Bophal in casa. Aneddoti e appunti (per una possibile reazione?)

L’uscita decisamente “trumpiana” della Solvay – secondo il cui portavoce l’incidenza atipica a Spinetta di alcune patologie gravi e gravissime sarebbe verosimilmente da imputarsi agli stili di vita degli spinettesi – costituisce un rovesciamento strategico delle modalità tradizionali del polo chimico di rapportarsi col territorio e con la società. Mi spiego: finora la Solvay (e prima di lei Montedison, Ausimont, Montecatini, ecc. ecc.) aveva tenuto un profilo basso evitando le polemiche e soprattutto cercando soluzioni di silenzio-assenso sociale e istituzionale. Come? Col classico sistema del panem et circenses, dove il pane erano i posti di lavoro mentre il companatico “circense” erano piccole concessioni alla comunità: come nei primi anni ’50 quando l’energico don Walter aveva strappato alla Montecatini un paio di campane in sostituzione di quelle bruciate dalle nubi acide dallo stabilimento; o, sempre in quegli anni, con la creazione a Marengo di un centro sportivo aziendale aperto agli spinettesi; o ancora con le forniture d’acqua non solo potabile e indennizzi appena simbolici per tacitare i residenti nelle zone più vicine allo stabilimento che non potevano più attingere l’acqua dai loro pozzi; o, in tempi recentissimi, con pubbliche relazioni tese a creare un’immagine di prossimità amichevole, positiva della presenza e dell’azione della Solvay sul territorio. C’era però un “dark side”: i compromessi impliciti di cui nessuno parlava e che nessuno ammetteva esistessero.
Un esempio illuminante: nei primi anni ’70 all’ARCI pervennero i risultati di una ricerca di docenti e studenti della Facoltà di Medicina di Pavia su morbilità e mortalità nell’Alessandrino con dati, per Spinetta e Castelceriolo, atipici rispetto al resto del Comune e simili a quelli di cui si parla oggi. Velleitari tardosessantottini i consiglieri ARCI decisero, per il bene della collettività, di render pubblico il dossier : ma non diversamente dal “Piccolo” (al tempo unica “voce” di Alessandria), sindacati e partiti tutti (ad eccezione del MSI, non interpellato) non solo si defilarono, ma in forme più o meno esplicite intimarono il silenzio. E l’ARCI abbozzò: alcuni lasciarono l’Associazione, non per il bavaglio passivamente subìto, quanto perché il silenzio di fatto impediva qualunque riflessione politica-sanitaria-economica-industriale su inquinamento e popolazione. Così tutte le responsabilità si chiusero come una morsa sulla defunta ACNA di Cengio e sugli altrettanto defunti stabilimenti Ferrania di Ferrania (dagli esplosivi alla cellulosa e agli alogenuri d’argento) che oltre all’indiscutibile pregio di non poter più essere perseguiti, avevano il tutt’altro che trascurabile vantaggio di essere in Provincia di Savona …. Altra provincia, altra regione: insomma, troppa gente e troppe giurisdizioni da mettere intorno a un tavolo e troppi reati prescritti per scomparsa dei “presunti” rei: quanto bastava per far scivolare nel dimenticatoio il problema del risanamento della Val Bormida tutta, dalle fonti del comprensorio Cengio-Ferrania giù giù fino alla confluenza col Tanaro sopra Piovera.
Le storie pluridecennali del rio Lovassina – insanabile perché suddiviso per competenza tra 4 o 5 comuni -insegnano e fanno capire i silenzi e le omissioni su quanto è accaduto, accade e verosimilmente accadrà alle Fabbricazioni Nucleari (mai seriamente indagate, pare) sempre lungo l’asse della Lovassina. Unica voce in tutti questi anni quella di “Medicina democratica”/”Rete ambientalista” le cui contrapposizioni frontali (verso partiti, sindacati, società civile, associazioni, media, aziende, ecc.), la cui aggressività esasperata e il personalismo rigido hanno influito negativamente, a mio parere, sulla presa di coscienza collettiva bloccando – se pure fosse esistita la volontà – ogni possibilità di dialogo tra gli attori, analisi ponderate e condivise e ricerca di soluzioni praticabili. Nonostante le adesioni numericamente limitate e l’isolamento, questa posizione ha tuttavia esercitato per una trentina d’anni un potere di interdizione immenso su tutto ciò che riguarda l’inquinamento nell’Alessandrino: e addirittura ha sovente impedito la diffusione di una corretta informazione a tutti i livelli, a partire dalla scuola dell’obbligo. Ed è cosa che balza agli occhi, e che in ogni caso non assolve l’inerzia/assenza politico-amministrativa sul lungo periodo.
Tutto questo per ricordare che nella “Bophal” mandrogna non ci sono vergini, che a ciascuno tocca la sua quota di zone grigie, di arrendevolezza verso “poteri forti” (veri o presunti?), di ottusità burocratica: zone grigie che in 50 anni non hanno affrontato, ma solo guardato i problemi dell’inquinamento delle acque (di scorrimento come le falde superficiali e profonde), degli scarichi industriali (quantomeno Bormida e Scrivia), della gestione dei rifiuti urbani, dello smaltimento dei materiali di scavo per opere pubbliche, ecc. Ad esempio – anche se è nel Comune di Bosco e “ovviamente” non riguarda Alessandria – che dire dell’oscura vicenda delle FN (Fabbricazioni Nucleari): le 112 tonnellate di combustibile nucleare e di scorie residue sono davvero uscite tutte dall’Italia entro il 2006? e i lavori di bonifica (???) avviati nel 2011 saranno terminati? Difficile crederlo quando si osserva la doppia e anche tripla recinzione di filo spinato e l’illuminazione notturna e l’ovvio sistema di telesorveglianza che neanche un carcere di massima sicurezza o un lager nazista! E’ pacifico che un agente ecologico che si aggirasse sul perimetro esterno delle FN con un contatore Geiger o intorno alla Solvay raccogliendo campioni di terra farebbe scatenare una reazione spropositata perché sarebbe uscire dal rito della guerra di carte, delle autocertificazioni, dell’osservanza del segreto industriale…. E poi ci sarebbe anche la questione delle raffinerie di Busalla (in Provincia di Genova, tanto per semplificare le cose) e dello stato delle acque e dell’aria della valle Scrivia; e ancora gli inquinanti derivati dagli allevamenti animali; dalle discariche dei materiali di scavo delle gallerie del terzo valico; e quelli delle discariche abusive e di quelle esaurite che disperdono nell’aria e nel sottosuolo chissà cosa; ecc.ecc.
A fronte di pericoli potenziali per le carte, ma piuttosto concreti nella realtà (se non si vuol pensare a incidenti di lavorazione o di stoccaggio, sarà magari il caso di contemplare un attacco terroristico? un terremoto? un’alluvione?), dobbiamo constatare che non esiste, ne è mai esistito un piano di emergenza condiviso per gli abitanti ( i più vicini a FN, Solvay, Raffinerie IPLOM ….), un piano che non sia solo sulla carta nell’archivio della Prefettura come non esiste un sistema di allarme ben chiaro, identificabile e riconoscibile da chiunque. Nelle scuole della Fraschetta non si pongono in essere né programmi di informazione né esercitazioni, come se l’ignorare il pericolo o il non pensarci fosse un esorcismo adeguato …. Zone grigie si diceva: o addirittura nere come il fatto che nessuno – né la protezione civile, né l’ARPA, ne le autorità giudiziaria, di pubblica sicurezza e sanitaria – può varcare i cancelli “privati” non solo quando il fischio delle sirene crea disagio o preoccupazione, ma neppure di fronte alla non rara fuoriuscita di nubi sempre (molto a posteriori) definite “non tossiche, solo vapore acqueo”. Cancelli chiusi, forse, anche se dagli stabilimenti fuoriuscisse un fungo atomico ….
E d’altra parte non risulta esistano strumenti di prevenzione come rilevamenti sistematici dello stato delle acque di falda e di superficie; come una mappa delle attività inquinanti e/o a rischio per la popolazione; come mappatura delle discariche abusive (coi droni sarebbe facilissimo …) o degli stoccaggi interni presumibilmente inquinanti; o come un ufficio cui segnalare abbandoni illegali o potenzialmente rischiosi. Tornando alla Solvay e al suo cambiamento “trumpiano” di strategia nel rapporto con popolazione e territorio occorre che anche le istituzioni ne traggano le conclusioni adeguandosi al nuovo linguaggio: di fronte a un incidente o a una situazione di pericolo potenziale per la popolazione come la fuoriuscita di nubi presumibilmente tossiche e di fronte ai cancelli ostinatamente chiusi di uno stabilimento non si può continuare a suonare il campanello aspettando che qualcuno finalmente apra; e neppure si può mandare il Sindaco con fascia tricolore …(l’ultimo primo cittadino che si è preso l’ardire di requisire una fabbrica è stato Nicola Basile più di cinquant’anni fa!). Occorre dimenticare l’iter delle carte e dei balletti burocratici, delle giurisdizioni differenti e poco inclini a dialogare fra loro; occorre che maggioranze e minoranze e sindacati dimentichino il gioco delle parti ( il poliziotto buono e quello cattivo!), per rendere credibile l’azione istituzionale. Non si tratta di aggirare il diritto e i diritti, assolutamente no: si tratta piuttosto di definire una gerarchia unica fra le giurisdizioni così che di fronte a situazioni potenzialmente pericolose i cancelli si aprano di fronte a un’ordinanza d’urgenza del TAR competente o di un Procuratore della Repubblica o di un Prefetto o di un dirigente della Protezione civile: insomma oggi occorre un grimaldello efficace per aprire i cancelli di qualunque azienda (anche dei colorifici e degli allevamenti, ad esempio) che lavori con agenti inquinanti, per rendere possibili i controlli ed evitare che finiscano in autocertificazioni o guerre di carte bollate.
In definitiva occorre costruire un meccanismo o una gabbia di controllo sul territorio – una sorta di pool degli enti aventi giurisdizione (EE.LL., Protezione Civili, ARPA, Procura della Repubblica e Prefettura) – che impedisca il ripetersi di situazioni come quella di Eternit dove tutte le responsabilità (e i risarcimenti) sono finiti sulle spalle di “un povero vecchio nullatenente” (per giunta straniero): magari, come già avviene con la mafia e come la magistratura farebbe con qualunque privato cittadino sospettato di inquinare le prove o di svuotare il salvadanaio per diventare “nullatenente” o per tagliare la corda, sarebbe il caso di bloccare conti e proprietà sul territorio nazionale e, nel caso di multinazionali, di avviare procedure analoghe sul piano internazionale.

Da RADIO GOLD – 13.02
Più tumori a Spinetta, sì a nuovi controlli: “Manca la pistola fumante”
“Difficilissimo stabilire il nesso causale di questo incremento di malattie” hanno detto gli esperti di Arpa e Asl nel commentare i risultati dell’indagine epidemiologica sul sobborgo alessandrino

ALESSANDRIA – “Per ora non c’è il colpevole con la pistola fumante in mano, vediamo solo la sua ombra“. Cristiana Ivaldi dell’Arpa ha commentato così in Comune ad Alessandria, durante le Commissioni Sicurezza e Ambiente e Politiche Sanitarie, i risultati dell’indagine epidemiologica sulla popolazione di Spinetta, già svelati quasi due mesi fa. Insieme agli esperti dell’Asl è stato infatti specificato che non è stato trovato il nesso causale che spieghi l’incremento di tumori rilevato.
“Dimostrare il nesso causale è difficilissimo“ ha sottolineato ancora Cristiana Ivaldi. “In quella zona (delimitata da un raggio di 3 chilometri dal Polo Chimico, ndr), sono presenti tantissime sostanze che possono avere influito finora, dagli anni ’40 a oggi” ha aggiunto Alberto Maffiotti, direttore Arpa Alessandria “Ci sono composti formati nel tempo dalla fusione di queste sostanze. Ricordiamo anche che fino al 2003 molte persone utilizzavano l’acqua proveniente dallo stabilimento“. Su questo punto inoltre, l’assessore all’Ambiente Borasio ha precisato come sia “ancora da approfondire” il fatto se ancora oggi si utilizzino o meno le stesse tubature dell’acqua antecedenti il 2003.
“Inoltre, ci troviamo davanti un coacervo di sostanze che sono anche cambiate nel tempo” ha aggiunto Maffiotti “Abbiamo riscontrato la presenza di patologie multifattoriali: il tumore al polmone, ad esempio, può essere provocato da 40 cause. L’esempio dell’amianto a Casale, individuato come causa del mesotelioma pleurico, rappresenta un unicum”. “Ci sono sostanze che oggi non conosciamo” ha aggiunto il direttore del Dipartimento Prevenzione dell’Asl Enrico Guerci.
L’assessore all’Ambiente Paolo Borasio ha annunciato che l’amministrazione chiederà ad Asl di avviare una sorveglianza sanitaria attraverso il controllo medico dei cittadini, su base volontaria. La Giunta Cuttica solleciterà anche nuovi controlli di Arpa (“pronti a ‘mettere più telecamere”, per smascherare il colpevole” ha confermato Cristiana Ivaldi, ndr), a fronte però di un coinvolgimento più diretto di Regione Piemonte, con un tavolo tecnico permanente. “Serve una delibera della Giunta Regionale, Palazzo Lascaris deve farsi carico del problema e dare mandato ad Arpa e Asl di continuare le indagini. A breve ci sarà un protocollo di intesa e mi farò promotore della nascita di un tavolo tecnico permanente” ha sottolineato il membro della Giunta Cuttica“inoltre solleciteremo Solvay a dare vita a polmone verde attorno al Polo Chimico e auspichiamo la nascita di un polo universitario che studi e approfondisca la presenza del cromo  esavalente nell’area dell’ex Zuccherificio.
Nel frattempo i gruppi di minoranza del Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Lista Rossa e Moderati hanno sottoscritto e presentato una mozione che sollecita la Giunta Cuttica a organizzare un Consiglio comunale aperto sulla riqualificazione ambientale della Fraschetta in accordo con le associazioni di categoria, i sindacati, l’Università del Piemonte Orientale, la sede di Alessandria del Politecnico di Torino, l’Asl, Arpa e  Provincia di Alessandria, oltre che aggiornare il consiglio comunale sulle informazioni emerse nella Conferenza dei Servizi legata alla richiesta di una nuova autorizzazione ambientale di Solvay rispetto all’ampliamento di produzione di C6O4 attraverso un nuovo impianto.
“Non ci sarà la pistola fumante ma a mio avviso ci sono tutti gli elementi per pensare a un nesso di causa effetto” ha aggiunto l’ex assessore all’Ambiente di Alessandria Claudio Lombardi “ora sono diverse le priorità. Occorre approfondire, in particolare, l’incremento dell’80% di patologie neurologiche registrato sui bambini dagli 0 ai 14 anni di quell’area, e poi i medici di base, coloro che per primi possono monitorare lo stato di salute delle persone, dovrebbero subito attivarsi e sollecitare le persone a farsi controllare al primo segnale che qualcosa non va”.  “Porterò in Regione le sollecitazioni emerse oggi” ha assicurato il consigliere regionale Pd Domenico Ravetti.
“Ci chiediamo quando verrà attivato il piano complessivo di interventi” ha detto Franco Armosino, segretario provinciale Cgil “quando si avrà contezza precisa su cosa bisogna fare? Io ho lavorato per 20 anni nell’industria chimica: posso dire che i pericoli si creano se il processo produttivo non è all’altezza. Servono più risorse a Spresal e ai Vigili del Fuoco per migliorare la loro dotazione e, in particolare, serve una discussione aperta, pubblica, con gli spinettesi, non devono sentirsi cavie ma persone tutelate dalle istituzioni”.
“Mi chiedo, alla luce di quanto detto dagli esperti, come possiamo venire a capo di questa situazione” ha sottolineato il segretario provinciale della Cisl Marco Ciani “confermiamo la nostra forte preoccupazione per la popolazione e per i lavoratori, anche dal punto di vista occupazionale. Siamo in forte disagio”.

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