Troppi fronti per Joe Biden

Il vero lasciapassare per l’invasione di Gaza, Netanyahu lo ha avuto dall’America. Mentre gli europei – al solito – si limitavano a un appoggio diplomatico, il presidente Usa è sceso in campo. Sbarcando direttamente sul teatro di guerra e mettendoci, come usa dire, la faccia. Col corredo di uno schieramento navale della serie facciamo sul serio. E, il fatto che, al ritorno, abbia improvvisato un inatteso discorso alla nazione ha rafforzato l’idea che, in questa scelta, Joe Biden abbia messo in gioco la propria immagine, e rielezione. Molti si cominciano a chiedere se non sia stata una scelta azzardata.

L’incognita principale riguarda la durata della guerra. Nessuno è in grado di prevedere quanto possa durare la resistenza di Hamas e di che entità saranno le perdite israeliane. Non c’è analista internazionale che non sottolinei i rischi di un’avanzata delle truppe di terra destinata rapidamente a trasformarsi in una guerriglia urbana. In cui gli scontri casa per casa verranno in gran parte decisi dal controllo del sottosuolo. Si sa che Hamas ha investito gran parte degli aiuti esteri destinati alla popolazione nella costruzione di un dedalo di cunicoli con una estensione maggiore della metropolitana di Londra. Si tratta di uno scenario bellico senza precedenti, in cui ogni stima rischia di rivelarsi inattendibile. L’unica ragionevole certezza è che questo tragico corpo a corpo andrà avanti a lungo, molto a lungo.

A peggiorare la situazione c’è il buio su cosa possa succedere una volta che Israele riuscisse a sradicare Hamas da Gaza. Non c’è al momento sul tavolo alcuna ipotesi credibile. Ed è indicativo che un leader della statura e esperienza di Ehud Barak veda una soluzione plausibile nel trasferire il controllo della striscia a una non meglio precisata forza multilaterale araba, che dovrebbe successivamente passarlo alla Autorità Palestinese. Al di là della concreta realizzabilità, una simile decisione capovolgerebbe quella che è stata, nell’ultimo decennio, la strategia di Netanyahu, dividere e contrapporre la leadership dei due territori, per allontanare definitivamente l’ipotesi di una unificazione in un solo stato. Per raggiungere questo obiettivo, il premier israeliano non ha esitato a consentire che la potenza militare di Hamas crescesse con il proprio avallo indiretto. Un errore di cui oggi il suo paese paga un prezzo altissimo. Sarebbe davvero clamoroso se l’esito finale diventasse l’unità dei palestinesi.

Con la prospettiva di una guerra lunga, massacrante e senza sbocchi, i numeri e le foto quotidiane dei morti palestinesi hanno sostituito, nelle televisioni e sui social, quelli della carneficina di Hamas il 7 Ottobre. Spaccando le reazioni della società americana lungo faglie – etniche e politiche – difficilmente ricomponibili. All’inizio sono scesi in campo gli studenti dei campus universitari, poi si sono aperte fratture nelle redazioni dei giornali. In questi giorni sta diventando palpabile la rabbia delle comunità islamiche che, in alcuni stati del Midwest, sono molto numerose, e potrebbero rivelarsi decisive per l’esito del voto alle presidenziali che si terranno tra un anno.

In Michigan, dove Biden ha vinto per un margine risicatissimo, gli americani di origine araba sono il 5% dei voti, e poco meno del 2% in altri due stati in bilico, come Pennsylvania e Ohio. Si tratta di elettori i cui parenti spesso si trovano sotto le bombe e le macerie di Gaza. Abdullah Hammoud, sindaco di Dearborn, la città che ospita la più corposa comunità musulmana degli Stati Uniti d’America, ha bollato come inaccettabile il fatto che Biden non abbia condannato la decisione israeliana di tagliare l’acqua, l’elettricità e i medicinali a due milioni di palestinesi. È probabile che i suoi concittadini la pensino allo stesso modo, e se ne ricorderanno nell’urna.

Di fronte a un quadro così frastagliato, si intensificano gli interrogativi sulle prossime mosse di Biden. Se Netanyahu sembra intenzionato a andare dritto per la sua strada, anche a costo di cacciarsi in un vicolo cieco, il Presidente americano ha un’elezione alle porte. E presto si troverà a scegliere se aprire un varco a Donald Trump, o aggiustare la rotta in Medio Oriente.

di Mauro Calise.
(“Il Mattino”, 31 ottobre 2023)

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