Ricolfi e Galli sulle iniziative di contenimento del “Coronavirus”

Esplicito e tagliente come al solito il prof. Ricolfi nel suo recente articolo “l’Italia deve fermarsi un paio di mesi” pubblicato su ItaliaOggi lo scorso 4 marzo (1). “Se ci fermiamo per un paio di mesi e ci occupiamo solo di salvare la pelle, forse potremmo uscirne con una semplice recessione, più o meno come nel 2008”.  Questa una delle sue prime affermazioni.  Se invece volessimo mantenere la forza lavoro così come è avvenuto fino ad oggi, sarebbe estremamente pericoloso. Luca Ricolfi, sociologo, ordinario di Analisi dei dati all’Università di Torino, ha letto le informazioni disponibili sul fenomeno Coronavirus e le ha analizzate  dal punto di vista statistico. La sua previsione, fatta con gli esperti della Fondazione David Hume (di cui è presidente) è impietosa, arrivando ad ipotizzare centinaia di migliaia di decessi in pochi mesi dovuti a quella che è ormai ufficialmente definita una pandemia. Di lì la richiesta di una richiesta di misure di sottrazione ben più stringenti di quelle attuali, visto che il virus si “disperde” solo in assenza di portatori umani. Quindi, per riprendere uno slogan molto in voga, “più si sta a casa, meglio è”. Ancora più netta la sua posizione quando gli viene chiesto – da Alessandra Ricciardi – come dovrebbero essere impiegati i tre miliardi e mezzo di euro di probabile utilizzo in caso di disco verde UE. “Andrebbero utilizzati non per dare aiuti a pioggia alle imprese ma per migliorare il Servizio sanitario nazionale con un’iniezione straordinaria di personale, attrezzature, posti letto. Altrimenti si rischia il collasso”. Rafforza questa sua convinzione il calcolo statistico che gli conferma, su otto milioni di contagiati prevedibili (come già successo con le altre influenze), una attesa  di  più di 200 mila morti.   Valutazione suffragata da una diversa considerazione del tasso di propagazione, da ritenere – secondo Ricolfi – nettamente superiore “a 2 o a 2.5 contagiati per ogni infettato” indicati da ISS e Ministero.  L’università di Padova, nella persona del prof. Andrea Crisanti e della sua equipe, viene citata proprio sullo specifico. Con dati finali, risultanti da conteggi più approfonditi,  da far drizzare i capelli: “se il tasso di propagazione fosse  4 o 5 (come risulta a noi), e non si interviene con politiche di contenimento drastiche, il numero degli infettati non ci metterà molto ad arrivare a qualche milione, come accade con l’influenza stagionale”.

Continuando nel suo “j’accuse”, indirizzato – tra gli altri – anche al premier Giuseppe Conte, Luca Ricolfi si rammarica che non sia stato ascoltato per tempo il virologo dott. Burioni. Uno dei pochi che, da subito, cercò di rintuzzare facilonerie del tipo “è solo un’influenza un po’ più forte” o sottovalutazioni più dettate dal “particulare” di ognuno che da dati oggettivi. Quindi, forte di questi pareri, arriva ad affermare che:  “la mera osservazione della dinamica attuale basta a suggerire che, per frenare il virus, occorrerebbero fattori di grandissimo impatto, come una elevata sensibilità al caldo, o una tendenza all’indebolimento nel ciclo delle mutazioni. Fra i fattori potenzialmente frenanti, però, ve n’è uno fondamentale, che nei miei modelli ho chiamato qt.”. Richiesto di cosa si trattasse ha risposto semplicemente che riguarda tutti quei cittadini, potenziali obiettivi del virus, “ritirati” dalla circolazione, quindi “non a disposizione” della malattia. In sostanza una conferma dei pressanti inviti a non muoversi, ad azzerare i contatti sociali diretti, a non scambiarsi nulla, dalle strette di mano agli oggetti, specie se con superfici idonee al contagio. Particolarmente impressionante il passaggio riguardante l’evoluzione prossima dell’epidemia. A suo parere, nel giro di poche settimane, si comincerà a morire perché non ci sono abbastanza posti nei reparti di terapia intensiva. E, rincarando la dose. “È il guaio delle democrazie, che non possono costruire un ospedale in dieci giorni, né rinchiudere qualche milione di abitanti in una zona rossa, né proclamare il coprifuoco.”  Il ragionamento termina con una serie di cariche a pallettoni tutte dirette ai giornalisti e ai media in genere: “si continua con i consueti teatrini, in cui i soliti personaggi si scambiano opinioni (e qualche volta insulti) su cose più grandi di loro. È come la scena finale del Titanic, con la gente che balla mentre la nave affonda”.  Soprattutto non viene messo in guardia il cittadino medio che vedrà usare una notevole quantità di denaro (si parla di quasi quattro miliardi di euro) più per le miriadi di richieste di risarcimento danni (per incassi non riscossi, per stagioni turistiche andate a ramengo e per mille altre questioni), senza tener conto dell’unico vero obiettivo su cui concentrarsi: il risanamento e il rimpolpamento, seppure parziale, del sistema sanitario nazionale.

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Un discorso simile viene portato avanti  anche dal professor Massimo Galli (2), primario infettivologo dell’Ospedale  Sacco di Milano. Dall’inizio dell’epidemia, che ben ha conosciuto fin dalle sue fasi iniziali nella bassa Lodigiana, continua a ripetere che sono due le armi principali per sconfiggere il Covid-19. “Il distanziamento sociale. E va bene, questo l’abbiamo fatto. Ma se non tracciamo i contatti, quando mai fermiamo l’epidemia?”.  Quindi “distanziamento” e “tracciamento”. Il dottor Galli, ragiona da scienziato e affronta il virus con pragmatismo: il picco del contagio dipenderà dall’efficacia delle misure di contenimento, afferma, e “la politica del tampone solo a pazienti sintomatici potrebbe rivelarsi insufficiente”. Ciò significa che si dovrebbero aumentare le analisi scientifiche atte ad identificare i contagiati, soprattutto nelle forme più lievi e meno evidenti. Quelle più pericolose per la comunità perché – inconsciamente – propagatrici del virus. E proprio èper questo dovrebbero essere “tracciati” per tempo.  Notoriamente Massimo Galli è pure molto interessato all’aspetto normativo e continua a dare suggerimenti al team di esperti che lavorano presso il Ministero della Sanità. Valutazioni, idee, proposte che rendono più chiare ed efficaci possibili le norme di comportamento di singoli, gruppi, lavoratori, aziende e operatori sanitari. Per lui le indicazioni offerte fino ad oggi, anche con le regolamentazioni seguite al “Decreto Coronavirus” del 10 marzo scorso, non sono  sufficienti a specificare cosa realmente si può e non si può fare. Ha apprezzato il tipo di approccio che, da subito, ha caratterizzato l’azione delle forze dell’ordine e dei rappresentanti degli Enti Locali, ma chiede più attenzione in quelle che definisce le “aree grigie” e, fra queste, sicuramente i locali di lavoro. Soprattutto lamenta la discontinuità dei controlli e la non omogeneità nei comportamenti. Le segnalazioni sindacali di inadempienze, di non rispetto delle ordinanze e le strutture inadeguate a rendere effettiva la normativa di tutela della salute, sono la conferma evidente di quanta strada si debba ancora percorrere. Non lo dice in modo esplicito, come invece fa Ricolfi, ma lo fa capire. Mai come in queste occasioni vale il “principio di precauzione”, per cui in tutti i luoghi dove non vi sia certificazione dell’effettivo rispetto delle norme è, semplicemente, “meglio chiudere”

.1.  “ItaliaOggi” , 4 marzo 2020. “Luca Ricolfi: l’Italia deve fermarsi un paio di mesi” di  Alessandra Ricciardi

.2.  “Il Messaggero”, 13 marzo 2020. “Massimo Galli:  stretta sui divieti o l’epidemia continuerà a correre”  di Claudia Guasco

*Immagine interna tratta da : https://www.ilmessaggero.it/italia/coronavirus_italia_quanti_casi_contagi_stime_92000_stime_previsioni_ragioneria_stato-5108676.html

Nell’immagine in home page il prof. Luca Ricolfi

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