Il cerino delle responsabilità

C’è un lockdown ancora peggiore di quello cui i cittadini sono stati costretti in questi mesi. È il lockdown della politica. Finora ci siamo lamentati giustamente dello stato confusionale che ha improntato molte decisioni chiave. Frequenti giravolte, conflitti estenuanti di competenza tra i livelli istituzionali, intollerabili farraginosità burocratiche negli approvvigionamenti più importanti. Ma, comunque, siamo andati avanti. Ed è un miracolo. Perché il rischio maggiore, catastrofico, era – e resta – un altro. Lo scaricabarile ed il rifiuto di assumersi, ciascuno, le proprie responsabilità.

Sappiamo bene come sia questo il vero tarlo del nostro establishment amministrativo. E di come, di questo tarlo, i politici siano vittime e, al tempo stesso, complici. La malattia si chiama abusivite. Non quella delle case che, prima o poi, vengono sempre sanate. Quella della carta bollata. Per cui ogni firma delle venti o trenta necessarie a implementare una decisione pubblica può essere incriminata col sospetto che nasconda un abuso d’ufficio. Di fronte al rischio giudiziario incombente, meglio rimandare, mediare, tergiversare. Deresponsabilizzare. Quindi, che un corpo statale dilaniato dal virus dell’abusivite sia riuscito a tener testa al covid producendo una mole straordinaria di micro e macro provvedimenti emergenziali è un fenomeno miracoloso. Un dono che l’italico stellone ha voluto fare al paese.

Ma, non facciamoci illusioni. Con lo scemare – almeno per ora – del coprifuoco sanitario, si moltiplicano i segnali del ritorno alla – triste – normalità. Con un cambio di narrazione. Da «come possiamo fare meglio» a «chi ha sbagliato più forte». Intendiamoci. Ci mancherebbe che, di fronte a una tragedia di queste proporzioni, non ci fosse un dibattito acceso sulle scelte, i ritardi, gli errori di valutazione e di azione. Personalmente, non sono tra quanti preferirebbero tenere quanto più bassi i toni dello scontro, rimandando a un secondo momento la eventuale resa dei conti. Proprio perché appare ormai chiaro che ci vorranno mesi, forse anni per svoltare questo tornante storico, è bene, anzi doveroso che si mettano apertamente sul tappeto le diverse strategie di intervento. A partire dalle responsabilità di questi mesi.

Ma a condizione che sia chiaro – chiarissimo – che si tratta di responsabilità politiche. Cominciano a girare alcune stime su quanti morti siano costati agli inglesi l’inazione iniziale di Johnson. E quante siano le vittime che Trump si porterebbe sulla coscienza. O Macron, per non avere dato ascolto subito alla sua ministra della salute, poi dimissionaria, che già a gennaio aveva dato l’allarme. L’elenco può continuare all’infinito – per quanti sono i paesi coinvolti, i diversi stati o regioni, le città con i loro sindaci. Tutti, a vario titolo e misura, responsabili di avere aperto o chiuso i rubinetti della vita associata, per concentrare sul fronte sanitario le energie per salvare quante più vite possibile.

Sapendo, però, che la scelta è stata sempre, fin dall’inizio di questa tragedia, se salvarle dal virus o dalla fame. E che i conti di questo terribile bilancio – e bilancia – non li abbiamo ancora, e chissà se e quando li avremo. Forse, tra qualche mese scopriremo che c’è il vaccino o una terapia adeguata, che il virus si è sfiancato e mescolato tra i suoi più miti parenti influenzali. E a quel punto – potete starne certi – si leverà la protesta dei settori più falcidiati dalla pandemia, e tutti a dire che abbiamo tardato troppo nella ripartenza e che il prezzo che dovremo pagare è insostenibile. Oppure, potrebbe accadere il contrario. Micidiale recrudescenza in autunno, di nuovo terapie d’urgenza in affanno, e tutti a urlare quanto siamo stati incoscienti a precipitarci fuori, a rischiare per una cena con gli amici, una vacanza, una movida. E i governanti a lasciarcelo fare.

Quale sia – o sarà – la scelta giusta, lo sapremo soltanto dopo. Ciò non ci esime affatto dall’esprimerci su quale scelta oggi preferiamo. Anzi è un nostro obbligo farlo. Come è un obbligo – ben più gravoso – di chi in questo passaggio epocale ricopre incarichi di governo. Ma perché questa macchina decisionale, messa sotto una pressione estenuante, continui a funzionare è indispensabile riconoscere la sua natura politica. Il solo giudice di questo operato deve essere il popolo sovrano. Attualmente, attraverso il parlamento. E, quando si tornerà alle urne, col suo voto.

di Mauro Calise

(“Il Mattino”, 17 maggio 2020).

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