Aspettando il Quirinale

E’ forse utile, per decifrare la attuale e confusa situazione politica, porre sul tavolo dell’analisi due elementi soggettivi, solo apparentemente contrapposti, ma in realtà concatenati nell’indebolire le architravi su cui regge la convivenza civile nostra e la democrazia. Gli elementi soggettivi sono in breve questi: il populismo variamente declinato sotto plurime bandiere e ispirazioni politiche da un lato, e il politico ridotto a tecnica neutra di dominio della società, ovvero come ‘governo degli ottimati’, degli oligarchi per merito e non per nobile stirpe, dall’altro. Populismo e tecnocrazia si tengono insieme perché hanno come punto di contatto l’esigenza di combattere il protagonismo cosciente delle masse, i grandi partiti di consenso popolare, e tutti i corpi intermedi fra governo e popolo. In questo senso, tecnocrazia e populismo sono effetto e causa della crisi della democrazia, e sono tesi ad aggravare il male nel corpo già debilitato del governo costituzionale, essendo questi niente altro che le facce di una medesima medaglia. Se ciò che sostengo è ragionevole, occorre allora affermare che non ha senso, per la sinistra già mal ridotta di oggi, schierarsi con la tecnocrazia in difesa delle istituzioni contro il populismo, ho nascondersi nell’alternativa delle piazze populiste per immaginarsi rivoluzionaria contro ‘il sistema’ oggi vigente e così pervasivo. Questi atteggiamenti sono entrambi patetici e diventeranno in breve impotenti fino al punto di far scomparire la sinistra stessa, in qualsiasi declinazione sia essa pensabile, dal paese.

Al momento attuale la sinistra è spezzata in una miriade di piccole formazioni che costituiscono un arcipelago più o meno collocabile alla sinistra della forza più grande, e la forza più grande, il PD, è una formazione che non ha una sua vera storia, non ha una precisa identità, semmai ha digerito dopo aver inglobato le storie dei partiti storici della sinistra e del cattolicesimo italiano, e si caratterizza per aver assunto il compito di essere la formazione politica che garantisce la stabilità dello stato e del quadro istituzionale come esso è uscito dalla fine della ‘Guerra fredda’. In questo senso il PD è il ‘partito del governo’, è il partito della stabilità istituzionale e rappresenta al tempo una via veramente originale, anche se non so se efficace, alla ‘socialdemocratizzazione’ della sinistra italiana. Sulla sinistra antagonista non mi soffermo perché le osservazioni su di essa non possono essere introdotte nell’economia di questo articolo. Il Partito Democratico si è pensato fin dalla fondazione come una organizzazione che doveva sorreggere lo stato, e non essere di parte ma includere tutte le parzialità, tanto che non ha saputo a lungo contenere componenti che rivendicavano la difesa di alcuni settori sociali, ( vedi la cacciata di Bersani e compagni), oppure in certi momenti ha vissuto con imbarazzo il dato di essere la risultante di una alleanza di centrosinistra per natura contrapposta alle destre. In sostanza sostengo che il PD non è veramente un partito, perché del partito non vuole l’essere di parte rispetto allo stato che caratterizza, appunto, un partito, e per contro il mondo della sinistra radicale non ha un partito unitario perché il settarismo che la segna non le consente di rappresentare pienamente un definito settore sociale. Se ciò che dico è una fotografia realistica della situazione, si deve però segnalare che il modello del ‘partito stato’, del partito del governo è strutturalmente in crisi. Questa crisi è data da un fattore esogeno al Partito Democratico ed un endogeno. Per quanto riguarda il primo fattore, il sistema internazionale nato dopo la fine della ‘Guerra fredda’, quel tentativo posto dagli USA di dominare unilateralmente il mondo e di ‘restaurare’[1] i vecchi rapporti coloniali fra primo e terzo mondo, si è poi scontrato con la resistenza a tale schema posta in essere dalla Russia e dalla Cina, che è stata, quest’ultima, protagonista principale della globalizzazione dei mercati delle merci e dei capitali che ha imperversato dagli anni settanta fino ad adesso. La situazione attuale ci consegna un ritorno dei vecchi schemi della ‘Guerra fredda’, solamente rielaborati rispetto alla fase post 45’, e dunque, una crescente tensione in Europa con il mondo post sovietico e nel Pacifico un confronto sempre più diretto e militare fra USA e Cina, hanno sconvolto le basi strutturali dell’ordine liberale e della globalizzazione dei mercati che era di questo la traduzione sul terreno economico. Questa realtà nuova genera uno spostamento delle culture politiche che si confrontano nei paesi Occidentali, una modificazione degli equilibri dei sistemi politici, lo scomparire di quella assenza di conflitto politico, o di sua sterilizzazione se si vuole, che aveva caratterizzato il vivere istituzionale e civile delle nostre democrazie fra gli anni novanta e gli anni dieci del nuovo secolo. Questa nuova realtà rende il sostegno del Partito Democratico agli equilibri di sistema meno indispensabile, nel senso che i gruppi dirigenti dello stato e delle massime istituzioni imprenditoriali e finanziarie cercano l’apporto di forze sociali nuove e che un tempo erano escluse dal diretto impegno nel ‘puntellare il sistema dato’. Si comprende in questo senso la timidezza con la quale l’attuale premier ha evitato sempre di aprire uno scontro polemico con l’opposizione di destra della Meloni, e non ha dato seguito alla richiesta di scioglimento dell’organizzazione di Forza nuova, atto che avrebbe inimicato al governo l’intero centrodestra. Il secondo fattore, quello endogeno, indebolisce strutturalmente il PD in termini elettorali, per il semplice ed evidente fatto che un partito stabilmente al di sotto del 20 per cento non può pretendere il ruolo di unico pilastro del sistema istituzionale democratico e anzi può essere ben sostituito da altre forze e culture che posseggano nella società consensi più ampi.

Quali sono queste nuove forze? Il sottoscritto vede il mondo liberale e di destra dividersi oggi in due grandi campi, presenti in quasi ogni paese del mondo Occidentale; da un lato il liberalismo dei diritti civili e della inclusione delle varie culture e minoranze, dall’altra la destra del fondamentalismo religioso, dell’esclusività della cultura cristiana e nazionalista. All’interno di questo scontro, si verificano i nuovi equilibri su cui dare ai sistemi democratici dell’Occidente una stabilità funzionale a reggere uno scontro con il mondo ad esso contrapposto, ovvero l’Oriente rappresentato dalla sopra citate Cina e Russia. E tutto ciò avviene con difficoltà, ovvero questa ricerca di stabilità dello stato, data la evidente crisi di legittimità del governo liberale delle nostre società, crisi nella quale si inseriscono con efficacia e pervasività via via crescenti le destre nazionaliste e religiose.

In tale contesto si inserisce il delicato passaggio istituzionale delle prossima elezione del Presidente della Repubblica Italiana. Passaggio che dall’elezione di Ciampi nel 99’ ha visto sempre la vittoria del centrosinistra e la sua preminenza nel scegliere ed eleggere il Presidente pescando nel meglio delle proprie classi dirigenti. Ed è proprio con questa elezione che il PD, il ‘Partito Stato’ in declino che abbiamo sopra descritto, la formazione che non sa leggere o adeguarsi ai nuovi equilibri politici, rischia realmente per la prima volta nella ‘seconda repubblica’ di essere collocata all’esterno del sistema politico o ad esso associato semplicemente come ruota di scorta, affiliato come elemento accessorio. Le manovre per l’elezione del nuovo Presidente sono già partite, ma il tema sopra descritto può consentirci di avere un filo conduttore che impedisca il nostro smarrimento nella giungla delle dichiarazioni di giornata e di evitare di dare peso alle manovre tattiche di breve momento.

Alessandria 22-11-2021 Filippo Orlando

  1. Confrontare ‘La restaurazione imperfetta’, Raffaele D’Agata, 2011 ed. Manifesto libri.

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