ma non troppo, entrambe le parti in lotta. Solo che vi arriveranno dopo altre “inutili stragi”, perché nella Storia le cose purtroppo vanno quasi sempre così.

Punto quinto. Che cosa accadrà?

Come ogni previsione, la mia poco vale e, tra l’altro, sarei contento come un grillo se risultasse falsa. Secondo me nessuno vorrà “morire per Danzica”, né per il mondo del grande freddo dalle parti della Russia né per i palestinesi. In quel Grande Nord seguiteranno ancora un poco a massacrarsi tra russi e ucraini. Il mondo, ormai, è così cinico e criminale che dovremo aspettare la fine delle elezioni presidenziali in America perché possa arrivare la pace in Ucraina. Dopo di che – e forse segretamente se lo saranno già detto – America e Cina fischieranno la fine della partita, e i contendenti si fermeranno dove saranno arrivati gli eserciti e si comincerà, su quella base, a trattare. E probabilmente nel mondo ricomincerà una guerra fredda incentrata questa volta non più sul duopolio americano-russo come dal 1945 al 1991, ma su quello americano-cinese. Le due superpotenze si assesteranno colpi (come già URSS e USA), ma di tanto in tanto, di comune accordo tra “grandi nemici”, metteranno in riga gli altri in caso di eccessivo pericolo mondiale, quando qualcuno senza permesso dei due “grandi” vorrà giocare in proprio. Così capitava al tempo del duopolio russo-americano. Ma non è neanche certo che accada, dal momento che il duopolio mondiale era figlio di una guerra mondiale spaventosa, e l’URSS non c’è più (con tutti i canali di contatto che c’erano sin dal 1941); e, soprattutto, gli Stati Uniti sembrano essi stessi in declino, tanto che Netanyahu si può permettere di non starli a sentire in un momento delicatissimo per il mondo come questo.

Quanto a Israele e dintorni, purtroppo – a quel che prevedo sperando mille volte di sbagliare – i palestinesi faranno la fine dei nativi americani; diverranno ancora di più i poveracci della situazione, protagonisti di una piccola diaspora nel mondo: una prospettiva ingiusta e tristissima. Anche perchè “al dunque” – posso sbagliarmi – né l’Iran né i paesi arabi, nonostante manifestazioni più o meno oceaniche filopalestinesi, vorranno “morire per i palestinesi”.

C’è però anche una possibilità più positiva (ce n’è sempre una, nella storia, grazie al Cielo): che l’attuale governo israeliano, quando si vedrà che guai immani ha combinato la sua politica etnocentrica, venga mandato a casa a calci nel sedere dagli israeliani più o meno progressisti, che ci sono, e sono moltissimi, e che i due popoli opposti, dopo tanto odio, comincino a fare atti di generosità e cordialità reciproca, diminuendo progressivamente l’odio e mutandolo in amicizia o almeno in benevola tolleranza: una prospettiva oggi folle anche solo da immaginare (lo capisco), ma che prima o poi arriverà perché nella Storia alla fine capita sempre così tra vicini nemici irriducibili. Oggi ad esempio abbiamo un’Unione Europea con locomotiva franco-tedesca, dopo che i due popoli, francesi e tedeschi, avevano lottato a morte dal 1870 al 1945 (se non addirittura dalle guerre napoleoniche, diciamo dal 1807, quando il filosofo idealista Fichte pronunciò i famosi, qua e là straordinari, Discorsi alla nazione tedesca). Sembra che oggi il Vietnam tema più la Cina dell’America, che pure vi aveva sganciato più bombe che sulla Germania nella seconda guerra mondiale. Solo che prima, in mezzo, seguiteranno tragedie immani, a dimostrazione della verità del detto di Trockij secondo cui è vero che la Storia è maestra di vita, solo che è maestra senza allievi. Ma alla fine, a furia di prendere colpi in testa anche i più grandi testoni sono costretti a capire.

Due riflessioni finali.

Punto sesto. L’Unione Europea ancora una volta ha dimostrato di essere solo un’appendice divisa e impotente degli Stati Uniti, senza alcuna capacità di interposizione autonoma tra contendenti, tanto nella guerra russo-ucraina che in quella israeliano-palestinese. Contro i suoi stessi interessi, economici e continentali politici: per il solito egoismo miope dei vecchi Stati nazionali sovrani, incapaci di politica estera e militare comune ed autonoma persino nell’ora del massimo pericolo. Questo fa parte, come disse il dimenticato ma acuto statista Francesco Saverio Nitti in un libro del 1922, dopo la Grande Guerra, della “decadenza dell’Europa”. A meno che non sia il “Tramonto dell’Occidente” trattato da Spengler nel 1918 che giunge al punto estremo.

L’Unione Europea continua ad accrescere il numero dei membri, ma come insieme politicamente e militarmente poco fa. Sembra essere un gran bene (l’Unione), ma soprattutto come confederazione economica (oltre che per diffondere in modo benefico diritti comuni). L’impotenza dell’Europa nella politica internazionale conferma la mia vecchia idea, in ciò niente affatto marxiana, che sia la politica a dirigere l’economia, in ultima istanza, sicché alla fine della fiera, quale sia l’economia, il direttore dell’orchestra è sempre lo Stato, nel “bene” e nel “male”; e in carenza di ciò le unioni sovranazionali possono pure essere benefiche per il bilancio economico dei popoli, ma per poco altro.

Comprendo bene che il mio ragionamento potrà piacere di più ai pacifisti, agli amici del papa Francesco, o di Tomaso Montanari o persino di Michele Santoro che ai miei amici riformisti o ultrariformisti con cui mi trovo quasi sempre d’accordo in politica interna, specie sui temi di riforma dello Stato. Ma io provo a ragionare senza faziosità e senza pregiudiziali, sapendo bene che non c’è una risposta univoca per tutti i grandi problemi. Penso, anzi, che solo chi si ricordi che la politica efficace è sempre un composto, che implica spesso risposte anche diverse a problemi diversi, possa conquistare l’egemonia nella storia. I nostri avversari non hanno le nostre ubbie, pur avendo le loro convinzioni e la loro base politico-sociale. Tutti dovrebbero imparare tale lezione, che corrisponde al carattere dialettico, necessariamente contraddittorio, della vita e della storia, in cui non c’è mai una sola chiave buona per aprire tutte le porte. E chi non lo capisce, “perde”. Bisogna avere delle convinzioni, e anche un mondo di riferimento “intimo”, ma non degli stereotipi. A quanto pare il riformismo in quest’epoca s’impone, ma anche il pacifismo non è più solo una necessità morale, bensì un’urgenza della storia in un mondo su cui incombono ormai rischi di catastrofe senza precedenti.

di Franco Livorsi

2 Commenti

  1. Caro Mauro, grazie infinite dell’attenzione, dei punti notevoli di contatto e delle preziose annotazioni. Vengo pubblicando su “Città Futura” il seguito di un saggio sul filosofo, che fu uno dei padri dell’operaismo marxista, Mario Tronti. In agosto avevo scritto una troppo lunga, ma credo non vana, prima parte. E nei prossimi giorni darò la seconda e la terza, Un libriccino che si è fatto via via, non previsto. Già lì gli spunti che solleciti erano e saranno tanti.
    In effetti il tema forte è quel che ne è dell’Occidente. Io in questa fase, a dispetto del mio carattere, che tende sempre a un pizzico di ottimismo, vedo molto molto nero. Secondo me tutto l’Occidente è in una crisi paurosa, è marcio. In confronto “Il tramonto dell’Occidente” di Spengler, da rileggere, fa ridere! E come sempre l’Italia è una bella fabbrica del futuro. Non tanto per la Meloni, ma per una sinistra acefala. “Che fare?”, come diceva Lenin nel 1902. “Ah! Saperlo!”. Nei prossimi mesi proverò a riflettere sulla decadenza dell’Occidente. Hai visto, intanto, nella videata l’articolo del vecchio comunista Spataro? Toni “K” a parte non è niente male.

  2. Del tutto d’accordo sulle analisi di Franco . Sulle previsioni che avanza, tutte con un margine più o meno ampio di possibilità, staremo a vedere.
    Al riguardo mi colpisce l’ipotesi avanzata da Franco che – data la purtroppo improbabile, ancorché auspicatissima, realizzazione di due stati tra il Mediterraneo e il Giordano – destino dei palestinesi sia la riduzione a una sorta di riserva indiana nello stato di Israele. Ma chi darà le carte in definitiva, sappiamo, sono le superpotenze in competizione: riusciranno, in particolare, gli USA a imporre a Israele i due stati? Ne dubito fortemente anch’io.
    E a proposito di superpotenze occorre fare una riflessione sull’inquietante situazione geopolitica che si va profilando: l’Occidente (Nordamerica, più Europa centro-occidentale, più Australia) si trova ormai “assediato” dal consesso dei BRICS in via di crescita con l’accorpamento di tutti gli insofferenti dell’egemonia (che tropo spesso è diventata arroganza) militare, economica e finanziaria degli USA: Paesi dell’America latina, Arabia saudita e (ex) Terzomondo (Sudafrica, Indonesia). Capofila sono notoriamente Cina e Russia, e tutti assieme superano di gran lunga la popolazione dell’Occidente e sono destinati anche a superarne il PIL, inoltre posseggono le indispensabili materie prime ben più dell’Occidente, ma purtroppo quasi tutti sono più “democrature”, nel migliore dei casi che non democrazie. Che ne pensa Franco? L’unica consolazione è che, salvo l’antiamericanismo e alcune idee per contrastare l’egemonia del dollaro, per il resto sono su quasi tutto divisi.
    Quale il destino dell’Occidente? A quali condizioni nel lungo periodo può “salvarsi” e salvare la pace, stante anche il fatto che, alla luce degli eventi bellici in corso, il ruolo di terzo attore che potrebbe avere la Comunità europea si è rivelato illusorio? Dovremo poi cedere una parte della nostra “potenza”, se non del nostro tanto invidiato benessere? – Mauro Fornaro

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